Hanno cominciato Alberto Alesina e Andrea Ichino, ha continuato Francesco Giavazzi, poi Umberto Galimberti e, infine, Silvia Vegetti Finzi. Cinque “venerati maestri” (come direbbe Edmondo Berselli) che sono d’accordo nel criticare i rapporti esistenti all’interno della famiglia.

Per gli economisti uno dei motivi della mancata modernizzazione dell’Italia sta proprio nell’eccessivo familismo. I giovani restano troppo in famiglia perché la famiglia glielo consente e ciò blocca la mobilità sociale e la meritocrazia perché inibisce la naturale propensione al rischio del giovane.



A enunciare questa teoria sono stati Alesina e Ichino (Il Sole24Ore del 29 ottobre): «La coesione famigliare riduce la fiducia verso il mondo esterno alla famiglia, diminuendo anche l’attenzione verso il bene pubblico e quindi il “capitale sociale”. La mancanza di mobilità geografica e sociale ostacola la meritocrazia e la concorrenza fra persone e imprese. La conseguenza è una minore produttività che si traduce in salari e profitti più bassi».



D’accordo su questa tesi anche l’economista Giavazzi e, da un punto di vista sociologico, Umberto Galimberti mentre per la Vegetti Finzi (Corriere della Sera 2 novembre) «è inutile riproporre, come siamo tentati di fare, la famiglia ideale perché non c’ è più e, probabilmente, non c’ è mai stata».

Tutti interventi che fanno emergere quanto lo scontro ideale che si sta consumando nel dopo-crisi continui a essere non tanto quello tra chi difende l’economia “reale” e chi quella “finanziaria” (se mai questa divisione ha un senso), ma quello tra una certa idea di modernizzazione tecnocratica che per realizzare sé stessa è costretta a teorizzare il superamento di ogni altra forma di organizzazione sociale naturale che tiene legata l’Italia alle sue tradizioni, alla sua storia.



In questa idea di modernità i rapporti famigliari restano l’ultimo muro da abbattere prima del compimento della perfetta liquidità del mercato del lavoro così come il rapporto tra erogatore del credito e richiedente era, nell’ideologia della meccanica allocazione delle risorse finanziarie, il rapporto da rescindere per raggiungere la “perfezione del mercato” del credito che non si può realizzare fino a quando le decisioni di allocazione vengono presi da uomini anziché da modelli (da qui la decisione di delegare a Basilea2 la decisione di concessione del credito).

Bisogna infatti notare che questa posizione ideologica è la stessa che, nel periodo che ha preceduto la crisi economica mondiale, sosteneva il primato delle regole del mercato rispetto a quelle del bene comune, così come si è visto nel momento in cui si doveva decidere se lasciare fallire l’intero sistema bancario americano (per mettere alla prova l’idea schumpeteriana della distruzione creatrice del mercato) oppure salvarlo (per permettere al sistema economico mondiale di non collassare del tutto).

Persa la battaglia pro-mercato in campo finanziario, gli economisti ci riprovano con una battaglia pro-mercato in campo sociale in nome della modernizzazione individuando, giustamente dal loro punto di vista, la famiglia come più potente freno alla loro idea di società perfetta, nella quale la competizione tra le persone e l’allocazione delle risorse intellettuali fa premio sulle tradizioni e i legami naturali. Che, per dirlo con la Vegetti Finzi, forse non sono mai esistiti.

 

Come certamente a tutti gli studiosi è chiaro, la modernizzazione italiana non è bloccata dai forti legami famigliari, ma dai più potenti (nel senso di meglio organizzati) legami lobbistici. Significa che se in Italia esiste una mobilità sociale tendente allo zero la responsabilità non può essere imputata alla famiglia, ma alle lobbies.

 

Se il figlio di un avvocato ha straordinarie probabilità di diventare avvocato a sua volta, la colpa non è del padre, ma della lobby degli avvocati (costituita dai padri) che impedisce, ad esempio, la liberalizzazione delle tariffe minime a favore della quale, guardacaso, sono i giovani avvocati. In un Paese governato da potenti lobby (altrimenti dette: caste) la famiglia, soprattutto se non abbiente, è, contemporaneamente ultima possibilità di riscatto sociale e vittima dell’ineguaglianza dei punti di partenza. Altro che colpevole.