Siamo nel campo degli “sciami” di Bauman, spiega al Sussidiario Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos. Una “nuvola” elettorale che cambia opinione di voto nell’arco di una settimana (e magari poi ci ripensa) è il tratto più tipico del centrodestra attuale, che si è presentato quasi ovunque diviso al rinnovo delle amministrazioni locali.
Ma se la partita Meloni-Salvini è destinata a continuare, nel Pd c’è preoccupazione per il campo largo che non c’è più, a causa dell’evaporazione pentastellata. Con altri problemi ancora si misura il centro, “che spesso appare come un vero e proprio centro commerciale, tanto è affollato”, ironizza Risso. E sappiamo che spesso nei centri commerciali si va a passeggio, ma non si compra.
Dunque: nessuna “proiezione” nazionale a partire dai dati delle comunali, perché illegittima, e un avvertimento: i leader da soli possono non bastare più, se i candidati sono sbagliati.
Depuriamo il voto dall’effetto comunicazione. Chi ha vinto e chi ha perso?
Ogni considerazione deve fare i conti con molte variabili locali che interferiscono sul dato dei partiti, non ultimo le liste dei sindaci. Fare valutazioni che abbiano una valenza politica è non dico sbagliato, ma molto complesso. E può risultare fuorviante.
Il dato comparativo meno ingannevole?
Quello con le amministrative precedenti. Se prendiamo le comunali 2017, il Pd mostra la maggiore capacità di tenuta, FdI guadagna consensi pur senza staccare l’altro “fratello” di centrodestra che è la Lega; i 5 Stelle spariscono dagli alveoli delle competizioni locali, e FI sopravvive. Il centro è fragile.
Eppure è affollatissimo. Perché dice che è fragile?
Perché alle amministrative, più che esprimere un centrismo politico, nei fatti è un civismo.
A quale centrodestra siamo di fronte?
L’alleanza continua a cambiare. Siamo passati da un centrodestra a trazione berlusconiana ad uno basato sul primato leghista. Adesso la prima forza a livello nazionale è FdI, che però è una forza che mostra le maggiori criticità in termini di crescita espansiva.
Cosa significa?
FdI, per la sua storia, per le sue caratteristiche, è un’organizzazione con un radicamento territoriale più fragile rispetto alla Lega. Vuol dire più contraddizioni nel suo potenziale espansivo. Va aggiunto che a livello locale le distanze tra FdI e Lega non sono così rilevanti.
E poi?
Si può fare un parallelismo tra la debolezza storica a livello locale di Forza Italia e quella di FdI, mentre la Lega ha un personale politico più radicato a livello territoriale.
Come si spiega il calo della Lega, se ha un personale politico locale più robusto?
C’è una quota dell’elettorato di centrodestra che non premia le forze che si assumono compiti di governo, privilegiando la protesta. Appoggiare il governo Draghi significa mediare. La Meloni, essendo fuori dal governo, cavalca questo disagio.
È un principio che vale per chiunque?
Sì; chiunque di centrodestra andrà al governo sarà penalizzato, in una misura che a priori non possiamo prevedere.
Le cito due città interessanti: Verona e Monza.
A Verona il fattore Meloni non è riuscito a far vincere Sboarina, come a Monza l’aver portato la squadra in serie A ed essere salito sull’unico palco della campagna elettorale non è bastato a Berlusconi per far vincere Allevi. Il leader nazionale non basta.
Letta contava su una sponda, il M5s, che sta franando. Però il Pd riesce più degli altri a riportare gli elettori nei seggi del ballottaggio.
Il Pd continua a rappresentare un pezzo importante del Paese. Il campo largo ha necessità di essere ripensato, non solo perché M5s è in crisi gravissima, ma perché lo stesso essere di centrosinistra va rivisitato. Nondimeno, il centrosinistra è capace di vincere in territori ritenuti politicamente ostili.
È la cosiddetta fluidità dell’elettorato?
L’elettorato è fluido perché decide di stare a casa. Spesso la debolezza di una parte premia l’altra con la vittoria. Queste comunali ci ricordano che le persone votano innanzitutto per due motivi.
Quali?
O perché ritengono che il candidato incarni un potenziale di futuro per la città, o perché provano empatia con quel partito o quell’area in quella determinata fase politica. Zaia e Toti sono stati eletti a furor di popolo perché con le loro liste hanno saputo incarnare un progetto per il territorio, lo stesso è valso per Bucci a Genova e per altri riconfermati al primo turno. Dall’altra parte, come abbiamo visto, l’empatia può non bastare.
Attilio Fontana ieri ha sciolto la riserva: correrà per la conferma di governatore della Lombardia, avendo contro, probabilmente, Cottarelli e la Moratti. Una Verona in grande?
Impossibile fare valutazioni, è prematuro. Io stesso sarei cauto nel fare un sondaggio.
Perché?
Perché occorre prima dare all’elettorato il tempo di capire quello che sta succedendo. Vale per tutti, anche per il nuovo partito di Di Maio.
A proposito: elettori e centro?
È uno spazio elegiaco che vale il 15-20%, che poi è l’area dell’elettorato moderato italiano, all’interno di una società sempre più polarizzata. Poi è difficile dire quanto di questa opzione “centrista” non vada attribuito a FI o al Pd.
Chi determina i confini?
Sono i leader a tracciarli. Alla loro personalità si sommano gli aspetti programmatici e le scelte concrete. Siamo nel campo degli “sciami” di Bauman.
Cosa significa?
Vuol dire che le persone, entro certi limiti, affluiscono da una parte all’altra a seconda del momento.
Le comunali hanno spostato le preferenze nazionali?
No. Questa settimana FdI mi risulta essere intorno al 21,8%, Lega 15%, Pd 21%, M5s 13%, FI 8,5%. Nessuno spostamento di rilievo rispetto alle settimane precedenti.
E se applichiamo la “lente” degli sciami al centrodestra?
Ci sono pezzi di elettorato che si muovono continuamente tra Forza Italia, Lega e FdI in modo agile, rapidissimo. Una settimana possono votare Lega, la settimana dopo cambiare idea, e viceversa. Dipende dai temi.
Qual è la percentuale di elettorato di centrodestra che si comporta in questo modo?
Si aggira sul 30%. Questi elettori, una volta mollati gli ormeggi della vecchia Forza Italia, quella del quindicennio 2000-2015, si sono orientati verso Salvini, poi sono in parte affluiti sulla Meloni, ma non sono tutti programmaticamente aderenti al profilo tipico dell’elettorato meloniano, perché da quelle parti ci sono temi che impediscono loro di identificarsi.
(Federico Ferraù)
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