Concordano tra loro i principali istituti di sondaggi all’indomani dell’uscita di Luigi Di Maio dal Movimento 5 Stelle e dalla nascita della sua nuova formazione politica, Insieme per il futuro. Nessuno, infatti, valuta il nuovo partito superiore al 2,5%, al massimo si arriva al 3%.
Una situazione analoga, ci ha detto in questa intervista Roberto Weber, responsabile dell’area sondaggi di Ixè, “a quella di Calenda o di Renzi, che raccolgono tra l’1,5 e il 2%. Hanno però una caratteristica, questi partiti, quella di avere un nucleo di seguaci fedelissimi, che non li lascerà mai”. Nonostante questo, ci ha detto ancora Weber, nessuno di loro è in grado di creare un grande centro, “che pure avrebbe un buon potenziale, che va dal 10% al 15%”, perché nessuno dei suoi leader ha carisma e potenzialità federative”.
Sembra che tra i sondaggisti ci sia unanimità nel dare alla nuova formazione di Di Maio consensi tra il 2% e il 3% al massimo. È così?
Sì, è così, non supera il 3%. È quanto si riscontra in formazioni come quelle di Calenda o di Renzi, che sono su percentuali minime, tra l’1,5 e il 2%, ma hanno quello che si può definire un “nucleo partigiano” molto forte.
Sarebbe?
Sarebbe quello che si registrò quando finì il Partito socialista, tanto che per ragioni varie, dalla rabbia per quella che consideravano una persecuzione politica contro Craxi al richiamo evocativo della loro storia, quelli che rimasero rimasero per sempre. Ma se hanno un nucleo duro, queste formazioni di oggi hanno difficoltà a espandersi.
Sono però un bacino di voti che fa comodo alle grandi coalizioni, vero?
Non c’è dubbio, ma dal punto di vista dell’impatto sull’elettorato e la capacità di costruire un aggregato più vasto restano molti dubbi. Quello che riesce nelle aule parlamentari è difficile da realizzare nell’opinione pubblica.
Quanto può valere oggi e quanto potrà valere in prospettiva il “campo largo” a cui pensa Letta? Vi rientrerà anche Di Maio?
Non credo a una aggregazione di questo tipo, Di Maio verrebbe sbranato subito. Già si sbranano così, e con un Di Maio all’interno sarebbe ancora peggio. La dimensione del centro ha un perimetro potenzialmente largo, che va dal 10 al 15% o anche di più, ma dipende moltissimo da chi crea questo centro. Non possono farlo Calenda, Di Maio, la Bonino, Renzi, Toti o la Carfagna. Non li vedo capaci di federarsi. Se lo facesse uno come Draghi, allora sì, ci sarebbe questo grande centro, ma Draghi è l’ultima cosa che intende fare, non ne ha alcun interesse. Ci vuole un federatore carismatico o un disegno politico innovativo.
Senza Di Maio il M5s cosa vale?
Non va sotto al 10%. Il punto però è un altro.
Quale?
Hanno un posizionamento che è diventato difficile.
Perché?
Perché non riescono a esprimere quel potenziale che apparteneva loro. Dovrebbero darsi una svolta, anche a rischio di stare fuori dal governo, magari non in modo radicale, votando ogni tanto qualchemisura di sostegno al governo, altrimenti da oggi al momento del voto di loro non resterà nulla o quasi.
Fratelli d’Italia è sempre il primo partito?
FdI e Pd sono più o meno alla pari, il Pd un pochino più avanti, con un 22,5% rispetto al 21,8% della Meloni. Fratelli d’Italia potrebbe crescere, vista la parabola discendente che non si ferma della Lega, ma il Pd prima del voto salirà molto di più. Il punto è che quello che prende porta via da altri, non va a recuperare fra gli astensionisti o nell’elettorato passivo. I dem non mettono in campo politiche per poter attirare quei voti.
(Paolo Vites)
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