Al di là di quello che potevano dire alcuni sondaggi elettorali, la corsa di Salvini si è fermata e la spallata al governo Conte non c’è stata, ma i risultati delle elezioni in Emilia-Romagna faranno presto sentire i loro effetti. Ne è convinto Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè. “La vittoria di Bonaccini apre per il Pd più problemi di quanti ne risolva, perché allunga la lista dei potenziali leader che potrebbero in futuro contendere a Zingaretti la direzione del partito”. Il ruolo delle Sardine? “Hanno orientato gli elettori delusi dei Cinquestelle verso Bonaccini”. La Lega? “Resta un partito fortissimo, ma ora deve trovare la chiave giusta per conquistare i voti dei moderati”. E i Cinquestelle? “Il 50% dei loro elettori alle politiche e alle europee hanno votato per Bonaccini, il 20% per Borgonzoni. Come già successo con la Lega, anche con il Pd, per i Cinquestelle coabitare al governo ed essere in conflitto a livello locale è una contraddizione che non sanno risolvere e che ogniqualvolta si vada ad un appuntamento elettorale li vede soccombenti”. “Il tripolarismo è già finito? “Se non è finito, è senz’altro messo a dura prova”.
In Emilia ha vinto Bonaccini e il Pd è tornato a essere primo partito. Ma si può dire che ha vinto il Pd di Bonaccini più che il Pd di Zingaretti?
Direi proprio di sì. Ha vinto il Pd di Bonaccini ed è stata una vittoria istituzionale.
Con quali effetti?
Questo successo, forse – e uso volutamente la formula dubitativa – aprirà più problemi di quanti ne risolva. Intanto con Bonaccini si allunga la lista, già lunga, dei possibili leader che potrebbero contendere a Zingaretti il ruolo di segretario del Partito democratico in un prossimo futuro. In più, è una vittoria che si presta a tante interpretazioni e siccome il Pd è un partito in cui convivono tesi e sensibilità molto diverse, ogni pezzo del partito potrà intestarsi questa vittoria come giustificazione e rafforzamento della propria teoria. E questo potrebbe accendere nuove tensioni interne.
Nella vittoria di Bonaccini quanto hanno pesato le Sardine?
Le Sardine sono un movimento civico che rappresenta un sentimento, sono una forza orientante di centrosinistra e anti-sovranista, per cui è impossibile quantificarne il peso elettorale. Di certo, le Sardine hanno pesato in una doppia direzione sul comportamento di voto: da una parte, hanno mobilitato le persone, innescando il duello a distanza con Salvini, o meglio con un certo modo di fare politica che loro non condividono; dall’altra, orientando gli elettori delusi dei Cinquestelle verso Bonaccini.
Dove ha sbagliato Salvini?
È difficile dire che abbia sbagliato, perché la Lega è il secondo partito dopo il Pd. Rimane un partito fortissimo anche in Emilia-Romagna.
Però, fino agli ultimi sondaggi, si parlava di competizione giocata sul filo dei voti. Come si spiega il distacco finale di otto punti?
Il giorno del voto – ma ormai siamo abituati a questi cambiamenti repentini dell’opinione pubblica – è cambiato il piano su cui i cittadini dovevano scegliere. Una volta entrati nella cabina elettorale, non era più un piano nazionale, ma è diventato improvvisamente un piano locale: nella scheda non hanno trovato Bonaccini contro Salvini, non hanno dovuto scegliere se mantenere in carica il governo o farlo cadere. Vorrei, però, sottolineare una cosa: non si può dire che la Borgonzoni non fosse adeguata, il punto è che la narrazione di tutti i media ha sempre parlato dello scontro Bonaccini-Salvini, relegandola in secondo piano. Con il 44% la Borgonzoni ha comunque ottenuto un buon risultato.
L’analisi dei flussi elettorali conferma la forza della Lega nei centri minori, ma non nelle grandi città. Cosa deve fare Salvini per colmare questo gap?
La composizione socio-economica anche del voto in Emilia-Romagna mostra che la Lega e Fratelli d’Italia vanno bene nei centri più piccoli e laddove ci sono più conflittualità, più contraddizioni, più sofferenza sociale. Il centrosinistra al contrario va meglio nelle grandi città e laddove la qualità della vita è più alta. Il problema, quindi, vale per tutti e due gli schieramenti: la sinistra deve riconnettersi con quelli che sono i suoi insediamenti tradizionali e specularmente anche il centrodestra deve riconnettersi con quell’area moderata, il ceto medio decaduto, che oggi in gran parte non va a votare e che oggi è il principale bacino di approvvigionamento dell’astensionismo.
Non a caso Renzi ha dichiarato che “i moderati fuggono da Forza Italia perché con Salvini non si sentono a casa”. È davvero così? E dove possono approdare secondo i sondaggi questi voti dei moderati?
Il calo netto di FI in Emilia-Romagna è legato alla forte polarizzazione della sfida Bonaccini-Salvini, tanto che anche FdI, pur crescendo, è stata un po’ sotto rispetto alle sue potenzialità attuali. Detto questo, se l’analisi è che Forza Italia si sta svuotando e Renzi pensa di poter prendere quei voti, ha ragione fino a un certo punto.
Perché?
Innanzitutto, FI vale, grosso modo, ancora il doppio di Italia Viva. In secondo luogo, stiamo parlando di elettorati che difficilmente possono passare da Berlusconi a Renzi, perché sono molto diversi dal punto di vista politico e dei riferimenti culturali e, benché coabitino nello stesso spazio politico, non è detto che si incontrino. Terzo, gli elettori di FI conoscono bene Renzi.
Anche Salvini auspica che Forza Italia trovi una sua forza. Ma cosa dovrebbe fare Salvini per non far scappare gli elettori moderati?
Salvini ha centrato il punto. La Lega ha superato il 30% di consensi perché ha dato voce a un’area, in sofferenza e desiderosa di riscatto, che aveva bisogno di sentirsi rappresentata: sono le persone sconfitte dalla crisi, dalla globalizzazione, che non chiedono curve morbide, vogliono risposte forti e radicali, perché hanno bisogno di star meglio adesso, non fra 10 anni. Poi però c’è anche un’ampia area moderata e popolare che non vive questo sentimento e verso la quale bisogna trovare la chiave giusta per agganciarla.
Il M5s esce molto ridimensionato e in Emilia-Romagna è andato malissimo là dove ha vinto la Lega. C’è stato un travaso di consensi dai Cinquestelle a Salvini? Ed è sempre un voto di protesta più che di proposta?
Dai flussi elettorali che abbiamo visto il 50% degli elettori che avevano votato Cinquestelle sia alle politiche 2018 che alle europee 2019 ha optato per Bonaccini e il 20% per la Borgonzoni. Su questi elettori un ruolo di orientamento l’hanno svolto le Sardine: anche se non c’è un’affinità politica, c’è un’affinità sociale, perché parlano la stessa lingua, sono entrambi movimenti nati dal basso. La correlazione tra successo della Lega e tonfo del M5s non è così diretta.
Si può dire che gli elettori Cinquestelle abbiano optato per il voto disgiunto: cioè, salviamo Bonaccini per salvare il governo?
È così. Ma sottolineerei un aspetto. Come già successo con la Lega, anche con il Pd, per i Cinquestelle coabitare al governo ed essere in conflitto a livello locale è una contraddizione che non sanno risolvere e che ogniqualvolta si va ad un appuntamento elettorale li vede soccombenti.
Ora sarà il Pd a dettare l’agenda di governo? E il M5s sarà più malleabile?
Il 90% dell’attività di un governo è fatta di misure economiche e di welfare, sanità in testa. Sull’economia è già abbastanza evidente che l’agenda del governo è fortemente ispirata dal Pd. E anche su welfare e sanità i Cinquestelle sono abbastanza fuorigioco, dopo aver portato avanti alcune bandiere, come il reddito di cittadinanza. Ma nell’azione complessiva, sia nel governo giallo-verde che in quello giallo-rosso, non hanno certo brillato per la loro capacità di incidere, pur avendo un numero di parlamentari molto cospicuo sia alla Camera che al Senato. Non hanno nel loro Dna il fatto di voler costruire una coalizione e un programma di governo.
Il voto di domenica in Emilia-Romagna e in Calabria, come le ultime tornate elettorali regionali degli ultimi mesi, conferma che il tripolarismo è già finito?
Se non è finito, è senz’altro messo a dura prova. È difficile che a breve il M5s riesca a uscire dall’angolo: il leader è dimissionario e c’è un reggente, il Movimento ha dimezzato i voti rispetto alle europee, quando già aveva dimezzato i consensi delle politiche, ed è alle prese con un evidente crisi di leadership. Tutti i partiti vivono di procedure ma nel M5s sono più disegnate sulla carta che veri e propri processi politici.
(Marco Biscella)