Lo scandalo dei preti pedofili sta mettendo in difficoltà la Chiesa. Il culmine si è raggiunto quando il vescovo di Ratisbona, Mons. Gerhard Ludwig Müller, ha ammesso di essere a conoscenza di casi di abusi sessuali nel coro di Ratisbona diretto dal fratello del papa. Scattano le accuse alla Chiesa e al celibato dei preti. Come stanno le cose? «Su questi fatti si è innescato, a livello internazionale – dice Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso – un fenomeno che li strumentalizza con un fine preciso: l’attacco frontale alla Chiesa cattolica, e in particolare al papa».
La Chiesa è investita dallo scandalo della pedofilia. Lei che idea si è fatto?
Penso che quello che sta accadendo si fonda su fatti incontestabili, di dimensioni numericamente importanti. E tanto più gravi in quanto commessi da uomini deputati pubblicamente ad essere portatori di alti valori morali. Però su questi fatti si è innescato, a livello internazionale, un fenomeno che li strumentalizza con un fine preciso: l’attacco frontale alla Chiesa cattolica, e in particolare al papa.
«La tolleranza zero – ha detto Mons. Fisichella in un’intervista al Corriere di ieri – non è un optional, ma un obbligo morale».
Mons. Fisichella ha usato secondo me un’espressione di grande efficacia comunicativa. Non credo però che essa corrisponda propriamente al profilo originale della Chiesa stessa, centrato sul vero rapporto di Dio con i peccatori che è perdono «in cambio» di pentimento. Per il resto, rimango convinto che ci troviamo in presenza di un attacco generale in cui il circuito mediatico è elemento essenziale di questa battaglia.
Chi è ad attaccare la Chiesa?
Ormai da diversi anni assistiamo ad una ripetizione di formule praticamente identiche, che abbiamo visto usate per la prima volta su vasta scala negli Stati Uniti nei primi anni duemila, e che ora vediamo applicate in Europa. Hanno questo di peculiare: non chiamano in causa un’opposizione laicista, «esterna» alla Chiesa, ma componenti interne alla Chiesa stessa.
Si spieghi.
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Non ci troviamo in presenza di una battaglia che vede la Chiesa attaccata da quel mondo che si identifica con la cultura postmoderna dell’occidente, ma da componenti importanti della Chiesa che utilizzano questo momento di crisi, drammatizzandola, con fini che non hanno nulla a che vedere con le ragioni vere di questa crisi, ma che consistono nel rinverdire gli elementi ben noti dell’agenda cattolica della critica alla Chiesa.
È un caso che lo scandalo dei preti pedofili, al di là della giustizia che è dovuta alle vittime e della riforma che deve innescare, riproponga l’annosa questione del celibato e dell’interpretazione più autentica del Concilio?
Certo che no. Il rivelatore clamoroso che proprio di questo si tratta, cioè di una offensiva intra-cattolica, è stato l’articolo di Alberto Melloni di pochi giorni fa sul Corriere della Sera. Dopo aver deplorato l’orrore dei fatti, ha scoperto le carte: la risposta vera alla crisi della pedofilia è indire un Concilio Vaticano III. Melloni ha richiamato il discorso del card. Carlo Maria Martini nel sinodo 1999. Quel discorso risultò una specie di agenda centrata sui temi del clero sposato, della promozione della donna della Chiesa e attraverso di essi, del rinnovamento. I temi classici della panoplia della protesta cattolica di tipo progressista.
Che differenze vede tra lo scandalo degli anni 2001-03 negli Usa e questo scandalo con epicentro nella cattolicissima Irlanda e nella Baviera tedesca, terra del papa?
Guarderei bene le date nelle quali si concentra la grande quantità dei misfatti. Non sono affatto recenti, a parte alcuni episodi che sono continuati fino ai giorni nostri. La mole più grande di date risalgono agli anni ’70. Questo perché effettivamente in quel periodo c’era, nella cultura dell’epoca e quindi anche dentro la Chiesa, e per ciò stesso dentro la gerarchia, una sensibilità molto diversa da quella attuale per quanto riguarda il rapporto sessuale di un adulto con un minore.
Cosa intende dire?
Erano gli anni di un lassismo morale estremamente diffuso. Pensiamo a Lolita di Nabokov. Nessuno si sognava di incriminare l’oggetto di quel medesimo romanzo come qualcosa di abominevole. È solo un esempio ma mi pare indicativo. C’era allora l’idea che azioni come l’atto sessuale con un minore tutto sommato non fossero così perverse: avevano anzi piena cittadinanza in una cultura che vedeva nella liberazione sessuale e nella battaglia contro i freni inibitori un imperativo morale e un segno di civiltà. Questo ha influito – soprattutto in paesi molto esposti a questo tipo di contagio culturale – sui modi adottati dalla gerarchia della Chiesa nell’affrontare il problema, quando questo si poneva.
Vuol dire modi molto blandi?
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Sì. Come un eccesso compiuto in famiglia, qualcosa che poteva o doveva essere sostanzialmente sopito invece che troncato in modo inesorabile. Ecco il perché di una tolleranza così ampia nel perseguire questi fatti.
Secondo lei che cosa rappresenta questo scandalo per la Chiesa di oggi?
Una prova di purificazione. Joseph Ratzinger, prima da cardinale e poi da papa, ha sempre visto bene l’elemento essenziale di queste colpe e come queste devono essere affrontate. Ha parlato di «sporcizia» nella chiesa. Che come tale è ancor più grave se impersonata da coloro che rivestono l’ordine sacro del sacerdozio, e che dovrebbero essere persona Christi, immagine di Cristo vivente. La risposta alla sporcizia è una grande purificazione.
Dunque Benedetto XVI non si è fatto cogliere impreparato?
No. Questo papa dà prova da tempo di un decisa opera di contrasto a questi comportamenti e di richiamo della Chiesa intera a un approccio penitenziale là dove ci sono stati. Sta facendo un lavoro molto energico di risveglio degli episcopati nazionali. Essi devono prendere coscienza della gravità di questi fatti, che sono azioni imputabili a persone precise, ma che proiettano la loro ombra sulla Chiesa intera.
Come valuta il recente discorso del papa sul sacerdozio al convegno organizzato dalla Congregazione per il clero?
Il papa ha ribadito il grande valore del celibato. Comunque mi lasci rilevare un fatto curioso: tutti coloro che minimamente si occupano del fenomeno pedofilia sono concordi nel dire che il celibato non c’entra proprio nulla. Tant’è vero che il reato è compiuto statisticamente da un numero nettamente più alto di persone sposate o che comunque hanno rapporti sessuali con donne.
Invece ogni volta che la polemica si riaccende su questi fatti, c’è la richiesta di ripensare la disciplina del celibato.
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È un mantra che si accompagna a quelle istanze progressiste di riforma che ho ricordato. Si continua a ripetere che il celibato non è un dogma, ma anche Benedetto XVI lo sa benissimo. Non fa parte del dogma, è vero, ma non è nemmeno campato in aria. È qualcosa di profondamente radicato nella Chiesa dei tempi apostolici, e si è esplicato nel corso della storia della Chiesa in forme evidenti di continuità assoluta. Il celibato, come ha detto il papa, «è autentica profezia del Regno». Il senso del celibato aumenta nelle epoche in cui è necessario mobilitare grandi risorse spirituali.
Si riferisce alla fase attuale di profonda scristianizzazione?
Sì. Benedetto XVI e prima di lui Giovanni Paolo II hanno capito perfettamente la drammaticità dell’ora presente, e l’esigenza assoluta che impegnati nel mondo ci siano pastori d’anime che hanno il celibato come carisma peculiare e specifico.
Barbara Spinelli, nel suo editoriale su La Stampa «Vaticano il male nascosto» ha ricondotto lo scandalo alla «scarsa ambizione, all’energia spenta della parte ritenuta buona». Nella Chiesa di oggi si discute di tutto, nota, ma non della persona di Cristo. Per farlo «in fondo non c’è bisogno d’altro che della Scrittura».
Personalmente non condivido nulla di quel giudizio. È la rappresentazione, quasi da manuale, di uno spirito neomodernista per cui l’unica vera Chiesa che conta è quella spirituale. E infatti cita Il Vangelo basta di Alberto Melloni e Giuseppe Ruggieri. Sono i moderni nipotini di Gioacchino da Fiore e sognano una nuova età dello spirito dalla quale bisogna buttare a mare tutto ciò che è istituzione, tradizione, corpo della Chiesa. La Chiesa che vediamo è una cappa che imprigiona lo spirito e lo spirito attende di essere liberato.
La Chiesa deve lavare i panni in casa sua o affidarsi alle indagini della magistratura?
La Chiesa i panni in casa sua deve lavarli comunque. Non dimentichiamo, però, che non deve purificarsi solo dei peccati sessuali: la Chiesa è il luogo del perdono di Dio e la sua missione è quella di lavare tutti i peccati del mondo. Ma il perdono di Dio scende su chi in qualche modo si mette la cenere sul capo. La Chiesa perdona i peccati, al tempo stesso Cesare deve fare la sua parte. Le vittime di questi anni, come possono e devono denunciare alla Chiesa i responsabili, possono e devono denunciarli anche al foro civile. Certamente la Chiesa non ha nessuna obiezione a che questo avvenga.
(Federico Ferraù)