Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989 viene repressa nel sangue, a Pechino, la protesta di migliaia di studenti che chiedono libertà e riforme. Da allora Tiananmen è divenuta il simbolo della rivoluzione soffocata, una piazza che il “vento dell’89”, che ha cambiato l’Europa portando alla caduta del comunismo, non è riuscito a raggiungere. Francesco Sisci, che all’epoca si trovava a Pechino come giornalista dell’Ansa, ricorda quei fatti drammatici e sconvolgenti, che hanno determinato una svolta nella storia della Cina.



Il 15 aprile dell’89, alla morte di Hu Yaobang, segretario del Pcc di orientamento riformista, comincia la protesta. Nella notte del 19 maggio Zhao Ziyang, segretario del partito, scende in piazza per tentare l’ultima carta, scongiurando la rivolta degli studenti. È con lui Wen Jiabao, attuale primo ministro. Ma il governo ha già deciso, la posizione moderata di Ziyang è minoritaria e viene sconfitta. Per Ziyang cominciano 16 anni di arresti domiciliari. Prevale la linea di Deng Xiaoping, numero uno del regime. Nella notte tra il 3 e il 4 giugno scatta la repressione. Non si conosce ancora oggi il numero dei morti.



Il 4 giugno del 1989 il governo di Pechino mandò i blindati contro gli studenti. Qual è, a distanza di vent’anni, il senso di quella pagina nera per la storia della Cina?

Tiananmen è stata un drammatico spartiacque. Dopo i fatti di Tiananmen la Cina ha capito che l’unico modo per evitare e prevenire le rivoluzioni è fare le riforme. Se un governo non si dimostra proattivo rischia di essere strozzato da una serie di eventi incontrollabili. E poi il dramma. Il potere ha capito che la repressione di moti sociali non può superare certi livelli di violenza. Non si sa ancora oggi qual è il numero dei morti: centinaia, migliaia forse.



Com’è uscito il partito comunista dai fatti di Tiananmen?

Tiananmen ha insegnato alla leadership cinese il valore politico del compromesso. L’analisi che se ne dà qui a Pechino è che il movimento di Tiananmen è arrivato a quel livello di gravità perché la leadership politica era spaccata. Prima di Tiananmen l’idea era che sui grandi temi una fazione vince e l’altra perde. In realtà il partito ha capito che quando si arriva ad una spaccatura forte tutti perdono. Ha perso certamente Zhao Ziyang, allora segretario del partito, ma ha perso anche Deng Xiaoping. Tutti hanno perso faccia e credibilità e tutti hanno sofferto per anni.

E l’eredità politica della tragedia?

Queste lezioni sono state la bussola politica del dopo Tiananmen. Cioè dopo aver soffocato il movimento, la Cina ha fatto in larga parte le riforme che il movimento stesso chiedeva.

Ha fatto notizia la pubblicazione prima in cinese e ora in inglese delle memorie postume di Zhao Ziyang, Prigioniero dello Stato. Durante i 16 anni di arresti domiciliari, l’ex segretario del partito ha inciso trenta nastri fatti poi uscire in segreto dalla Cina e ora pubblicati. Cosa ne pensa della sua chiave di lettura “riformista” e filo-occidentale?

Zhao Ziyang con questa sua versione dei fatti certamente afferma un suo legittimo punto di vista. C’è un’altra versione già pubblica, Tiananmen papers, che può essere fatta risalire a Yang Shang Kun, allora presidente del paese, che aveva una posizione in qualche modo mediana. E poi c’è la terza, ufficiale, attribuibile a Deng Xiaoping. La versione di Tiananmen papers è abbastanza simile a quella di Zhao Ziyang: c’è uno scontro tra falchi e colombe all’interno del partito e Deng si schiera con i primi, a differenza di Zhao Ziyang. In realtà, stando anche a quello che mi ricordo, lo scontro tra riformisti e conservatori comincia a giugno del 1988.

Quali sarebbero stati i motivi di questo scontro interno al partito?

Zhao Ziyang che era segretario del partito – e che in quella veste aveva i poteri di primo ministro, nonostante che il primo ministro fosse Li Peng – lanciò una terapia choc di riforma che faceva leva sui prezzi: tutti i prezzi vennero liberalizzati. Questa riforma in un mese e mezzo portò un picco di inflazione, facendo andare i prezzi alle stelle, provocando vaste proteste e frustrazione sociale. Alla fine di agosto la riforma vene abolita e Zhao Ziyang privato di tutti i poteri.

Fu questa mancata riforma che divise il gruppo dirigente?

Non solo. A quel punto in autunno cominciò un nuovo dibattito politico: quello tra i sostenitori e gli avversari del “neoautoritarismo”. Una politica ascrivibile a Zhao Ziyang secondo il quale bisognava dare tutto il potere al segretario del partito, perché solo attraverso una terapia choc di sei mesi o un anno la Cina sarebbe radicalmente cambiata, diventando di colpo una società libera con un mercato libero. Ma l’altra metà del partito era contraria sia al programma di Zhao Ziyang, sia a dare tutto il potere al segretario del partito. La protesta di piazza Tiananmen, che si scatenò con la morte di Hu Yaobang, fu l’esplosione storica di questa contraddizione.

A giudicare dagli anni successivi, la proposta di Zhao Ziyang non ha avuto fortuna.

Gli anni successivi hanno dimostrato al governo di Pechino che l’idea di Zhao Ziyang di una terapia choc era fallimentare. Non dimentichiamo i “fatti dell’89”. Dopo il 1989 l’Urss e tutti i paesi dell’est tentarono terapie choc. Ma esse hanno funzionato solo nei paesi piccoli, come l’Ungheria; è dubbio che abbiano funzionato in paesi più grandi, come la Polonia; ma hanno portato alla distruzione dell’Urss, come dimostra il golpe del 1991 e gli avvenimenti successivi. Meno male allora, dice oggi la Cina, che non abbiamo dato credito alla linea di Zhao Ziyang. Ecco dunque Tiananmen come pagina nera ma al tempo stesso “male necessario”. Una pagina di cui meno si parla meglio è.

Dunque oggi, 4 giugno, non una parola in Cina su quel che accadde vent’anni fa.

Assolutamente no. D’altra parte c’è un ampio consenso sul fatto che l’uso della violenza è stato eccessivo. In questa luce è oggi molto difficile per i dirigenti cinesi dare un giudizio nuovo su Tiananmen, anche perché ci sono fatti personali importanti. Per esempio Hu Jintao, oggi presidente in carica, era il delfino di Hu Yaobang, il segretario del partito la cui morte diede inizio alle proteste.

E Wen Jiabao, oggi primo ministro, era a fianco di Zhao Ziyang quando andò in piazza per cercare di mediare con gli studenti. Come si spiega che le colombe siano i vincitori?

Dopo Tiananmen, a conferma della svolta storica rappresentata da quegli eventi, i falchi sono stati espulsi. Represso il movimento degli studenti, il partito comunista – dopo un paio d’anni di dubbio e riflessione – ha scelto di applicare le riforme che le colombe avrebbero voluto. C’è stato effettivamente uno scambio: vi diamo la libertà economica purché non facciate grandi domande politiche.

Ma l’idea che si possa sviluppare la libertà economica senza riforme politiche è la grande illusione che l’occidente rimprovera alla Cina. E lo scoglio contro il quale presto o tardi, secondo l’occidente, la Cina si infrangerà.

Ma l’occidente, dice la Cina, trae conclusioni affrettate. I cinesi sono marxisti economicisti e credono che la politica derivi dall’economia. È vero che all’inizio c’è stato lo scambio, ma con la coscienza che nel medio-lungo termine le concessioni economiche avrebbero comportato anche liberalizzazioni politiche. Queste sono in qualche modo in corso. la Cina non è democratica ma il cambiamento è lentamente in corso.

Cosa rimane in Cina oggi di Tiananmen?

Rimane l’esperienza delle persone di quaranta e cinquant’anni che allora erano studenti ed erano attivisti. Questa generazione andrà al potere nel 2022, l’anno del congresso del partito in cui diventeranno classe dirigente. Non si rifletterà mai abbastanza su questo se si vuol capire la Cina. Andranno al potere coloro che nel 1989 si opponevano al potere.

… salvo quei capi della protesta che sono fuggiti all’estero o che sono stati eliminati dal governo.

In realtà no: il discorso vale solo per alcuni dei capi. La stragrande maggioranza è rimasta in Cina.

Immagino che siano stati in carcere o abbiano ritrattato.

No, non sono stati in carcere né hanno ritrattato.

Com’è possibile?

Perché c’è stata, negli anni 1993 e ‘94, una sorta di amnistia politica. Sono stati in carcere solo quelli che si sono coinvolti in azioni violente. Una repressione generale non era possibile, perché avrebbe voluto dire decapitare un’intera generazione di studenti. E i leader della protesta erano senz’altro i migliori della Cina. Già oggi sono alti dirigenti del partito e a tempo debito diventeranno i leader del paese. Nel 2022 cosa faranno? Ripenseranno a Tiananmen? Non credo. Ecco perché la questione di Tiananmen è stata risolta nei fatti: le persone che vollero la repressione sono state già da tempo tutte espulse, e tutti coloro che sono stati a suo tempo repressi, sono stati promossi.  

Nel 1989 lei era a Pechino come giornalista dell’Ansa. Cosa ricorda?

Pensavo che il 4 giugno la Cina avesse perso il suo treno con la storia, che fosse finita ogni possibilità di cambiamento perché il mondo andava da un’altra parte. In realtà già un mese dopo, a luglio, le cose avevano preso un’altra piega: la Cina si era di nuovo aperta. Prima di Tiananmen il governo cinese aveva accettato gli investimenti dei paesi occidentali e del Giappone ma teneva ancora a distanza gli investimenti dei cinesi d’oltremare, Hong Kong e Taiwan, considerandoli pericolosi, filo nazionalisti, destabilizzatori e reazionari.

E invece?

A luglio la situazione si era invertita: gli occidentali se n’erano andati, ma la strada per gli investitori di Hong Kong e Taiwan era aperta: arrivarono a frotte e mobilitarono le immense quantità di capitale che posero le premesse per lo sviluppo del paese negli anni ’90. Ebbene, il cambiamento di allora mi divenne comprensibile solo col senno di poi. Ma nei due anni seguenti e con più chiarezza dopo il fallimento del colpo di stato in Urss nell’agosto del 1991, i cinesi si rendono conto di dover intraprendere la strada delle riforme economiche senza dubbi e senza incertezze. E lì si consolida il nuovo consenso politico cinese.