E’ un racconto inquietante quello di Sofia Mainenti, la modella che al Corriere della Sera ha ripercorso nel dettaglio lo stupro subito durante un servizio fotografico effettuato quando aveva 21 anni: “Il set è iniziato come tanti, il luogo scelto era un bosco appena fuori Mestre. Non mi sono sentita a mio agio fin dalle prime pose, ma quando il fotografo mi ha violentato non sono riuscita a reagire, sono rimasta paralizzata“. La prima foto era stata scattata con Sofia con indosso un vestito rosso molto attillato. Poi ne era seguito un’altra con una canottiera forata stretta in vita. Il terzo scatto ritraeva Sofia nuda. Poi, la violenza, immortalata nell’arco di 10 clic, con Sofia incapace di opporre resistenza. Dal giorno che ha inevitabilmente cambiato la sua vita sono trascorsi tre anni in cui la giustizia si è mossa a rilento: “Quando abbiamo organizzato il set, il fotografo si era presentato con un nome falso – spiega Sofia – dopo la mia denuncia le forze dell’ordine si sono limitate a cercare il nome vero, ma poi la cosa si è fermata là“.
SOFIA MAINENTI: “HO L’IMPRESSIONE DI NON ESSERE CREDUTA”
La risposta della Procura di Venezia, secondo cui le indagini sono in corso ma una verità non c’è ancora, non fa che esasperare Sofia, che al Corriere della Sera dichiara: “Quando ho fatto la denuncia ho fornito il numero telefonico del fotografo, ho fatto una descrizione accurata della persona, ho dato gli account di Instagram attraverso cui mi aveva contattata e ho raccontato tutta la vicenda allegando anche le foto che mi aveva fatto tranne quelle della violenza che lui non ha mai voluto consegnarmi. Io ero alle prime esperienze come modella e non sapevo nemmeno che esistessero i centri antiviolenza a cui chiedere consigli. Nessuno mi ha aiutato in nessun modo“. Per consegnarle gli scatti dello stupro, il sedicente fotografo ha chiesto alla sua vittima dei soldi: “L’aggressione è avvenuta a settembre del 2018, la denuncia con richiesta di sequestro delle foto pornografiche è del dicembre dello stesso anno. Mi era stato detto che in sei mesi avrei avuto giustizia. A distanza di tre anni sono stata lasciata completamente sola, soffro continuamente di incubi e ho l’impressione che nessuno voglia credermi. Ora voglio un tribunale e voglio che un giudice mi dica che quello che mi è accaduto è una cosa reale. Mi sento pazza da troppo tempo e so di non esserlo“.
SOFIA MAINENTI, LO STUPRO DURANTE IL SERVIZIO FOTOGRAFICO
Il giorno in cui Sofia è salita nella macchina dell’uomo che poi ha finito per stuprarla era un pomeriggio di settembre. Il primo contatto era avvenuto tramite Instagram, poi i due si erano messi d’accordo su Instagram. Prima di iniziare lo shooting, era stato chiarito il tipo di foto che sarebbero state scattate, ma anche le linee rosse da non oltrepassare. I patti, però, evidentemente non sono stati rispettati. Lo racconta Sofia: “Dopo una serie di foto vedo non vedo mi sono accorta che si stava eccitando quindi ho chiesto di fare una pausa. A quel punto lui ha iniziato a chiedere pose più esplicite e poi ha iniziato a toccarmi insistentemente continuando a scattare fotografie delle mie parti intime. Ho iniziato a piangere ma poi ho cercato di non farmi notare perché avevo paura che lui potesse reagire male e che la situazione peggiorasse ancora“. Dopo Sofia è rimasta in silenzio. Lo stupratore l’ha riaccompagnata fino alla stazione di Mestre. E da lì lei è tornata a casa, iniziando a realizzare ciò che aveva subito. Tre mesi più tardi ha trovato il coraggio per denunciare l’accaduto. Tre anni dopo, vista l’assenza di giustizia, c’è da chiedersi che senso abbia avuto.