Troppa grazia, o meglio troppo denaro. Come spenderlo? E chi lo spende? A una settimana dal Consiglio europeo, i dilemmi che stanno di fronte al Governo italiano sono diversi, ma non meno complicati. Sul piatto abbiamo 209 miliardi di euro, 82 dei quali a fondo perduto. Arriveranno l’anno prossimo e solo in base a un preciso programma che andrà presentato a ottobre, ma nel frattempo circa 20 miliardi potranno essere anticipati e usati anche per le spese effettuate da febbraio in poi. È esattamente quanto chiede il ministro della Salute Roberto Speranza. La sanità è una priorità, ma come finanziare tutto il resto? Si ripresenta, così, lo “spauracchio” del Mes: perché ricorrere al Meccanismo europeo di stabilità, con prestiti che oggi sono finanziariamente vantaggiosi? I grillini dicono no, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte li asseconda, anche se molti sostengono che il suo è piuttosto un ni. Prevale di nuovo il gioco politico o meglio “la teoria del partigiano” sugli interessi di fondo del Paese.



Intanto cresce il disavanzo e s’allunga la lista della spesa. Dopo il via libera delle Camere, il nuovo scostamento di bilancio arriverà a 25 miliardi di euro. Il pacchetto lavoro è via via salito a 10 miliardi da usare per rifinanziare la cassa integrazione e la Naspi, gli incentivi alle imprese per le assunzioni, la proroga del blocco dei licenziamenti e dello smart working anche nel settore privato. Il rinvio e la rimodulazione delle scadenze fiscali dovrebbero costare circa 4 miliardi, mentre la nuova dote per comuni e regioni è di circa 5,2 miliardi. Un miliardo sarà messo sul piatto per far ripartire la scuola e circa 800 milioni per il rafforzamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese. All’elenco si aggiungono nuovi aiuti per il turismo, ancora tutti da definire.



La Cassa Covid dovrebbe essere estesa di altre 18 settimane per le imprese che hanno esaurito le precedenti. Due le ipotesi allo studio: la possibilità di accesso con paletti, a partire dal calo del fatturato del 20%, per tutto il periodo, oppure un meccanismo in due tempi, consentendo a tutte le aziende di accedere alle prime 9 settimane e rendendola selettiva per la seconda tranche di 9 settimane. Tutte le altre imprese che non hanno registrato cali del fatturato potranno comunque ricorrere alla cassa Covid pagando un contributo del 10-15%. Solo per rifinanziare la cassa Covid saranno necessari tra i 6 e gli 8 miliardi di euro.



Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri intende riscrivere il calendario delle scadenze fiscali, in vista della riforma che dovrebbe introdurre il fisco per cassa si procederà con una rimodulazione e un alleggerimento dei versamenti sospesi e rinviati a settembre dai decreti anti-crisi. L’obiettivo è di spalmarli su un orizzonte temporale pluriennale abbattendo il più possibile le rate. Si valuta inoltre la possibile sospensione delle sanzioni per chi ha sforato le scadenze del 20 luglio.

Il Tesoro, dunque, continua ad allargare i cordoni della borsa per far fronte a un’emergenza che non è ancora finita e cerca di ammorbidire il colpo sull’occupazione. Insomma, la manovra d’agosto andrà a tamponare gli effetti sociali della crisi. E la ripresa? È un capitolo tutto da scrivere, al quale dedicarsi da Ferragosto in poi, ma la prima pagina è ancora bianca.

Prendiamo la sanità. Non basta certo dire che debbono aumentare i medici locali e i presidi di base, occorre pensare a un piano strutturale, di ampio respiro, che interessi una filiera complessa e davvero strategica che va dalla ricerca alla cura fino alla distribuzione, insomma dall’università alle farmacie passando per un’industria che va potenziata. Una piccola impresa italiana lavora al vaccino insieme all’università di Oxford, ma a produrlo sarà AstraZeneca, la multinazionale britannica; nessuna delle aziende italiane, per quanto dinamiche e innovative, ha la massa critica necessaria a sfornare e distribuire milioni e milioni di dosi.

È un esempio illuminante che ci porta nel cuore del sistema Italia. La ripresa dopo la pandemia dovrà puntare su alcuni settori che facciano da locomotiva, bisogna sceglierli e sostenerli con le risorse necessarie. Occorre favorire il rafforzamento delle imprese, farle diventare più grandi e solide, incentivare il salto tecnologico, colmare il divario digitale, sostenere la transizione energetica, riconvertire le aziende meccaniche verso nuovi prodotti e nuovi sbocchi, migliorare i servizi e accrescere la loro efficienza, scuotere la foresta pietrificata della Pubblica amministrazione, affrontare uno dei grovigli che si sono dimostrati finora inestricabili: la giustizia, a cominciare da quella amministrativa, vera zavorra che ostacola la crescita. Vasto programma, più che vasto, enorme.

Un libro dei sogni? Forse, ma senza di questo per l’Italia ci sarà declino, non sviluppo. In ogni caso, finora non esistono nemmeno i titoli dei capitoli. Sono invece già all’opera le solite manovre per accaparrarsi le fette della torta. Non si sta discutendo dei contenuti del programma, ma di chi lo dovrà gestire. Il presidente del Consiglio vuole tenere tutto nelle sue mani, a palazzo Chigi, intanto spunta l’idea di una nuova task force. Il Pd propone una commissione bicamerale per coinvolgere così l’opposizione. Conte teme un trappolone perché verrebbe comunque indebolita la sua leadership e non ci sarebbe più l’uomo solo al comando. Salta fuori anche l’idea di affidare tutto a un commissario di alto profilo, cioè Mario Draghi, il quale dovrebbe valutare i progetti che per ora non ci sono. Anche questa strada sembra astratta: spetta più che mai a chi guida il Paese la responsabilità delle scelte e della loro realizzazione. Se la guida è inesperta o incapace, allora va cambiata.

Se Draghi non Conte è l’uomo che potrebbe fare da garante presso l’Ue e i mercati internazionali, e nello stesso tempo convincere con la sua autorevolezza imprenditori, sindacati, magistrati, burocrati a remare tutti insieme nella stessa direzione, allora è meglio che abbia in mano la piena responsabilità del Governo. Scorciatoie, paraventi, pasticci politici e istituzionali finiscono solo per fare del male.