30 ANNI FA L’ARRESTO CHE DIEDE L’INIZIO A TANGENTOPOLI

30 anni esatti fa, il 17 febbraio 1992, l’arresto di Mario Chiesa cambiò per sempre la storia della politica italiana: l’ex presidente del Pio Albergo Trivulzio venne arrestato nel suo ufficio di via Marostica 8 a Milano alle 17.30 per ordine dell’inchiesta che emerse poco dopo con il nome di “Mani Pulite”. Corruzione, crollo Prima Repubblica, giro d’affari, ma anche giustizialismo, potere quasi illimitato dei pm e opinione pubblica “monopolizzata” sul fronte Tangentopoli.



Trent’anni dopo torna a parlare l’avvocato di Mario Chiesa, Stefano Banfi, per provare a raccontare più da vicino cosa non andò esattamente come la storia ha “registrato” negli anni traumatici di “Mani Pulite” e del pool dei vari Di Pietro-Davigo-Colombo-Borrelli-Greco: «Tangentopoli è stata un’inchiesta nata con i migliori auspici, che però scappò di mano ai giudici, ai media e a tutti i protagonisti. E se viene associata al momento in cui è stata scoperta la corruzione del sistema politico, allora si può dire che come inchiesta non è mai esistita», spiega all’Adnkronos il legale dell’ex esponente del Psi.



L’AVVOCATO DI MARIO CHIESA: “PER LUI NON C’È DIRITTO OBLIO”

«Per Chiesa il diritto all’oblio non può esistere», rivendica l’avvocato Banfi provando a spiegare perché la corruzione non nacque certo il giorno dei famosi soldi nel water dell’ufficio di Mario Chiesa. «Non è andata così», ribadisce il legale, «Chiesa che viene colto mentre getta nel water la tangente da 37milioni. Non è vero». I verbali del sequestro del famoso 17 febbraio 1992, spiega sempre al’Adn l’avvocato Banfi, riportano solo di 7 milioni messi in una busta nel cassetto della scrivania (banconote che erano segnate proprio per permettere l’arresto in flagranza): «Ma Chiesa percepì anche la tangente da 37 milioni, che mise in una borsa in una stanza attigua. Solo durante il primo interrogatorio, il 23 marzo, Chiesa decise di collaborare. Si aprì, raccontò». Qui il racconto si fa più fitto con la lettura dei verbali del processo, a domande pressanti dell’allora pm Di Pietro: «L’ultima volta in cui ricevetti una somma risale a due, tre ore prima dell’intervento dei Carabinieri, quando (omissis) mi diede la somma di 37 milioni. Somma, contenuta in una busta, che non fu rinvenuta nella perquisizione…si trovava in una borsa che fu da me svuotata e il contenuto…gettato nel bagno, ove mi recai più volte nel corso della perquisizione». A queste parole di Mario Chiesa però la realtà storica e giudiziaria intervenne per modificarne il contenuto: spiega infatti l’avvocato che «Lui effettua quelle dichiarazioni a verbale al solo fine di evitare il sequestro della somma. Chiesa era una persona che, come moltissimi esponenti di tutti i partiti, compreso il Pci, prendeva la tangenti, è vero». Mario Chiesa si è autoaccusato di quella tangente e accetta di spiegare di averla buttata nel water per evitare di essere “beccato”: quella immagina era potentissima, spiega l’avvocato, in quanto dava «un senso di disvalore che non c’era e non c’è nella realtà». Banfi si batte per riabilitare Chiesa quantomeno al tribunale della storia: «Chiesa ha commesso fatti illeciti ma per lui il diritto all’oblio non può esistere e questo è legato a qualcosa che non è mai esistito. Ma non è solo questo». In conclusione, il legale lancia il suo personale e importante ammonimento: «L’episodio di Chiesa identifica un contesto che sembra calato dall’alto, come se nessuno fosse a conoscenza di nulla. Ma prima di lui altri hanno commesso fatti illeciti in maniera forse più grave e di questi non siamo in grado nemmeno di ricordare i cognomi – puntualizza l’avvocato -. Il punto è che Tangentopoli è iniziata il giorno dopo che è stata votata l’amnistia per tutti i reati prima del ’90, un colpo di spugna su tutti i fatti di corruzione e concussione per i partiti».

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