Gli italiani vogliono rimanere nella UE, ma non tutti si fidano dell’Europa. Chiedono, ad esempio, che i costi della svolta green promossa da Bruxelles non ricadano sui consumatori. E vogliono la pace, tema che preoccupa due persone su tre, segno che il modo in cui è stata gestita la situazione di guerra in Ucraina, come quella in Palestina, non convince. Anzi, a lungo andare, pone dubbi sul futuro.
Tra gli argomenti che sono in cima ai pensieri degli elettori, osserva Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos, docente di teoria e analisi delle audience nell’Università La Sapienza di Roma, c’è poi quello delle disuguaglianze sociali: aumentano, infatti, le persone che si collocano nelle classi più disagiate.
In base ai sondaggi Ipsos, insomma, quello che chiedono gli italiani è che i partiti che concorreranno nella tornata elettorale che si svolgerà fra il 6 e il 9 giugno, sappiano delineare un’idea di futuro, ricostruire un senso di “buona società” in cui le priorità sono la salute, il lavoro e la parità fra l’uomo e la donna. Una società che sappia garantire un avvenire di pace ma anche una transizione ecologica che non pesi economicamente sulle tasche della gente.
In che momento cadono le elezioni europee dal punto di vista del clima politico complessivo in Italia e in Europa?
Siamo all’incrocio di tre fallimenti: c’è l’arretramento della spinta sovranista, nel senso che oggi molte delle spinte populiste sono in rallentamento. Parlo di quella verso il liberalismo, della chiusura all’immigrazione e dello scontro popolo-élite. Sono in difficoltà le politiche del rigore e anche del New Green Deal: in molte parti dell’Europa sta crescendo l’opposizione a politiche troppo drastiche su questo tema, con il rischio che questo crei delle nuove divisioni sociali. Il terzo elemento di crisi riguarda le politiche sociali che hanno caratterizzato l’Europa negli ultimi vent’anni: hanno dimostrato di non avere avuto effetto, sono rimbalzate su un aumento delle tensioni e delle disuguaglianze sociali e delle differenze di classe.
Quanto è cambiata la sensibilità degli elettori italiani ed europei su questi temi?
Prendiamo il rallentamento della spinta populista: la figura del leader forte, che risolve tutto, nel 2016 in Italia era al 68% di gradimento, mentre oggi è scesa al 43%. Stessa cosa in Francia, era all’80% ed è crollata al 43%. In alcuni Paesi è cresciuta, come in Germania.
Forse perché considerano debole il leader che hanno attualmente?
Stiamo parlando però di una spinta “leaderista” ancora molto bassa, passata dal 21 al 27%. Che resta, quindi, contenuta.
In relazione alla protesta dei trattori, che riguarda principalmente gli effetti del Green Deal europeo, la gente si è schierata dalla parte degli agricoltori: le politiche della Ue non convincono?
È così. L’opinione pubblica per la maggior parte sta con gli agricoltori. Ma c’è un altro tema che viene considerato prioritario: oggi per il 61% degli italiani il vero nemico per il futuro è l’assenza di pace. Quindi, pace e lotta al cambiamento climatico sono due grandi temi. Su entrambi, la gente si aspetta da una parte la ripresa di un ragionamento su come ottenere la fine delle guerre, dall’altra, sul fronte del clima, c’è una situazione duplice. Da un lato è considerata un’emergenza, dall’altro il 43% degli italiani pensa che i costi devono essere sostenuti dalle imprese e non scaricati sui consumatori.
Perché, invece, è cresciuta l’importanza del tema delle disuguaglianze sociali?
È il secondo tema al mondo di preoccupazione, dopo l’inflazione. E l’Italia non fa eccezione: dal 2020 al 2024 la quota delle persone che si collocano nell’upper class, quindi nelle classi più agiate, è passata dal 4 all’8%, mentre quella di chi si trova nelle classi popolari più disagiate è aumentata dal 17 al 22%. Un effetto di polarizzazione relativo alla percezione della condizione economica e sociale delle persone. Il numero delle persone che si sente incluso nel nostro Paese è il 48%, ma quello di chi si sente escluso è il 46%. Quello che viene messo al centro del futuro da parte delle persone è di ricostruire un senso di buona società. Vuol dire offrire un’assistenza sanitaria di qualità (per il 50%), equilibrio fra lavoro e vita privata (35%), un lavoro sicuro e non precarizzato (34%), parità uomo-donna (29%).
Qual è il sentiment degli italiani nei confronti dell’Unione Europea: sono ancora convinti della bontà di questa prospettiva o vorrebbero uscirne?
La fiducia nell’Europa è al 45%, il sì all’adesione europea, invece, è al 53%, mentre chi vorrebbe uscire dalla Ue è il 22%. Il resto non sa. La maggioranza assoluta è per stare nell’Europa. Il trend delle persone che vogliono lasciare l’Unione è in discesa: nel 2021 era al 28%, nel febbraio 2022 era salito al 29%, oggi è al 22%. C’è una sfida, che è quella del futuro. Gli elettori vanno a votare pensando a cosa sarà e non al passato: l’Europa e i partiti impegnati in questa competizione elettorale devono saper disegnare un’idea di futuro e convincerli che è quella giusta, tenendo conto dei fattori di sofferenza elencati prima.
(Paolo Rossetti)
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