Secondo un recente studio ci sarebbe un legame stretto tra la solitudine e lo sviluppo della memoria, soprattutto nei giovani. Condotto dal dipartimento di Psicologia dell’Università la Sapienza di Roma, lo studio si è concentrato su 235 studenti universitari, determinando che chi passa molto tempo da solo fatica, a lungo andare, a riconoscere i volti delle persone non familiari, ma che si sono conosciute ed incontrate diverse volte.
La solitudine, inoltre, sarebbe un’arma a doppio taglio, perché da questo condizionamento, il soggetto finisce in una sorta di baratro che non gli permette di intessere nuovi rapporti amicali. Ma procediamo per ordine, partendo dalle modalità con cui è stato condotto lo studio. Dei 235 partecipanti, 42 maschi e 192 femmine di età compresa tra i 18 e i 30 anni, circa il 50% aveva dichiarato di trascorrere molto tempo da solo. A tutti sono state mostrate, prima, le foto di alcuni soggetti di varia età che esprimevano felicità, rabbia o erano neutri, chiedendo di memorizzarli. In una seconda fase, poi, sono stati mostrati altri volti, mischiati ad alcuni di quelli già mostrati. Il peso della solitudine nel riconoscimento è stato del 35,6%.
Come la solitudine condiziona la memoria
Insomma, i partecipanti che avevano un alto livello di solitudine hanno avuto il 35,6% in meno di capacità di riconoscere gli stessi volti delle persone felici. Infatti, non è stata evidenziata alcuna discrepanza tra i partecipanti per quanto riguardava i volti arrabbiati o neutri. La conclusione? Chi passa molto tempo da solo, ha più difficoltà a ricordare i volti di persone non familiari, specialmente per quanto riguarda l’espressione di un sentimento di felicità.
Un risultato importante, che si allarga anche al periodo dei lockdown in cui tantissimi giovani sono stati costretti ad una sorta di completa solitudine. Inoltre, particolarmente preoccupante sarebbe la circostanza che i volti dimenticati più facilmente sono quelli felici, ovvero che dimostrano una certa apertura nei confronti dell’interlocutore. Si tratterebbe di una sorta di loop, in cui le persone con un alto livello di solitudine faticano a ricordare i volti di estranei felici, cronicizzando la loro situazione di isolamento. Inoltre, lo studio ha anche sottolineato come gli anziani soli cronici tendono ad avere una mortalità maggiore di circa il 20% rispetto a chi ha rapporti abituali con amici o estranei.