Parlano i sondaggi. In attesa del voto di fiducia alla Camera, che comunque dati i tempi ristrettissimi potrà soltanto approvarla senza correggerla, la legge di Bilancio è praticamente approvata, e come d’abitudine in extremis. Una legge di Bilancio che ha creato più di un problema all’interno della maggioranza di governo. Motivo per cui, secondo i sondaggi di Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè e direttore di T-Mag, il gradimento degli italiani scende ancora: “Un trend in calo, anche se di poco rispetto all’ultima settimana: ora siamo al 25,8%, una perdita dello 0,2%, che va avanti da quando il governo è nato. Cresce, poi, dello 0,8%, toccando quota 69,1%, il numero di chi dichiara di non avere alcuna fiducia nell’attuale maggioranza”. In questa fase complicata si registra però l’aumento della fiducia verso il presidente del Consiglio: Giuseppe Conte supera anche Matteo Salvini (49%, in crescita del 3%, contro il 36%). Infine, sottolinea Buttaroni, a pagare lo scotto dello scontro sono i due maggiori partiti di governo, Pd e Movimento 5 Stelle, mentre nei sondaggi guadagnano gli altri partiti di sinistra al governo, che si sono tenuti fuori dalla battaglia.



Lo scoglio della manovra sembra superato, ma il governo è sempre più diviso. Il gradimento del Conte 2 resta sempre molto basso? Quanto? È un trend in discesa?

Gli ultimi mesi dell’anno sono sempre il momento peggiore per i governi. I sondaggi in tal seso sono impietosi. La legge di Bilancio, che si annuncia sempre con grandi aspettative, poi spesso non corrisponde alle stesse attese che aveva suscitato.



Questa volta, poi, ha dato il via a continui scontri tra Pd e M5s: si spiega così la perdita di gradimento nei sondaggi?

Questa volta è stato peggio rispetto al passato. D’altro canto, con un governo nato con l’eredità negativa di disinnescare le clausole di salvaguardia dell’Iva, non poteva essere altrimenti. Nel complesso è stata una manovra che ho definito “omeopatica”, perché non riscalda i cuori e crea invece una attesa negativa per tante piccole aggiunte che si fa fatica a comprendere, sia sui tempi in cui entreranno in vigore, sia sul cosa trattino esattamente.

Conte invece è dato in risalita, davanti allo stesso Salvini. Risulta anche a lei? E come si può spiegare questa contraddizione?



Sì, Conte è leggermente in risalita, guadagna un 3%, arriva al 49% contro il 36% di Salvini. Questo perché la conflittualità ha riguardato i partiti della maggioranza: Pd, Italia Viva e Cinquestelle hanno combattuto sui provvedimenti. Non a caso i partiti in lieve risalita sono quelli della sinistra di governo, che si sono tenuti un po’ fuori dal giro delle polemiche e ne hanno goduto. Ad esempio, La Sinistra è risalita al 2,5%, ma soprattutto Azione, il partito di Carlo Calenda, ha guadagnato lo 0,6% e ha raggiunto il 2,1%.

A proposito di sinistra, il leader delle Sardine, Santori, ha detto che punta al 25% dei consensi, ma visto che non ha intenzione di candidarsi né di candidare il movimento, a chi andrà questo bacino di consensi? E le Sardine possono davvero ambire al 25%? Oppure è un 25% che si “sovrappone” o si identifica all’elettorato Pd?

Le Sardine hanno un bacino di consensi prevalentemente nel centrosinistra e i maggiori affluenti di un eventuale partito sarebbero il Pd, la sinistra del M5s e una quota notevole in uscita dall’astensionismo. Il 25%, però, mi sembra sinceramente molto. Ma il punto è un altro.

Quale?

Le Sardine hanno sì un’area di favore, di gradimento molto alta, probabilmente molto vicina al 25% o anche oltre, ma le elezioni sono un’altra cosa. Nelle urne le Sardine, qualora dovessero scendere in campo sull’onda dei successi nelle piazze, avrebbero un solo vantaggio: non devono misurarsi con i grandi temi.

Che cosa intende?

Cito un paio di esempi: sull’alta velocità cosa pensano? E il caso Ilva come va risolto? I Cinquestelle, che avevano l’ambizione di voler cambiare tutto, nel momento in cui sono andati al governo hanno dovuto compiere delle scelte che hanno scontentato molti. In questo momento le Sardine sono un contenitore di istanze, anche incoerenti tra loro, ma poi dovranno fare delle scelte.

Salvini ha lanciato l’idea di un comitato di salvezza nazionale, ma la Meloni non si è detta d’accordo. Questo malinteso potrebbe penalizzare ancora la Lega a favore di Fratelli d’Italia? Quanto? 

Nell’ultimo sondaggio la Lega perde l’1,2% e FdI guadagna ancora, lo 0,3%. Stiamo vivendo un momento molto delicato per il paese, perché l’idea di Giorgetti di definire le regole prima di andare alle urne è molto intelligente. Ci sarebbe proprio bisogno di ridefinire le regole del gioco.

Questo però significherebbe tempi molto lunghi, non crede?

Certo, per le grandi riforme potremmo anche andare avanti per anni, ma per le piccole, ad esempio una legge di Bilancio che tenga conto di alcune variazioni, si può fare. Reagire su queste cose sarebbe già una riforma, per dare maggiore agilità all’economia.

E il contrasto tra FdI e Lega?

Può accadere che FdI guadagni ancora: Giorgia Meloni ha una capacità di dialogo e di attrarre consensi molto alto. Escluderei pure che il ciclo della Lega abbia raggiunto il culmine e sia in fase discendente. Non è l’inizio della fine di un ciclo.

A un mese dal voto in Emilia-Romagna circolano sondaggi in base ai quali le grandi città votano per Bonaccini e il Pd, mentre le periferie dovrebbero premiare il centrodestra. Stando così le cose, la Regione è contendibile davvero? Secondo lei, come sono posizionati oggi Bonaccini e Borgonzoni?

La nostra ultima rilevazione ci dice che c’è un leggerissimo vantaggio per Bonaccini: 43,1% per il centrosinistra contro il 42,8% per la coalizione formata da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega. Ma la vera campagna elettorale deve ancora cominciare, adesso siamo in una fase di grande equilibrio. Tuttavia è vero che le grandi città premiano il centrosinistra, mentre i centri rurali il centrodestra.

E potrebbe essere proprio il voto emiliano la miccia che fa esplodere e cadere il governo?  

Non so se farà esplodere il governo, sicuramente la vittoria del centrodestra metterebbe in grandi difficoltà il Pd, non solo per il valore simbolico di quella Regione, quanto per l’effetto domino che potrebbe scatenarsi. Se dopo aver già perso l’Umbria, il Pd perde anche l’Emilia, mette seriamente a rischio anche la Toscana e non ci sarebbe più quella linea rossa che esiste da oltre 50 anni.

(Paolo Vites)