C’è ancora un’intensa nube di domande sulla morte della vigilessa 33enne Sofia Stefani, uccisa con un colpo di pistola al volto dall’ex collega Giampiero Gualandi, 63 anni, negli uffici del Comando di Polizia locale di Anzola dell’Emilia (Bologna) dove si sarebbero incontrati proprio il giorno del delitto per un motivo non ancora chiarito. L’uomo avrebbe avuto una relazione clandestina con la vittima e, a suo dire, avrebbe deciso di troncare nonostante le presunte resistenze della giovane. Ora è in carcere, indagato per l’omicidio, ma avrebbe dichiarato essersi trattato di un incidente: lo sparo sarebbe partito accidentalmente mentre puliva la sua arma d’ordinanza davanti a lei. Una versione che non ha convinto la famiglia della vittima né gli investigatori.
Il Resto del Carlino riporta le dichiarazioni di un amico della 33enne, un uomo che la conosce da oltre 20 anni e che ricorda il suo carattere solare e determinato a realizzare i suoi sogni. Uno di questi, il più importante, era proprio indossare quella divisa e lo aveva coronato con gioia dopo tanti sacrifici. Sofia Stefani, secondo la testimonianza raccolta dal quotidiano, amava molto il suo lavoro e non avrebbe mai parlato di Gualandi neppure alla cerchia ristretta dei suoi contatti. “Mai sentito nominare“, ha precisato nella sua intervista l’amico, dopo aver descritto l’ultimo incontro con la vigilessa: “L’ho vista circa 20 giorni fa, per l’ultima volta. Era normale, non ho notato nulla di strano o di diverso“.
“Sono esausto”: i messaggi di Gualandi alla vittima e il presunto movente del delitto
Nelll’ordinanza di custodia cautelare in carcere, ricostruisce Il Corriere della Sera, il gip avrebbe indicato l’evidenza che Gualandi “fosse stressato” prima dell’incontro con la ex collega. Una condizione che, secondo gli inquirenti, emergerebbe dal tenore dei messaggi che l’indagato avrebbe inviato a Sofia Stefani nei giorni precedenti al delitto e che renderebbe poco credibile la sua versione: anzitutto che non fosse a conoscenza dell’arrivo della 33enne al Comando e che il colpo sia partito accidentalmente.
Attualmente l’ipotesi di reato a carico del vigile 63enne è omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla relazione sentimentale con la vittima. Secondo l’accusa, un presunto movente potrebbe essere rintracciato nel “forte dissidio interiore” vissuto dall’uomo al momento dei fatti. Sempre stando a quanto riporta il quotidiano, la vittima avrebbe fatto almeno 15 telefonate a Gualandi il giorno dell’omicidio, l’ultima della durata di 7 minuti. Tra i messaggi che lui le avrebbe inviato, ci sarebbero frasi come “Sono esausto“, “Non sopporto più questa pressione“. Tra i colleghi che si trovavano negli uffici vicini alla scena del crimine nei minuti che hanno preceduto lo sparo, nessuno avrebbe sentito gridare. Uno di loro avrebbe visto Sofia Stefani sulla porta della stanza di Gualandi e non gli sarebbe sembrata agitata. La moglie dell’indagato sarebbe stata a conoscenza della relazione con la giovane vigilessa e si sarebbe avvalsa della facoltà di non rispondere davanti ai carabinieri. La versione di suo marito non reggerebbe e un dettaglio, in particolare, avrebbe spinto chi indaga a ritenere inverosimile lo scenario di un incidente: Gualandi avrebbe detto di aver deciso di pulire la pistola in vista di una imminente esercitazione al poligono. Un elemento, questo, smentito dalla responsabile del servizio di Polizia locale, Silvia Fiorini, che avrebbe riferito agli inquirenti che non era stata fissata alcuna data e che il collega non avrebbe avuto alcun motivo di procedere all’operazione in quanto ad occuparsi della pulizia delle armi sono gli operatori dello stesso centro di tiro.