Gli italiani come Sisifo? Proprio come il personaggio del mito greco era condannato a issare in eterno su per la china di un monte un enorme masso, e a ricominciare sempre da capo, così gli italiani si vedrebbero costantemente sottoposti, senza tregua, ad una crisi dopo l’altra: la pandemia, la guerra in Ucraina, il caro energia, l’inflazione, il caro mutui, l’aumento dei prezzi alimentari. E una voglia di ricominciare a vivere continuamente frustrata.
“Le persone cercano passione e leggerezza – osserva Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos e docente di teoria e analisi delle audience nell’Università La Sapienza di Roma – ma il contesto non cambia e le tensioni sono sempre presenti, con un portato negativo sulla dimensione personale e psicologica. Dal 2020 ad oggi è triplicato il numero delle persone che ritiene di avere bisogno di un supporto psicologico: dal 10% del 2020 al 32% del 2023. E raddoppiano le persone che denunciano problemi di obesità, dal 8% al 18% nel periodo 2020-2023”. È quanto emerge dall’indagine “Global Health”, realizzata da Ipsos su un campione globale, riguardante la percezione del proprio stato da parte delle persone.
Cosa vorrebbero gli italiani? Stare meglio? Risparmiare di più? Più sicurezza?
Hanno bisogno di serenità, di calma. Cercano innanzitutto di prendere fiato, ma le crisi che si susseguono congiurano ad impedirlo.
Dunque questa ansia generalizzata va ricondotta ad una somma di concause?
Abbiamo a che fare con un complessivo stato di malessere, generato dall’incertezza. Non solo. La dimensione emozionale e quella pratico-relazionale comunicano, si parlano.
Cosa significa?
Stiamo diventando un Paese divergente: le distanze tra le persone e le classi sociali in termini di possibilità economiche, di prospettive di futuro, di spazio per sé stanno crescendo sempre di più. Insomma le disuguaglianze sono in forte aumento.
C’è un curioso fatto di cronaca politica: gli abitanti della zona C di Milano, il centro del centro, hanno chiesto al sindaco di vietare l’accesso ai non residenti.
È l’élite che si trincera nel fortino. Il 52% degli italiani vede che nei loro territori c’è un aumento della povertà.
In numeri?
Il 51% dice che si stanno ampliando le distanze tra ceto medio e ceti popolari, ancora il 51% vede un aumento della distanza tra manager e lavoratori, il 42% vede separarsi giovani e adulti in termini di possibilità economiche.
Cosa può dirci del lavoro?
Insieme alla Spagna siamo il secondo Paese al mondo nella paura di perdere il lavoro. Superati solo dal Sudafrica. In Italia il 38% teme di rimanere senza, come noi la Spagna, sopra di noi il Sudafrica al 64%. In Francia è il 9% e in Germania il 10%.
Il sentiment verso l’Europa?
Hanno fiducia nell’Europa il 45% degli italiani. Nel 2021 erano il 50%. A domanda se l’Italia dovrebbe rimanere nell’euro, risponde affermativamente il 57%, nel 2021 era il 64%. Sono molto bassi i giudizi positivi sui leader europei. La fiducia con un voto da 6 a 10 nella von der Leyen è appena del 30%, mentre quelli che le danno un voto negativo da 1 a 5 sono il 46%. Lagarde è promossa dal 19%, sfiduciata dal 52%.
La transizione green si accompagna ai dati negativi sui politici?
No, è indipendente. Tuttavia il dato è doppiamente significativo, perché i favorevoli all’economia green sono il 76%, ma allo stesso tempo gli italiani non vogliono pagarne il conto. Quelli che sono disposti a pagare di più per il green sono soltanto il 15%. La maggioranza invece dice sì all’economia green, a patto che i costi della transizione siano a carico delle imprese.
C’è una ragione, oltre al risparmio?
Sì, c’è la convinzione che le imprese, in questi anni, da un lato abbiano fatto e stiano ancora facendo grandi profitti, e dall’altro siano responsabili dell’inquinamento. Dunque siano le imprese a pagare per prime. Poi viene lo Stato e infine, se necessario, vengono i cittadini.
Qual è l’opinione sul salario minimo?
Dice sì il 63,4%. Non sono favorevoli solo gli elettori M5s e Pd, ma anche il 68% degli elettori leghisti e il 63% degli elettori FdI.
Perché è un dato così trasversale?
Tutti si ritengono colpiti dalla crisi e per questo sono convinti che la misura sia necessaria.
Veniamo ai migranti.
Più della maggioranza è per i respingimenti. A domanda “Si sente infastidito dalla presenza di migranti?” le risposte affermative passano dal 36-40% del 2020 al 38-39% del 2022. Il 50% è d’accordo che bisogna chiudere completamente gli ingressi dei migranti nel nostro Paese.
Questi dati, dal salario minimo ai migranti, dal lavoro all’Europa, si riflettono sul consenso verso i partiti e il Governo?
C’è un leggero abbassamento della fiducia nei confronti della premier; accade a chiunque e la legge di bilancio è normalmente una prova molto dura. Nel novembre 2022 i giudizi positivi sulla Meloni erano intorno al 59%, oggi siamo scesi al 49%. Draghi ha lasciato al 64%. Oggi FdI è intorno al 29-30%, c’è stato un recupero della Lega, che ha superato la soglia psicologica del 10%.
A che cosa va attribuita questa crescita?
L’elettorato di centrodestra è molto fluido: cessato il vecchio Pdl, prima è passato in parte nei 5 Stelle, poi si è spostato sulla Lega e infine su FdI.
Tutto normale?
M5s ha rappresentato per buona parte del suo bacino elettorale una scelta di rottura. A torto o a ragione, non sta a me dirlo. Fatto sta che la base elettorale che ha portato al successo M5s nel 2018 arrivava per almeno il 30% dal centrodestra. Poi quegli elettori nel primo governo giallo-verde si sono spostati sulla Lega – è il 32% delle europee 2019 –, dalla Lega sono passati a FdI – politiche del 2022 – e oggi ci sono quote di quell’elettorato non soddisfatte della Meloni che stanno guardando di nuovo a Salvini a Conte.
Un fenomeno migratorio, verrebbe da dire.
Non è una migrazione, ma una fluttuazione. Non si passa da un continente politico a un altro, è un nomadismo interno a un’area politica. Eccezion fatta per piccole quote percentuali come quelle dirette nuovamente su M5s.
Il consenso di 5 Stelle e Pd?
Il Pd si attesta tra il 18 e 19%. Non dà segni particolari, se non in lieve calo. M5s si attesta tra il 16 e il 17%
Il consenso del Governo?
È leggermente sotto di 1-2 punti rispetto a quello della premier.
La fiducia nei sindacati?
La Cgil ha il 25% di fiducia degli italiani ed è a pari merito con Confindustria. È una fiducia che raramente ha superato il 40% negli ultimi anni.
Sembra un calo importante.
La massima fiducia che hanno avuto le organizzazioni economiche è intorno al 30-35% dal 2018 a oggi.
(Federico Ferraù)
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