La libertà determinata dalla fine dell’incubo Covid, con la possibilità di uscire di casa e di viaggiare, sta creando una sorta di “effetto ottico” nell’opinione pubblica che non corrisponde alla realtà dei fatti. È quello che ci ha detto in questa intervista Carlo Buttaroni, fondatore e presidente dell’istituto di sondaggi Tecnè: “Sembra tutto molto bello in questo momento, ma le preoccupazioni ci sono, anche se non tutti le avvertono. Ci aspetta un autunno molto caldo, in cui il costo della guerra in Ucraina avrà ripercussioni molto pesanti dal punto di vista del costo dell’energia e dell’aumento del costo della vita”. Tutto questo in un quadro, ci ha detto ancora, che vede oltre il 50% degli italiani contrari all’invio di altre armi e oltre il 60% incolpare la Nato di aver provocato il conflitto in corso in Ucraina.



Tema ancora molto dibattuto nella classe politica e tra i partiti al governo è quello dell’invio ulteriore di armi all’Ucraina: cosa ne pensano gli italiani?

Mentre a inizio conflitto, di fronte alla spinta emotiva, contrari e favorevoli si equivalevano, adesso i primi sono cresciuti molto. È un cambio di prospettiva dal punto di vista della percezione italiana del conflitto.



Che percentuale toccano i contrari all’invio di armi?

Oltre il 50%.

Questa percentuale si riflette negli elettorati dei vari partiti?

Sì. I più critici sull’invio di armi sono gli elettori di 5 Stelle e Lega, meno critici gli elettori del Pd, mentre Forza Italia e Fratelli d’Italia stanno nella media.

Altro argomento molto dibattuto è il ruolo della Nato: per molti la colpa del conflitto sarebbe imputabile al suo espansionismo in Europa orientale. È così anche per l’opinione pubblica?

Anche su questo il 60% degli italiani critica l’atteggiamento della Nato, fermo restando il ruolo di aggressore della Russia. Quello della Nato viene considerato un atteggiamento sbagliato, non solo dall’inizio della guerra, ma anche durante la gestione del conflitto stesso.



A proposito di trattative e cessate il fuoco, gli italiani ritengono che l’Ucraina debba rinunciare a parte dei territori, come il Donbass?

Abbiamo chiesto se per trovare una tregua bisogna tenere in considerazione le esigenze di sicurezza avanzate dalla Russia: i due terzi dicono di sì, in modo coerente con la risposta sulla Nato.

La guerra genera molte preoccupazioni: aumento del costo dell’energia, delle materie prime, possibile perdita del posto di lavoro. Qual è quella più sentita dagli italiani?

In questo momento il timore dell’aumento dei prezzi e del costo della vita ha superato quello della disoccupazione, che rimane comunque su livelli sempre alti. La paura di perdere il posto di lavoro riguarda ovviamente solo chi il lavoro ce l’ha, ma una preoccupazione forte è avvertita nei tanti che hanno lavori instabili, che non permettono standard di vita dignitosi. Non a caso l’Italia è all’ultimo posto in Italia per salari standard medi.

È una Italia ansiosa o un Paese che si gode la fine delle misure di sicurezza anti-Covid?

Sembra un Paese, soprattutto nelle grandi città, che vive in modo inconsapevole dopo due anni e mezzo di pandemia. È una reazione alla fine di lockdown e restrizioni. Non ci si rende conto che gli effetti della guerra ancora non li sentiamo, si avvertiranno da settembre-ottobre, quando aumenterà il costo dell’energia. Saranno mesi particolarmente difficili.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che si è sempre dichiarato favorevole al sostegno militare dell’Ucraina, di che fiducia gode oggi?

La fiducia nei suoi confronti è calata molto: ha perso 8-9 punti percentuali rispetto al suo insediamento. Oggi è al 53% contro il 61% di inizio mandato. Va detto che il calo di Draghi è cominciato a fine 2021, quando si è palesato il problema dell’aumento dei prezzi. Poi c’è stata una piccola risalita a inizio conflitto in Ucraina, come sempre accade nei momenti di stress, in cui l’opinione pubblica tende a stringersi attorno alle istituzioni. Poi però la fiducia è tornata a scendere di nuovo.

(Paolo Vites)

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