SONDAGGI – Aumenta la preoccupazione degli italiani per le conseguenze economiche e sociali che possono colpire, nel breve e nel lungo periodo, il nostro paese a causa della guerra in Ucraina. Ce lo ha confermato in questa intervista Alessandro Amadori, vicedirettore dell’Istituto Piepoli: “Dal 72% di circa un mese e mezzo fa siamo arrivati al 90%, in sostanza tutta la popolazione è preoccupata, dal punto di vista delle ripercussioni economiche, di un conflitto di cui non si vede la fine”.
Cala invece la paura di un allargamento del conflitto al di fuori dell’Ucraina: “siamo passati dall’80% al 50%, questo perché evidentemente il fatto che non sia accaduto in questi due mesi fa pensare che non possa accadere”. Questo conflitto, ci ha detto ancora Amadori, “sta confermando un fenomeno che abbiamo iniziato a vedere durante la pandemia di Covid: la presenza nel nostro paese di un’area non indifferente, oggi pari a circa il 15%, che non si fida dei media, perché li ritiene monopolizzati da un sistema globale che inventa i fatti per dirigere le persone al sostegno di una determinata tesi o linea di governo. Era successo sulle questioni scientifiche, ora si ripete sulle questioni militari”.
Come è cambiata, se è cambiata, la posizione degli italiani verso la guerra in Ucraina?
Il coinvolgimento emozionale, la paura anche fisica del conflitto che può avere diversi significati, ma soprattutto quello di essere coinvolti materialmente nella guerra, è passato dal 72% al 50%. Questo evidentemente perché ci si è resi conto che il conflitto non ci può toccare dal punto di vista militare.
In cima alle preoccupazioni degli italiani ci sono sempre le conseguenze economiche delle sanzioni?
Sì, e sono decisamente in aumento, siamo ormai al 90%. Una buona quota di preoccupazione è legata alle conseguenze complessive economico-sociali.
Cosa pensano gli italiani della linea seguita dal governo Draghi, che ha deciso di aderire a ogni tipo di sanzione e di inviare armi a Kiev?
A questo proposito c’è una diversificazione. Quasi alla pari sono l’azione diplomatica, la chiede il 31% degli italiani, e la neutralità del nostro paese, visto che il 27% chiede di non schierarsi né con l’Ucraina né con la Russia. Entrando nel dettaglio, il 26% degli italiani è a favore delle sanzioni, ben il 94% è contrario all’invio di armi. Mettendo insieme queste voci il 32% degli italiani sostiene una politica forte di contrasto alla Russia con armi e sanzioni.
Come giudica questi dati?
Le posizioni sono articolate: non siamo un paese di stampo anglosassone, abituato cioè a pensare in bianco e nero. C’è poi, in Italia, un forte radicamento culturale della Chiesa, che è su posizioni pacifiste, influenzando l’opinione pubblica.
A giudicare da quello che si legge sui social, molte persone non si fidano per niente dei media, delle notizie che vengono date sulla guerra. Le risulta?
Sappiamo che esiste un’area di diffidenza verso quello che viene percepito come un sistema mondiale di manipolazione delle notizie, che pesa sul 10-15% della gente. Credono realmente che non ce la contino giusta, che ci sia un sistema globale di controllo e di indirizzo dell’opinione pubblica. La maggioranza degli italiani non la pensa così e mantiene fiducia nella varietà delle fonti: è cresciuta infatti la voglia di informarsi su fonti diverse. Una quota non piccolissima invece è convinta che non ci si possa fidare. È un dato emerso durante la pandemia ed è stato confermato con la guerra.
Probabilmente pesa l’eccesso di informazione cui siamo sottoposti?
Viviamo fortunatamente in un paese democratico, ma che ci sia una tendenza planetaria nell’imporre delle narrative, anche sotto il profilo scientifico, per influenzare il consenso è una cosa che si dice da anni. Abbiamo davanti agli occhi l’esempio di paesi come la Cina, dove la narrativa non è spesso neutrale. È un rischio vero, un tema non banale, sul quale è necessario riflettere a fondo.
(Paolo Vites)
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