Una «crudele separazione» quella tra Russia e Ucraina. Così la definì Aleksandr Solzenicyn, il Premio Nobel che svelò gli orrori del Gulag all’Occidente. Tra i più grandi scrittori del Novecento, viene tirato in ballo da Francesco Borgonovo sulle colonne de La Verità perché le sue parole risuonano come una profezia sul destino di Kiev e Mosca. Non è la prima volta che accade però. Nel 2014, ad esempio, all’inizio della crisi russo-ucraina fu rievocato “Arcipelago Gulag“, libro scritto nel 1968 e pubblicato nel 1974. Alla luce della sua esperienza nei campi di lavoro, dove aveva «frequenti contatti amichevoli con gli ucraini», comprese «quanto doloroso rancore essi nutrono».



Quindi, Aleksandr Solzenicyn era già consapevole che le cose sarebbero andate «in modo estremamente doloroso» se non si fosse risolto il problema. E per farlo la Russia doveva mostrare buon senso. «Dobbiamo lasciare loro la responsabilità della decisione: federalisti o separatisti, a seconda di chi vincerà». Lasciarli liberi di autodeterminarsi per arrivare all’unità, perché solo così gli ucraini avrebbero capito che non tutto si risolve con la secessione. Dunque, Solzenicyn non si opponeva alla separazione tra Russia e Ucraina, ma ad una forzata.



DA DOVE COMINCIARE PER LA PACE

Non si doveva proclamare l’uscita dell’Ucraina dalla Russia senza richiedere «il parere del popolo». Nel 1990 scriveva: «Staccare oggi l’Ucraina significa passare attraverso milioni di famiglie e di persone». Ma milioni di russi etnici in Crimea e nel Donbass si ritrovarono cittadini di un altro Paese. Così si manifestarono i primi attriti, già nel 1992, quando il Parlamento regionale della Crimea dichiarò l’indipendenza dalla neonata Ucraina. Lo scrittore immagina una possibile convivenza basata sul rispetto reciproco, in modo molto concreto. No alla russificazione forzosa, così come alla ucrainizzazione forzosa, bensì «libero sviluppo parallelo di ambedue le culture, e classi scolastiche con l’insegnamento nelle due lingue, a scelta dei genitori».



D’altra parte, osserva che se davvero il popolo ucraino desiderava separarsi dalla Russia, nessuno doveva impedirglielo. In estrema sintesi, se non c’è possibilità di una federazione o unione allargata, allora resta solo l’autodeterminazione e la pari dignità. «Quest’ultima, almeno in Donbass e in Crimea, negli anni passati non è stata rispettata. L’ucrainizzazione forzata – piaccia o no – c’è stata eccome. Ora assistiamo probabilmente a un tentativo militare di imporre il contrario», osserva Francesco Borgonovo de La Verità. Dunque, per attualizzare il discorso di Solzenicyn: è giusto che l’Ucraina abbia la sua indipendenza se la vuole, come è evidente, ma ciò dovrebbe valere allora anche per Crimea e Donbass. Si potrebbe partire da qui, da Solzenicyn, per gettare le basi per veri negoziati di pace.