Nel suo articolo dedicato al primo viaggio in Polonia di Giovanni Paolo II, A. Cazzago accennava alla «gamma di pensieri» che agitavano le autorità polacche all’udire le parole del papa. Proprio a questi pensieri è dedicato un intervento di L. Kaminski pubblicato dall’Istituto polacco per la memoria nazionale, in cui lo storico analizza l’atteggiamento del Partito comunista (POUP) nei confronti di quello storico pellegrinaggio.
All’indomani dell’elezione di Karol Wojtyla al soglio pontificio, le autorità polacche si illudevano di essersi liberate di un personaggio ingombrante: «Meglio in Vaticano come papa – dissero – che a Varsavia come primate». Passò qualche mese e ci fu un effetto boomerang: era il «Wojtyla come papa» a voler compiere un pellegrinaggio in Polonia, e una richiesta del genere non si poteva respingerla al mittente. Quella prima visita di un papa polacco in un Paese del blocco comunista, oltre a costituire una novità assoluta, mise in subbuglio l’intera nomenklatura.
La data stessa era giudicata improponibile: sia il papa che l’episcopato avrebbero colto volentieri l’occasione del novecentesimo anniversario della morte di san Stanislao, un evento che Wojtyla stava preparando quand’era ancora arcivescovo. Per il POUP il vescovo Stanislao – ucciso dal re Boleslao l’Ardito – era una figura scomoda, il simbolo della Chiesa che non si piega alle scelte e all’arbitrio del potere civile, e pareva richiamare fin troppo la situazione della Polonia di quegli anni. Perciò i comunisti tentarono di dissuadere i vescovi dalla scelta di maggio proponendo agosto, e “spiegarono” all’episcopato che il culto mariano era più importante di quello del martire Stanislao! Alla fine si trovò il compromesso: vada per giugno.
La sezione ideologica del comitato centrale preparò la visita dal proprio punto di vista. Era necessario «diffondere, tramite il fronte ideologico, la visione dei rapporti con la Chiesa sulla base del marxismo-leninismo», e si sottolineava l’importanza dell’occasione per riaggiustare i rapporti con la Chiesa e col Vaticano. Per far digerire il boccone amaro all’URSS, il POUP utilizzò gli slogan tipici sulla «lotta per la pace e la stabilizzazione internazionale», e spiegò che la Chiesa era una potenziale «alleata delle aspirazioni pacifiste e della battaglia per un mondo migliore e per un domani più sereno». D’altra parte ci si impegnava ad evitare «qualsiasi concessione in merito a visioni del mondo diverse: il partito mantiene la sua forte identità ideologica».
Con gli occhi del mondo puntati sulla Polonia, il POUP intendeva sfruttare l’evento per «rafforzare l’unità politico-morale del popolo» e per presentare un Paese «dinamicamente in moto sulla via della costruzione del socialismo». Gli ideologi del POUP mettevano in guardia dal rischio della «clericalizzazione della vita sociale», perciò era fondamentale «mantenere una forte disciplina politica, ideologica e oratoria». La stampa era naturalmente in prima linea: fu pubblicato un numero speciale di Ideologia e politica che oltre a ribadire le linee-guida del partito dava l’“autentica” interpretazione storica del contrasto tra Stanislao e il re. Uscirono testi sul rapporto tra politica e religione e sul confronto tra la libertà religiosa in Polonia e nei paesi capitalisti.
Arrivò Giovanni Paolo II. All’inizio tutto parve andar liscio. Poi ci fu la storica omelia di Varsavia: «E grido, io, figlio di terra polacca e insieme io, Giovanni Paolo Il papa, grido da tutto il profondo di questo millennio, grido alla vigilia di Pentecoste: Scenda il tuo Spirito! Scenda il tuo Spirito! E rinnovi la faccia della terra…». Ma quando aggiunse «…di questa terra!», gli ideologici del partito ebbero un sussulto: Wojtyla invita forse a «ripulire questa terra da coloro che hanno una diversa concezione del mondo»? Si accorsero con sgomento che i suoi interventi erano «pieni di allusioni politiche», e scovarono il complotto antisocialista insito nel suo comportamento: la spontaneità, i ripetuti sorrisi, le improvvisazioni che suscitavano tanto trasporto, erano in realtà «gesti a buon mercato» fatti al solo scopo di guadagnare popolarità per la Chiesa. Erano invidiosi perché il Partito non solo non riusciva a destare entusiasmo, ma nemmeno a raccogliere così tanta gente!
Era fin troppo evidente che il viaggio non aveva risposto alle aspettative del Partito: «La visita in Polonia è stata utilizzata dal papa per presentare il proprio punto di vista sui problemi politici e sociali della Polonia e del mondo». Come accade anche oggi nei “comitati centrali” di certa stampa che segue i viaggi papali, gli ideologi di turno si arrogarono il diritto di sovrapporsi al diretto interessato: la maggioranza delle omelie «non ha avuto il carattere tipico dei sermoni evangelici… Sono stati interventi politici accompagnati spesso dalla metafora e dall’allusione»; il papa «non ha aperto spazi di collaborazione tra Chiesa e Stato socialista». Ecco che nei testi papali è mancata l’indicazione della causa «dell’ingiustizia sociale, dell’imperialismo, dello sfruttamento dei paesi in via di sviluppo, ecc.»; persino i testi dedicati a san Stanislao riflettevano «la concezione arcaica della superiorità spirituale del potere ecclesiale su quello temporale».
Fra le poche note positive, dal suo punto di vista il POUP registrò il riassetto dei rapporti con Chiesa e Vaticano, e sottolineò «la manifestazione di unità tra la comunità civile e il governo popolare», consolandosi perché il papa in fondo non era stato accompagnato da «servilismo religioso», ma solo da laicissimi «evviva!». Eventuali «conseguenze negative nell’ambito della coscienza sociale» erano state evitate grazie a «operazioni ideologiche e di propaganda».
Quali fossero gli effetti sociali del viaggio del papa, il POUP se ne accorse a Danzica, nell’agosto dell’anno dopo.