SONDAGGI – Solo il 6% degli italiani è favorevole a un intervento militare della Nato nella guerra fra Russia e Ucraina e ancora meno, il 3%, a un coinvolgimento diretto dei soldati italiani. Il 40% è però d’accordo sul fatto che si inviino armi per consentire all’esercito di Kiev di difendersi da Mosca, perché queste forniture non equivalgono a un’entrata in guerra.



Due terzi dei nostri concittadini spingono affinché si mantengano le sanzioni contro Putin e il suo paese, invece uno su 5 chiede maggiore neutralità: molto probabilmente è la fetta di opinione pubblica che prima dell’invasione era fermamente convinta della necessità che si muovessero le diplomazie per scongiurare il conflitto. Ecco cosa pensano gli italiani, un mese dopo l’inizio dei combattimenti, di questa guerra secondo il sondaggio condotto da Tecnè, da cui emerge “un atteggiamento di grande cautela – come osserva Carlo Buttaroni, fondatore e presidente di Tecnè – e un sostanziale allineamento degli italiani alle posizioni assunte dall’Europa”.



Cosa dovrebbe fare l’Italia nel contesto attuale della guerra?

Premesso che il nostro era un sondaggio a risposta multipla, l’intervento più condiviso è il mantenimento delle sanzioni economiche contro la Russia: la pensa così il 66%, più bassa è la percentuale, 40%, di chi sostiene che è giusto mandare armi per sostenere l’esercito e la resistenza ucraina.

Ma questo non significa entrare in guerra?

No, per gli italiani non è così. Ma hanno paura di entrarci.

E come la pensano su un eventuale intervento militare diretto?

Non è per nulla auspicato. Solo il 6% è favorevole a sostenere l’intervento militare della Nato, ancora meno, appena il 3%, è d’accordo su un eventuale invio di soldati italiani per aiutare l’esercito ucraino. Ma il dato interessante è c’è un 19% che ha detto: l’Italia non deve intervenire affatto, deve tenersi fuori, rimanendo neutrale.



C’è anche chi spinge perché l’Italia si faccia promotrice di un negoziato, di una trattativa diplomatica?

È ciò che si augurerebbero tutti, probabilmente soprattutto quel 19% favorevole alla neutralità del nostro Paese. Il punto è capire se l’Italia in questo momento è nel campo di gioco che permette di svolgere questo ruolo negoziale. Essendo nella Ue e nella Nato, non è che l’Italia decide di muoversi da sola.

Che idea si sono fatta gli italiani di Biden, Putin, Zelensky, la Ue e la Nato?

Zelensky raccoglie simpatie e solidarietà da tutti, si è dimostrato un vero leader. La Ue ha dimostrato una compattezza che le ha fatto riconquistare consensi. Su Biden e sulla Nato gli italiani, pur essendo filo-occidentali convinti, un puntino di sospensione ce l’hanno messo: più che diffidenza, è cautela.

Perché?

Vedono gli Usa e la Nato, che è a guida Usa, come soggetti lontani dalla nostra cultura. Se in alcuni paesi, come la Francia, mostrare i muscoli accresce l’orgoglio nazionale, l’Italia è più propensa a trovare soluzioni più rotonde e meno spigolose.

E su Putin?

L’opinione prevalente è che l’Italia doveva fin dall’inizio spingere con maggiore forza per aprire un dialogo con lui.

Dal sondaggio emerge che il 21% non sa indicare cosa dovrebbe fare l’Italia in questo frangente. Dove cercano informazioni gli italiani?

Oltre il 90% si informa guardando la televisione, mentre il 70% cerca notizie su internet, dove ci sono canali più o meno affidabili. Ma soprattutto si affidano ai social, dove invece molti fatti non sono verificati e circolano una marea di fake news.

A chi credono di più?

Sul piano emotivo, il primo livello, vince ovviamente la solidarietà all’Ucraina, quasi impossibile non esserlo. Poi ci sono due sotto-livelli: i poco informati e i molto informati. I primi si alimentano di fake news e tra loro si notano sia gli ultras di Zelensky che quelli di Putin. I più informati, invece, si concentrano sulla domanda: Putin ha ragione o no a sentirsi minacciato dalla Nato?

E dal dibattito che cosa esce?

Una sorta di ideologizzazione, le due parti cioè restano divise anche sull’oggettività dei fatti storici, alla fin fine si accusano a vicenda di essere o filo-Nato o filo-Putin. Prevale, insomma, una polarizzazione, un muro.

Quanto è diffusa la preoccupazione per il possibile scoppio di una terza guerra mondiale?

La paura di una escalation militare è molto alta: tocca il 40% della popolazione.

Fa più paura il possibile allargamento del conflitto o le conseguenze economiche indotte dalla guerra?

In questo momento a prevalere è il fantasma della guerra, dei bombardamenti: è una guerra che fa molta paura, perché molti l’hanno vissuta, molti hanno ancora vive le immagini dei conflitti più recenti. E poi sta accadendo alle porte di casa.

Lavoro, Pil, potere d’acquisto sono da sempre in cima ai timori degli italiani, e la guerra rischia di amplificarne l’effetto. Che cosa temiamo di più?

Finché potremo accendere la luce e finché gli scaffali dei supermercati non saranno vuoti, non spaventano così tanto.

Però i prezzi sono aumentati: bollette, carburanti, carrello della spesa…

Comincia a destare preoccupazione, perché si inizia a parlarne, la carenza di materie prime alimentari, come il grano. Piano piano gli italiani se ne renderanno sempre più conto. Ma lo scenario peggiore è un altro.

Quale?

Se anche domani si trovasse un accordo fra Mosca e Kiev, gli effetti di quel che sta succedendo dureranno anni, non sarà facile ricostruire una rete dei commerci come prima della guerra, alcune barriere rimarranno a lungo. E poi c’è un tema su cui ci si sofferma troppo poco: il debito. Il debito globale è due volte e mezzo il Pil globale e questo debito viaggia, è intrecciato in una rete di relazioni. Sarà un problema devastante.

Gli italiani sono convinti di essere già in un’economia di guerra?

No, ancora no.

Come si sta muovendo il governo Draghi?

Sul tema della guerra c’è una sospensione di giudizio. La paura di un’escalation fa restare gli italiani alla finestra, c’è una sorta di cauta attesa. Vogliono capire che cosa farà, ma si rendono conto che la scelta non dipenderà solo da noi. Comunque la fiducia in Draghi sta calando: a dicembre 2021 era al 64%, da un paio di settimane è scesa intorno al 54%.

Colpa di questa guerra?

Un governo si misura essenzialmente sulle misure economiche. La sua fiducia si fondava sulla convinzione che fosse capace di risollevare la nostra economia. Da questo punto di vista gli italiani fanno i conti: quando vanno a fare la spesa, quando ritirano lo stipendio, quando e se trovano o perdono il lavoro… La guerra tutt’al più può fare da amplificatore.

Temono l’arrivo della recessione o i morsi dell’inflazione?

Alla recessione ancora non pensano, l’inflazione gli si materializza davanti agli occhi ogni volta che devono mettere mano al portafoglio.

Quanta paura fa oggi il Covid, che sta rialzando la testa?

Molto meno di prima. Ed è ben lontano dall’ansia per il carovita e per la guerra.

(Marco Biscella)

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