SONDAGGI – Europee alle porte? Non proprio. Almeno per gli italiani, che ancora non ci pensano. “Candidarmi sarebbe importante per la verifica del consenso” ha detto ieri la Meloni, che starebbe ancora riflettendo sul da farsi, anche se l’ammissione pubblica è la conferma di quello che tutti sapevano. E con la sua dichiarazione la presidente del Consiglio sembrerebbe ad un passo dal sì.



Secondo Carlo Buttaroni, sondaggista, presidente di Tecnè, i leaders  candidati trainerebbero i partiti, ma non sempre e non in misura apprezzabile, a cominciare dalla stessa premier (+0,3%). Gli astenuti/incerti, pari al 44,1% se si votasse per le politiche, salgono di 2 punti in previsione delle europee. Questa la fotografia al momento. La vera incognita che può spiazzare tutti è un’altra, spiega il sondaggista, e si chiama crisi economica.



Buttaroni, cosa dicono i vostri numeri?

Abbiamo raccolto l’orientamento degli elettori rispetto ai partiti con e senza il leader in campo. In questo momento FdI sarebbe il partito che più beneficerebbe del traino della leader, che varrebbe tre decimali in più. La Lega invece perderebbe lo 0,1, e qualcosa perderebbe anche il Pd con la Schlein sulla scheda. Le oscillazioni sono sempre molto basse, di pochi decimali.

I leader trainanti?

Meloni, Conte e Tajani, o perché la loro leadership attrae – Meloni e Conte – o perché tranquillizza l’elettorato, come nel caso di FI.

A chi appartiene la minusvalenza della leadership?



Al Partito democratico.

Tutti questi significa sfiducia nei leaders che non si sono candidati?

No, vuol dire che le elezioni sono ancora lontane. Tutto può cambiare nel momento in cui si entra nel clima elettorale vero e proprio. In questo momento per gli italiani non c’è nessun voto in vista, c’è solo per gli “addetti ai lavori”.

Quello che chiama “clima elettorale”, che poi si riflette nella volatilità della decisione, influisce così tanto?

Sì, perché oggi l’elettore può orientarsi su un partito, ma quando siamo a 15 giorni o a una settimana dal voto quella disposizione può cambiare. Può cambiare anche il giorno stesso. Lo dico anche contro il mio interesse.

Che cosa significa?

Oggi una intervista tv, un tweet, una breaking news fanno cambiare o vacillare opinioni che sono molto meno radicate di prima, quando i comportamenti venivano orientati dalle ideologie politiche novecentesche, diciamo dagli ancoraggi forti. Quindi i sondaggi registrano le intenzioni di voto ma queste intenzioni sono molto “leggere”. Se al telefono dò la mia preferenza a un partito, so che quella risposta non avrà ricadute. Quando invece andrò fisicamente al seggio, so che ne avrà eccome.

Il clima elettorale può fare molto, ma ammetterà anche lei che difficilmente un’opzione per Schlein cambierà in direzione Meloni o Salvini.

È difficile ma meno improbabile che in passato. Non dobbiamo dimenticare che tra le politiche 2018 e le europee 2019 quasi due terzi degli elettori cambiarono voto. Di conseguenza la fluidità elettorale non può essere inscritta solo nel centrodestra o solo nel centrosinistra. Questi perimetri hanno recinti molto meno alti, e gli elettori, con un po’ di slancio, li possono superare agevolmente. Il 34% di Salvini del 2019 si spiega in questo modo.

Vale anche per la Meloni?

Sì. In questo momento è un leader molto forte, e può catalizzare il consenso di elettori che non sono di destra, ma può sempre cambiare tutto.

Insomma, nessuno è al sicuro.

Nessuno deve pensare di avere una rendita di posizione.

Quanto valgono i partiti nazionali?

Se si votasse oggi avremmo FdI 28,9%, Pd 19,3%, M5s 16,2%, FI 9,4%, Lega 8,5%, Azione 3,8%, Verdi-SI 3,4%, Iv 3%, +Europa 2,4%.

Veniamo al dato normalmente più tragico, o più interessante in prospettiva elettorale: gli astenuti e gli incerti. Quanti sono e cos’hanno in mente?

Sono pari al 44,8% nel momento in cui chiediamo cosa farebbero se si votasse per le politiche. Salgono al 46,4% se si vota per le europee senza leaders in campo. Con i leaders in campo scendiamo al 45,8%. Sono percentuali che si spiegano con la distanza dall’evento del voto. Non è disinteresse o intenzione di astenersi, magari lo diventerà dopo, ora non lo sappiamo. Per il momento vuol dire osservare la partita e rinunciare a indossare una maglia.

Ma che cos’è oggi per gli italiani il voto europeo?

Un voto “italiano”, una proiezione in Europa di un comportamento di voto relativo all’Italia. Il sistema di governance europeo è complicato, la maggioranza degli italiani non lo conoscono, non sanno la differenza che c’è tra le istituzioni europee e i poteri che hanno. Di conseguenza il voto viene “indebolito” nell’immaginario che va a determinare.

Il consenso del Governo?

Il 41,1% ha fiducia nel Governo, il 52,1% non ne ha. Significa che il Governo Meloni raccoglie ancora una buona quota di fiducia da parte degli elettori. I governi solitamente cominciano a soffrire quando si scende sotto il 34-33%, sotto il 30% non reggono. Va detto che alle ultime politiche ha votato solo il 63,9%, quindi il 43,7% di consensi ottenuto dal centrodestra equivale a circa il 27% del totale degli aventi diritto. Questo fatto “alza” la percentuale del gradimento attuale del Governo: è di 14 punti più alto delle politiche del 2022.

Questo consenso può assicurare alla Meloni il 30% alle europee?

No, sia per le ragioni dette, sai per un altro fatto molto importante. I prossimi 3-4 mesi saranno decisivi e molto impattanti dal punto di vista economico. Il primo trimestre dell’anno solitamente va al traino di quello precedente. L’ultimo trimestre del 2023 è stato un po’ debole; se il primo trimestre parte male, le ripercussioni sui cittadini e sulle politiche economiche del Governo sarebbero pressoché immediate.

Anche sul voto?

Sì, perché la distanza tra l’economia e il comportamento di voto oggi è molto breve, molto “corta”.

L’impatto riguarderebbe anche le comunali e le regionali?

No, perché alle amministrative si voterà per il sindaco o il governatore, alle europee invece sarà come se si votasse per la politica italiana. E l’economia sarà un giocatore in campo.

Quando potrebbe sottrarre la crisi economica, se grave, in termini di consenso, e a chi? Si può ipotizzare?

Difficile dirlo. Tutti i Paesi europei sono sotto pressione. L’Italia lo è un po’ di più per il debito stratosferico che porta sulle spalle. Ci sono molti “se” a condizionare l’andamento dell’economia e l’equilibrio dei conti pubblici: se la BCE non abbassa i tassi, se l’inflazione non scende, se i venti di guerra non cessano, se i consumi si raffreddano. E se ci sarà la crisi non sappiamo quanto scaricherà a terra e colpirà le famiglie.

Dunque come reagirà l’elettorato dipende da come risponderà il Governo.

Esatto. Insomma, i prossimi mesi saranno fondamentali e verso aprile-maggio si capirà la traiettoria elettorale che ci porterà alle elezioni. Una cosa è certa: il voto di giugno condizionerà gli equilibri politici della legislatura per i prossimi anni.

(Federico Ferraù)

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