“Giordania, laboratorio di convivenza” titola il Jordan Times riprendendo una frase di Benedetto XVI detta davanti ai reali. “Occorre sempre più un dialogo tra le religioni” gli fa eco Al-Ghad (Il domani), quotidiano arabo.

Se un primo risultato questo pellegrinaggio lo ha avuto, è stato quello di portare alla ribalta il modello di questo paese a stragrande maggioranza musulmana (93 per cento), ma dove i cristiani – che sono il 3 per cento – possono esprimersi.



Hanno colpito le espressioni rivolte al Papa da re Abdullah II Hashemita, 43simo discendente diretto del profeta Maometto. «Santità, ci aiuti a stabilire una convivenza pacifica qui e altrove, dove tutte le comunità conoscano il potere della riconciliazione». E più ancora, forse, quella all’ingresso della moschea Al-Hussein di Amman: «noi riceviamo il Papa – ha detto il principe Ghazi, consigliere del re – come grande leader spirituale nelle questioni di morale, dignità dell’uomo, lotta alla povertà ma anche come umile pellegrino di pace».



Con quasi due milioni di profughi palestinesi e 700 mila provenienti ora dall’Iraq, i sei milioni di giordani non possono certo concedersi il lusso del fondamentalismo, ma va anche detto che la monarchia costituzionale vanta una lunga tradizione di dialogo e accoglienza – ricordata per altro dallo stesso Benedetto XVI – che va dall’Istituto per gli studi interreligiosi, alla carta di Hamman del 2004, alla lettera dei 138 saggi islamici di due anni fa.

L’alleanza tra religioni proposta qui ad Amman è decisiva, in senso propositivo, in un contesto che tende a ridurre la ragione a una sola dimensione. Commentando il discorso del Papa ai capi musulmani, il patriarca di Venezia cardinale Angelo Scola osserva che «il terreno di una fede che non indebolisce la ragione, ma la purifica nel riconoscere il vero, il bello, il bene, è proprio la garanzia del fatto che si possa, nel rispetto delle differenze, camminare insieme evitando tutti i tentativi di “parassitare” la religione. Perché i problemi di incomprensione nascono quando l’ideologia si fa parassita della religione».



Il secondo punto di successo della visita del papa in Giordania è stato il riconoscimento comune delle opere di cultura e carità dove cristiani e musulmani lavorano insieme. La costruenda Università di Madaba, il centro Nostra Signora della Pace, le prime pietre delle Chiese dei Latini e dei Greco-Melkiti sono esempi citati da Benedetti XVI del contributo dei cristiani all’edificazione di un paese migliore.

Vasi di coccio tra due vasi di ferro, i cristiani in Terra santa hanno solo le armi del dialogo, della carità, del perdono. A loro il Papa, nell’omelia di ieri allo stadio di Amman, ha chiesto la testimonianza del sacrificio della vita nel servizio agli altri contro la cultura della morte, delle bombe e dei kamikaze.

(Paolo Cremonesi)