“Aumenta il rischio che l’obiettivo di zero emissioni entro il 2035, fissato dalla Commissione, non venga raggiunto a causa dell’insufficiente produzione di batterie o che sia raggiunto grazie a batterie o veicoli elettrici importati, a discapito della catena del valore delle batterie dell’Ue e dei relativi posti di lavoro. Aumenta inoltre l’incertezza in merito alla sicurezza dell’approvvigionamento delle materie prime necessarie per sostenere la produzione nell’Ue”. Il dibattito sul divieto di produzione, dal 2035, di auto che non siano elettriche (con l’eccezione di quelle a combustibile sintetico) pone grossi problemi all’industria automobilistica europea. Ma stavolta a sollevare dubbi sul futuro non sono gli oppositori politici dell’attuale Commissione Ue, bensì la Corte dei conti europea.
Nelle forniture per le batterie l’Unione Europea dipende da Paesi extra Ue. E dal 2030 si rischia una penuria di materie prime. L’Ue ha aumentato la capacità di produrre elementi di batteria agli ioni di litio, che potrebbe passare dai 44 gigawattora nel 2020 a 1.200 entro il 2030, ma ci sono fattori geopolitici ed economici che potrebbero ostacolare questa crescita.
Il problema vero, spiega Roberto Bianchini, professore a contratto di finanza infrastrutturale e direttore dell’Osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano, Academic Fellow per la Bocconi e partner di Ref Ricerche, sono gli obiettivi molto sfidanti della Commissione in materia di auto elettriche, che hanno una tecnologia più semplice delle auto attuali, e sulle quali la Cina è in grande vantaggio. L’industria europea potrebbe recuperare solo con la ricerca e l’innovazione.
Professore l’uscita della Corte dei conti europea è una sconfessione della direttiva Ue sulle auto elettriche dal 2035?
Quello delle batterie è sicuramente un elemento di rischio. Secondo la Corte il pericolo è che non ci siano abbastanza batterie, e di conseguenza quello di costruire una dipendenza come quella relativa al gas naturale. Ora, il segmento delle batterie è nuovo e in crescita, con un’attività di ricerca e sviluppo molto rilevante in cui ancora oggi si possono prospettare tante soluzioni di accumulo alternative rispetto al litio. Non si sa ancora quale sarà la tecnologia dominante fra dieci anni.
Nel documento, però, si dice che l’obiettivo delle emissioni zero è a rischio o comunque potrebbe essere raggiunto solo importando batterie e auto, quindi mettendo in pericolo i posti di lavoro in Europa. Un allarme che va raccolto?
Che le materie prime critiche siano da importare è abbastanza pacifico: si stanno scoprendo giacimenti ma hanno tempi di messa in esercizio lunghi. Sicuramente quella dipendenza ci sarà, come oggi abbiamo una dipendenza riguardo all’oil o all’acciaio. L’obiettivo delle auto elettriche non è l’autarchia, ma ridurre le emissioni. Certo, resta vero che probabilmente sono stati identificati degli obiettivi molto sfidanti a livello europeo, che potremmo non raggiungere o che potranno portare a incrementi di costo. Questo è indubbio.
Il problema però è che non siamo sicuri di sviluppare una filiera europea delle batterie. Cosa si può fare per questo?
È un po’ quello che è successo per i pannelli fotovoltaici: non si è sviluppata una filiera. È vero. Intanto però sulla parte di ricerca e sviluppo si sta investendo tanto, anche se non si sa ancora con precisione con quali risultati. Ci sono degli spazi di efficientamento sulle batterie al litio. Il rischio più grosso non è quello dell’approvvigionamento delle batterie, quanto che nelle auto elettriche i motori diventano molto più semplici. Tutto il vantaggio tecnologico che aveva il settore automobilistico europeo verso il resto dell’industria dell’auto viene perso. In questo la Cina è molto competitiva, non solo sulle batterie, ma proprio sulle vetture, che possono costare molto poco. E Pechino da questo punto di vista può essere molto aggressiva.
Le osservazioni della Corte dei conti europea non possono essere lette anche come un rimprovero alla Commissione, che non ha tenuto conto del pericolo di eccessiva dipendenza dall’estero?
Sì, probabilmente si tratta di una programmazione che non è stata fatta in maniera adeguata. A volte, però, sono proprio gli stimoli di policy, insieme agli strumenti di incentivazione adeguati alla ricerca e allo sviluppo, a spingere, a stimolare l’industria privata al raggiungimento degli obiettivi. Una cosa sono i materiali rari, di cui l’Europa è povera, e per i quali dovremo sempre dipendere dall’importazione, un’altra è lo sviluppo di tecnologie che, sempre sulla base di quelle materie prime, riducono del 50% il peso della batteria e garantiscono più autonomia all’auto.
In questa prospettiva le nostre aziende potrebbero non tenere più il passo?
Ci saranno vincitori e vinti. Ma già oggi l’industria automobilistica è basata su margini bassissimi e ha la necessità di creare player mondiali, perché se non c’è una scala di costi più che efficiente, che si può fare con dimensioni d’azienda enormi, non si riesce a competere.
Allo stato dei fatti, comunque, i vincitori sembrano o cinesi, o no?
Non sono così convinto che l’industria automobilistica europea non possa dire la sua. Ripeto: è anche molto una questione di ricerca e sviluppo, un campo in cui c’è bisogno di un forte supporto anche di tipo pubblico. Se si riesce a realizzare batterie molto più efficienti come peso e rendimento, a quel punto la tecnologia diventa di proprietà europea. I cinesi sono più avanti nello sviluppo della batteria ma non è detto che saremo inondati delle loro auto. Non sono sicuro al 100%.
Di fronte al monito della Corte dei Conti la Commissione non cambierà i suoi piani?
L’obiettivo che si sono posti lo trovo molto, molto sfidante: il 2035 è proprio dietro l’angolo. Potevano modulare tutto con tempistiche più lunghe. È anche vero che se si pone un obiettivo troppo lontano non è più credibile. Già oggi, d’altra parte, le auto cinesi stanno penetrando il mercato.
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