Il nuovo welfare nasce dal basso. E non può essere diversamente. L’intero sistema si fonda infatti da un lato sul ruolo programmatorio delle Regioni, dall’altro sul protagonismo necessario dei Comuni. A questi ultimi in particolare è affidata non solo la gestione dell’ordinario, ma anche (e soprattutto) la ricerca di modalità innovative che sperimentino nuovi strumenti per la risposta al bisogno che cambia.
Diventa allora importante guardare in basso, là dove le necessità delle persone possono essere direttamente incontrate. Sono i sindaci, gli assessori, i dirigenti e gli assistenti sociali quelli che conoscono meglio di tutti il bisogno. Ed è un bisogno non sociologico, non indifferenziato, non numerico, ma al contrario individualizzato, con un nome e un cognome. Solo lì, tra le strade dei Comuni piccoli e grandi del Paese, le grandi categorie (anziani, disabili, tossicodipendenti, minori, famiglie) diventano volti, con bisogni concretissimi e specialissimi.
Parlare di sussidiarietà verticale significa questo, o altrimenti non significa nulla. Il potere (e i soldi) che si spostano dal centro alle periferie devono servire le persone, altrimenti avremo fatto una rivoluzione inutile.
Esistono esempi virtuosi che sembrano andare proprio in questa direzione. Uno in particolare sta balzando agli onori delle cronaca, grazie a un percorso di riforma del sistema di welfare che dichiaratamente si rifà a due assunti culturalmente innovativi: la centralità della famiglia come soggetto attivo delle politiche sociali, la sussidiarietà come architrave per la riforma.
Il caso in questione è quello di Parma, dove il sindaco Pietro Vignali ha dato avvio da circa un anno a un processo che dal prossimo anno inizierà ad incidere profondamente sulla vita delle persone. La prossima settimana è stata convocata una grande assemblea aperta, il cui titolo riassume il programma: “Per un welfare sussidiario a misura di famiglia”. In quell’occasione saranno raccolte le proposte e le speranze della città. E al termine sarà lo stesso Vignali ad annunciare le linee di sviluppo della riforma.
Due saranno in particolare gli strumenti innovativi che l’amministrazione preannuncia voler attuare. Da un lato l’ormai noto “quoziente Parma”, ovvero il tentativo di inserire in modo strutturale la logica del quoziente famigliare nelle procedure di accesso ai servizi.
Proviamo a spiegarci. Oggi la famiglia che volesse richiede la possibilità di accedere a servizi o provvidenze pubbliche è chiamato a compilare un modello (l’ISEE) finalizzato a comprendere la situazione socio-economica del nucleo. Il modello, utilizzato su vasta scala in tutta Italia, ha un difetto grave: quello di non tenere conto adeguatamente dei carichi di cura presenti nella famiglia.
Insomma, sottovaluta gravemente il peso che hanno i figli sulla condizione economica. Il “quoziente Parma” prova a sanare esattamente questo vulnus, riconoscendo un sostegno crescente al numero dei figli. Vignali ha già annunciato che da gennaio il nuovo modello entrerà in vigore e progressivamente diventerà lo strumento unico per l’accesso a tutti i servizi.
Su un secondo versante, il “Libro Verde per un welfare a misura di famiglia”, presentato dallo stesso Vignali nello scorso mese di giugno, prefigurava una seconda riforma, particolarmente rivoluzionaria nel contesto emiliano: quella legata all’introduzione della libera scelta tra una pluralità di soggetti erogatori, per un ventaglio di servizi che va da quelli alla prima infanzia all’assistenza sociale. Si tratta di una riforma sicuramente più complessa, che dovrà fare i conti con le rigidità presenti nella normativa regionale e con gli interessi corporativi presenti nella città.
Il prossimo anno sarà dunque il banco di prova di queste proposte, il cui orientamento a una cultura della sussidiarietà rappresenta (soprattutto per l’Emilia-Romagna) un elemento di innovazione radicale. Se la scommessa sarà vinta, Parma diventerà a tutti gli effetti un laboratorio del nuovo welfare.