SONDAGGI – Il 62% degli italiani promuove la campagna vaccinale; la percezione che il Covid sia un pericolo è in calo dal 57% di dicembre al 39% di fine maggio; il balzo in soli tre mesi dall’11% al 48% di chi vede oggi una luce in fondo al tunnel. Secondo Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos, è su questi tre pilastri che si fonda quel rimbalzo della fiducia messo in evidenza qualche giorno fa dall’Istat, confermato il 31 maggio dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, infine ribadito dallo stesso presidente del Consiglio, Mario Draghi. Ma non è il momento di “far squillare le trombe”, perché – aggiunge Risso – sullo sfondo resta sempre il grande timore per la crisi economica, a partire dal lavoro, che “per l’82% degli italiani è la prima preoccupazione”.



L’Istat ha dichiarato che l’indice di fiducia dei consumatori, a maggio, è salito a quota 110,6, ai massimi dal gennaio 2020, cioè prima dell’era Covid, mentre quello delle imprese, in crescita ormai per il sesto mese consecutivo, è passato da 97,9 a 106,7, mai così in alto dal 2017. E anche il premier Draghi ha dichiarato: “Questa Italia è viva, forte, e ha tanta voglia di ripartire. Si percepisce sollievo, entusiasmo, una voglia di ricominciare e sprigionare le proprie energie produttive e imprenditoriali”. L’Italia sta ritrovando fiducia?



Sì, ma nel contesto di una dinamica globale la sta ritrovando lentamente. Infatti, in base all’indice di fiducia globale rilevato in 24 paesi da Ipsos, il paese in cui l’indice di fiducia è più alto, con il 72,1%, è la Cina, seguita dall’Arabia Saudita con il 63,9%, poi c’è il primo paese europeo, la Svezia, con il 56,4%, gli Usa sono al 55,8%, il Regno Unito al 51,5% e la Germania al 51,3%: questi sono i paesi in cui più della metà della popolazione ha fiducia nella ripresa, nel futuro.

E l’Italia?

Gli italiani fiduciosi a novembre erano 34 su 100, oggi la percentuale è salita intorno al 40%: abbiamo preso, dunque, una bella botta di fiducia, ma abbiamo ancora molta strada da percorrere.



Come si spiega questa risalita della fiducia?

È una ripresa che si fonda su tre elementi centrali. Innanzitutto, il giudizio positivo sulla campagna vaccinale: in aprile il 34% degli italiani dava un giudizio favorevole, oggi sono diventati il 62%, quasi il doppio in poco più di un mese. I giudizi negativi invece sono scesi dal 43% di aprile al 19% di fine maggio.

Il piano vaccinale Draghi-Figliuolo viene dunque promosso dagli italiani?

Esatto.

Il secondo elemento?

Cala il senso di minaccia del Covid: rispetto a marzo si registra una sensibile riduzione della percezione che il Covid sia un pericolo per sé del 9%, dal 46% al 37%, e per il paese del 18%, dal 78% al 60%.

Qual è infine il terzo elemento che spiega la ripresa della fiducia?

Tra marzo e maggio è aumentata dall’11% al 48% la quota di chi vede la luce in fondo al tunnel, di chi è convinto che il peggio sia passato. Una prospettiva praticamente ribaltata. Attenzione, però: non è ancora il momento di far squillare le trombe, perché se a dicembre il 57% degli italiani aveva più paura del Covid che della crisi economica, oggi il 61% teme di più la crisi economica.

Anche a maggio dello scorso anno il governo aveva concesso delle riaperture, gli italiani si apprestavano a godersi le vacanze e nel paese c’era la percezione che il peggio fosse alle spalle. Cosa è cambiato adesso rispetto a un anno fa?

Alla fine della prima ondata della pandemia, con la sensazione di averla superata, c’è stata una fase generalizzata di spensieratezza. Oggi, dopo essere passati attraverso altre due ondate di Covid, il rasserenamento è una curva in graduale ma forte risalita: è passata dall’11% di metà marzo al 22% di metà aprile, al 30% di fine aprile, al 42% di metà maggio e oggi appunto al 48%. È una presa di coscienza, destinata a consolidarsi, basata sulla constatazione che si stanno facendo cose grazie alle quali si sta mettendo un po’ più in sicurezza la salute delle persone. Insomma, è un rasserenamento più ragionato, supportato anche dalle riaperture decise dal governo, che stanno dando un po’ di fiato a famiglie e imprenditori, e dai risparmi accumulati in questo anno e mezzo, che possono rappresentare un potenziale spendibile per gli acquisti. Ma c’è ancora un rischio depressivo.

Quale?

Che una volta superata l’emergenza Covid, ci si possa trovare di fronte a tensioni sociali.

Si corre ancora questo rischio?

Le tensioni sociali covano nel momento in cui quote significative di persone hanno paura di finire in cassa integrazione, di essere licenziate, di perdere definitivamente la propria attività. Tre fenomeni da gestire con molta attenzione.

In effetti la pandemia ha messo in crisi il lavoro. Il rischio di perdere la propria occupazione è oggi la principale preoccupazione?

Alla domanda “Con quante probabilità pensi di essere messo in cassa integrazione?”, il 16% dei lavoratori dipendenti risponde che ha oltre il 75% di probabilità di finirci. Altrettanto pericoloso è il fatto che risponde così il 18% delle donne: torna cioè pesantemente un tema di genere che va affrontato. E la paura della Cig tocca il 30% dei ceti medio-bassi.

A livello territoriale?

Nel Centro Italia la percentuale è al 22%, al Sud al 17%, al Nord-Ovest al 15% e al Nord-Est al 9%.

E sul rischio di essere licenziati?

Un milione id lavoratori dichiara di avere più del 75% di probabilità di perdere il proprio posto di lavoro: è il 7% della forza lavoro attiva.

Lo sblocco dei licenziamenti, previsto tra un mese, diventa quindi una sorta di svolta cruciale per il governo e per la tenuta sociale del paese?

Dipende da come verrà gestito. Il lassez faire non fa bene alla società. Il tema non è sblocco sì-sblocco no, ma diventa come si affronta la fase di transizione che ci riporterà alla normalità. Il 39% degli italiani vorrebbe che questo sblocco – perché prima o poi ci si arriverà – avvenga a dicembre 2021 e non prima. Ma a prescindere dalla data, il nodo è come lo si gestirà.

Secondo lei?

Prima si affronta il problema, meglio è. Il che vuol dire dotarsi degli strumenti straordinari che non scarichino sui segmenti sociali più deboli i costi del Covid. Bisogna aiutare le ristrutturazioni delle imprese che operano nei settori che hanno sofferto la crisi, bisogna attuare politiche di riqualificazione professionale per creare nuovo capitale umano e bisogna gestire non con sussidi assistenzialistici ma con percorsi di accompagnamento il passaggio da un lavoro all’altro, perché ci saranno senz’altro nuovo lavoro, nuova crescita, nuove opportunità.

Oltre al lavoro, quali sono oggi le altre principali preoccupazioni degli italiani?

Per l’82% degli italiani il lavoro e l’economia sono la prima preoccupazione, al secondo posto con il 60% c’è la situazione sanitaria. Seguono poi con il 33% il funzionamento delle istituzioni, a partire dalle semplificazioni e dalla sburocratizzazione, con il 21% il ripensamento del welfare e con il 15% il tema, oggi sotto traccia ma sempre presente, dell’immigrazione.

Dal punto di vista sociale quali effetti collaterali ha prodotto la pandemia?

Il primo effetto collaterale è stato sui giovani: in Italia quelli che sentono più a rischio il proprio futuro sono il 62%, mentre in Germania sono solo il 42%, in Francia il 45% e nel Regno Unito il 53%. La pandemia ha quindi prodotto un infragilimento dei progetti dei giovani. Inoltre ha mostrato con grande evidenza che il sistema di welfare italiano è garantito dalle donne: il 54% delle lavoratrici ha dovuto far fronte ai carichi familiari e i ritardi sulle pari opportunità richiedono interventi urgenti. Terzo aspetto: il 90% degli italiani è oggi consapevole dello stretto legame che esiste tra ambiente, salute ed economia. Infine, per il 56% degli italiani si sono ridotte le reti relazionali.

Gli italiani si stanno già preparando al post-pandemia? Con quale stato d’animo?

Il post-pandemia è come un pendolo che oscilla lungo tre punti: l’aspetto sanitario, quello economico e la voglia di libertà. Gli italiani non vogliono più sentir parlare di Covid, ma sanno che esiste, quindi libertà sì, ma con cautela. Quanto all’aspetto economico, hanno qualche risparmio in più da parte, ma pende l’incognita del lavoro. Di certo non si tornerà a fare le stesse cose che facevamo prima.

La pandemia è stata come una guerra. Il paese ripartirà come un elastico o la ripresa sarà lenta?

Premesso che non ho la sfera di cristallo, la forza della ripartenza sta innanzitutto nella capacità di non deprimere la fiducia degli italiani con azioni squilibrate che non puntano a far ripartire tutti, bensì rischiano di abbandonare qualcuno per strada; e poi nella possibilità di dare enorme spinta all’innovazione sistemica del paese. In terzo luogo, non si riparte con l’assistenzialismo, è necessario invece investire sulla nascita di nuove imprese. Quarto: occorre degerontocratizzare il paese, lasciando spazio e forza a giovani e donne. Altrimenti finiremo, come sempre, per spartirci solo le briciole.

Alla luce di quanto abbiamo detto, negli ultimi due mesi come si è mosso il gradimento per Draghi e per il suo governo?

La fiducia in Draghi, dopo una fase di assestamento a marzo, quando sembrava che non ci fosse un cambio di passo rispetto al Conte 2, è in costante crescita: è partito con il 63%, a metà aprile è sceso al 53% e da lì è risalito all’attuale 60%. Quanto all’azione di governo, è partita a febbraio con il 57%, è calata al 50% a marzo e oggi è tornata al 57%. Due trend che nell’ultimo mese sono in costante risalita.

(Marco Biscella) 

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