La decisione dell’Università di Notre Dame, nell’Indiana, di invitare il presidente Obama a tenere il discorso alla cerimonia di consegna dei diplomi e a ricevere una laurea honoris causa in giurisprudenza ha creato un vasto dibattito, che ha oltrepassato i confini del campus.

Chi si oppone alla decisione è indignato per l’onorificenza che questa importante università cattolica assegnerà a Obama, visto il suo ardente e costante appoggio a politiche in favore del diritto di aborto. Il presidente dell’università, Padre John Jenkins, ha cercato di spiegare che questo invito rappresenta una possibilità di dialogo, ma che “non deve essere in alcun modo considerato come giustificazione o approvazione delle posizioni di Obama su argomenti specifici riguardanti la difesa della vita.” Gli oppositori controbattono che questa decisione va comunque contro una dichiarazione dei vescovi cattolici degli Stati Uniti in cui si afferma che: “le istituzioni cattoliche non devono attribuire onorificenze a chi agisce in sfida dei nostri fondamentali principi morali.”



Nell’università l’atmosfera è tesa. Nelle settimane seguenti all’annuncio della discussa decisione, il quotidiano universitario The Observer ha ricevuto 612 lettere al direttore, di cui 313 da ex alunni. Il 70% di quest’ultime erano contro la decisione dell’università e molte esprimevano “indignazione”, “vergogna”, “disgusto” e “delusione”, alcune anche con la minaccia di sospendere i contributi finanziari all’università o con la richiesta di dimissioni per Padre Jenkins.



La risposta degli studenti è stata di segno contrario: il 73% delle loro lettere si è dichiarato a favore della decisione, percentuale che sale al 97% tra i laureandi di quest’anno. Molti di questi studenti hanno espresso perfino entusiasmo per la decisione presa dall’università, invitando i suoi oppositori a non concentrarsi in modo così ristretto su un “unico aspetto”. Sull’altro versante, qualche studente ha scritto di essere “sconvolto” e “rattristato” dalla decisione e di aver deciso di non partecipare alla cerimonia.

Ovviamente, un campione di lettere al giornale non è rappresentativo della reazione generale alla decisione dell’università. Tuttavia, quanto emerge dalle lettere è in linea con ciò che si può leggere in altri giornali, blog o siti web, e che è anche sfociato in atti di protesta. Diversi ex alunni e gruppi esterni hanno dato vita a petizioni online, preoccupati per quella che considerano una perdita di identità cattolica. Due di questi gruppi, Project Sycamore e Cardinal Newman Society, hanno raccolto complessivamente 270.000 firme contro lo “scandalo” di Notre Dame.



Non soddisfatta da semplici lamentele, una coalizione di undici gruppi studenteschi chiamata “ND Response” ha cominciato a organizzare e coordinare attività di protesta da parte degli studenti, pur insistendo sul fatto che il loro scopo non è di criticare Padre Jenkins e l’amministrazione. La loro opposizione non è alla visita di Obama all’università o anche al suo discorso alla cerimonia di consegna dei diplomi, ma all’attribuzione della laurea honoris causa, e chiedono insistentemente di rinunciare a quest’ultima. I loro programmi includono varie azioni di protesta, una campagna di preghiera denominata “un milione di rosari” e un “festival della vita”, che prevede l’afflusso di parecchi oratori da tutto il paese durante il week end della cerimonia, per segnare “una rinascita del movimento pro-life americano.”

La loro prima iniziativa di protesta/preghiera, tenuta la Domenica delle Palme, ha raccolto circa 400 persone. Tra di loro c’era anche Randall Terry, un attivista molto controverso che mira a costringere l’università a ritirare la decisione o a creare una situazione tale da far rinunciare Obama alla visita. Il suo approccio è considerato estremista da diversi gruppi studenteschi pro-life, che si sono di conseguenza dissociati dalle sue posizioni.

Più di trenta vescovi americani hanno apertamente criticato l’invito di Notre Dame a Obama, incluso il vescovo locale, che non è stato informato preventivamente di questa decisione. Hugh Cleary, il priore della Congregazione della Santa Croce, l’ordine religioso che ha fondato l’Università di Notre Dame, ha recentemente scritto una lettera aperta a Obama, esprimendogli la sua angoscia per questi avvenimenti. Pur desiderando di dare il benvenuto ad Obama a Notre Dame, ha scritto: ”Come dobbiamo comportarci noi cattolici con Lei, e con gli altri membri del governo che sostengono ciò che noi consideriamo essere il male intrinseco dell’aborto…? Come dobbiamo porci di fronte a esponenti cattolici nella Sua amministrazione dai quali ci sentiamo così abbandonati?”

La battaglia di Cleary rimanda a una osservazione del teologo americano David Schindler. In un suo libro del 1996, Heart of the World, Center of the Church, Schindler rivolge delle critiche a Padre Hesburgh, presidente dell’Università di Notre Dame dal 1952 al 1987. Hesburgh aveva insistito che per una università cattolica in epoca moderna “la realtà e le condizioni di questo mondo sono ben stabilite e devono essere rispettate”; l’università cattolica moderna deve essere “prima di tutto un’università” e solo in secondo luogo cattolica.

Schindler critica l’idea che “cattolica” possa essere una semplice aggiunta, alla stregua di qualsiasi altro aggettivo, come se nelle discipline moderne i presupposti su razionalità e fede potessero essere in qualche modo “neutrali”. Schindler sostiene che un simile approccio porta di fatto alla secolarizzazione e alla concomitante “fideizzazione” del cattolicesimo. Vista la frattura tra chi vede nell’invito a Obama un salutare segno di apertura dei cattolici al mondo e chi lo considera come una profanazione dell’integrità cattolica e un affronto all’ambito della “fede e della morale”, la sua argomentazione sembrerebbe meritevole di attenzione.

Il problema supera i confini dell’università cattolica e fa supporre una divisione più ampia all’interno del cattolicesimo americano. In una recente intervista a Zenit, Mariangela Sullivan, leader del gruppo ND Response a Notre Dame, ha fatto presente che il 50% dei cattolici americani ha votato per Obama: “il cattolicesimo in America, così come l’intero movimento per la vita, è una casa divisa.”

La situazione a Notre Dame sembra così essere sintomatica di una tensione più profonda nel cattolicesimo americano. Dai primi tempi della loro presenza negli Stati Uniti, i cattolici hanno cercato di tenere insieme quelle che sembravano due lealtà in competizione tra loro, e hanno dovuto difendersi dalle accuse della controparte protestante che la loro fedeltà a Roma li rendeva incapaci di lealtà all’America. Nel secolo scorso, grazie a un riuscito processo di integrazione, specialmente con l’elezione di John Fitzgerald Kennedy come primo presidente americano cattolico, queste accuse hanno cominciato a sembrare cose del passato.

Kennedy, comunque, dovette assicurare al pubblico americano che la sua fede cattolica sarebbe rimasta un fatto privato e non avrebbe compromesso il suo impegno verso il Partito Democratico e l’America. Importanti politici cattolici di questi giorni sembrano aver anch’essi seguito questa strada. Al di là di ciò che succederà nei prossimi mesi a Notre Dame, una vecchia questione, o forse una vecchia ferita, è stata riaperta per i cattolici americani.