E se la prescrizione, al di là del contenuto di merito che ben si prestava al braccio di ferro, fosse stata solo un banco di prova, fosse cioè servita per misurare le reciproche forze e ambizioni, visto che entrambi – stiamo parlando di Giuseppe Conte e di Matteo Renzi – sapevano benissimo che la corda sarebbe stata sì tirata fino al limite massimo consentito, ma fermandosi un centimetro prima che potesse spezzarsi, in modo da evitare una crisi di governo a cui, in nome dell’assunto “mai Salvini premier”, nessuno dei due, come gli altri alleati del Conte 2, vorrebbe oggi arrivare? La suggestione è meno peregrina di quel che potrebbe sembrare; anzi, il dubbio è più che fondato, visto che sia il premier che il leader di Italia Viva non fanno mistero di voler puntare a quell’elettorato di centro che – orfano di Forza Italia, spaventato dalla Lega e dall’incapacità di governare dei grillini – è in cerca di una casa politica a cui offrire il proprio bacino di voti e consensi. Quanto può valere questo bottino elettorale? Con quale messaggio si può conquistare? E soprattutto, tra Conte e Salvini chi è più appetibile per i sondaggi? Ne abbiamo parlato con Carlo Buttaroni, politologo, sociologo e presidente di Tecnè.



La sfida tra Conte e Renzi si è giocata sulla prescrizione, ma sullo sfondo, oltre alla delicata partita primaverile delle nomine pubbliche, il vero obiettivo di entrambi è lo stesso bacino di elettori, quelli del centro moderato. È d’accordo?

Sono d’accordo, anche perché la vera sfida all’interno di questo governo non è tra Pd e M5s, ma proprio tra Conte e Renzi. Entrambi agiscono sullo stesso perimetro politico: i moderati che guardano a sinistra. Ora, Conte può essere un valore aggiunto per il Pd, ma in questo momento l’avversario di Renzi non è il Pd, è Conte.



È vero che i due si offrono a due tipologie di centro diverse. Schematizzando: Conte guarda a un centro cattolico, magari con venature grilline, convintamente europeista e ambientalista. Renzi mira invece a conquistare un centro orfano di Berlusconi e di Forza Italia, più di stampo liberal-progressista-macroniano. Ma questi due campi del centro possono essere anche in parte sovrapponibili?

Sono molto sovrapponibili, anche se ritengo che Conte non abbia un’anima grillina, non l’ha mai avuta.

Eppure nel 2018 è stato indicato dai Cinquestelle prima tra i possibili ministri di un ipotetico governo monocolore M5s e dopo le elezioni politiche di marzo come candidato premier della coalizione giallo-verde.



L’avvicinamento ai Cinquestelle era dovuto solo al fatto che rappresentavano la chiave di un cambiamento. Conte è un uomo sicuramente di centro, che guarda a sinistra, ma un movimento come M5s allora gli risultava più congeniale rispetto a un Pd che in quella fase di transizione post-Renzi era attento più alla gestione che al cambiamento. Oggi per Conte il Pd presenta molte più affinità rispetto al Movimento 5 Stelle rappresentato da Di Maio. Basti solo pensare alle politiche industriali o al dialogo con la Ue. Il premier è una persona che usa toni moderati, tende a smussare gli spigoli, è il prototipo di un leader di centro che guarda a una sinistra progressista.

E Renzi?

Pur agendo su quell’ampio campo dei moderati, fa della velocità e della spigolosità la sua “cifra” politica. Gli italiani lo conoscono così: quando è stato al governo è sempre stato poco incline alla mediazione, quanto piuttosto al raggiungimento a ogni costo di un obiettivo. Ma per capire dove e come si gioca la sfida tra Conte e Renzi bisogna uscire dal piano cartesiano ed entrare nella meccanica quantistica.

Addirittura? Che c’entra la meccanica quantistica?

Perché nel campo di gioco conta l’alto e conta il basso.

In che senso?

Oggi la chiave economica, legata alla condizione attuale e alle prospettive future, è decisiva. Il discrimine è tra chi si trova in una posizione più o meno vincente o più o meno perdente rispetto al piano inclinato che è in questo frangente l’Italia in crisi. Conte e Renzi agiscono sullo stesso campo, tra coloro che in qualche modo abitano quell’area del ceto medio moderato che non ha certo goduto di grandi vantaggi, ma neppure è uscito troppo sconfitto dalla recessione.

Agiscono sulla stessa area ma in modo diverso, non crede?

Renzi rappresenta quelli che vogliono cambiare più velocemente; Conte quelli che vogliono un passo più calmo, senza troppi scossoni.

Sta però dicendo che esiste un altro campo nel centro moderato?

Sì. È il campo di quel ceto medio che è stato più colpito, penalizzato, che vuole cambiare, che chiede uno Stato più leggero, meno tasse e meno burocrazia. E lì sta l’elettorato di centro ancora oggi rappresentato da Forza Italia e che difficilmente potrebbe emigrare sotto le insegne di Conte o di Renzi, a cui guarda invece quel centro che vuole prima e soprattutto mantenere la stabilità senza correre rischi. È il cosiddetto “partito delle Ztl”, dei ceti più abbienti. In questo grande campo dei moderati, che contiene al suo interno una grande quota di astensionismo, le due aree, pur contigue, difficilmente riescono a dialogare, perché la discriminante economica fissa un perimetro ben preciso e oggi ancora invalicabile.

Dunque esiste un ampio campo del centro moderato. In termini di consenso elettorale quanto può valere nel suo insieme?

Premesso che ha pesato sempre tantissimo in Italia, oggi può valere anche il 25-30%, un terzo dell’elettorato sta lì. Ma è diviso, perché a rappresentarlo non c’è più una forza politica onnicomprensiva come la Dc di Fanfani e di Scelba. Adesso la frammentazione determinata dalle trasformazioni economiche ha segmentato anche la rappresentanza politica. Per questo il centro oggi, usando i piani cartesiani e non la meccanica quantistica, lo vediamo più piccolo, angusto.

Secondo lei, è possibile che possa rinascere un partito dei cattolici?

No, non credo che possa rinascere un partito dei cattolici come quello che abbiamo conosciuto nella Prima Repubblica. L’Italia è profondamente diversa, manca un denominatore comune e poi le sfide sono globali, interconnesse, mentre la Dc era un grande contenitore in un campo ben definito del mondo. Oggi è tutto più complesso. E non credo nemmeno che possa esserci spazio per un Conte portabandiera del campo dei cattolici, perché la chiave economica prevale oggi su quella “religiosa”. Lo ripeto: Conte rappresenta l’area moderata di coloro che vogliono migliorare le cose e condivide questo spazio con Renzi da una parte, Calenda dall’altra e anche con il Pd. È un’area che può valere tra l’8 e il 10%, anche un po’ di più, ma non è un partito-guida.

Chi tra questi potenziali candidati è il più appetibile?

Si equivalgono. Conte rappresenta quelli che non amano i decibel troppo alti. Renzi ha sicuramente anche i tempi del leader, ma gli italiani lo conoscono troppo bene nei suoi pregi e nei suoi difetti, ed è un limite. Calenda piace, e forse più di altri può sconfinare nel campo attiguo che guarda al centrodestra, ma resta un leader solitario, un generale senza truppe.

Possono sconfinare in quest’area anche Giorgetti, il volto pacato della Lega, o la stessa Meloni, che già sta coagulando consensi al centro, come mostra l’ascesa nei sondaggi di Fratelli d’Italia?

Giorgia Meloni sta facendo un percorso politico molto interessante: non solo siede tra i conservatori europei, ottenendo così un profilo estensibile ai moderati e addirittura fino ai liberali, ma usa un linguaggio coerente e programmatico molto chiaro.

Le chance di Giorgetti?

Giorgetti sta puntando a quell’area, e giustamente, perché la Lega finora ha avuto un enorme successo di voti e di consensi nelle aree degli sconfitti dalla crisi, quelli che vorrebbero riscattarsi. Salvini ha rappresentato quelle voci in maniera formidabile, molto più dei Cinquestelle. Ma Giorgetti ha capito che c’è un limite, soprattutto in un paese che deve crescere e che quindi ha bisogno di messaggi più rassicuranti.

A proposito di messaggi politici, questo elettorato di centro che cosa si aspetta? Più europeismo? Più ambientalismo? Più riformismo? O cerca altre parole chiave mobilitanti?

Più che gli ismi, la parola chiave è rassicurazione. In questi anni la politica, soprattutto da parte del centrosinistra, è stata attenta più ai parametri e agli zerovirgola che alle persone. Bisogna ritrovare un linguaggio che rimetta in connessione le scelte politiche con le persone, con il popolo che ha pagato il prezzo dei parametri. È quello che stanno facendo Lega e Fratelli d’Italia, ma anche Forza Italia: resta intorno al 6-8% proprio perché continua a rappresentare questi moderati che hanno dovuto sacrificare il loro potere d’acquisto sull’altare del rispetto delle regole di Maastricht. Il che non vuol dire essere anti-europeisti, ma pensare a un’Europa che torni a essere un’opportunità e non una minaccia.

Un’ultima domanda: gli scontri tra Conte e Renzi sono destinati a continuare?

Penso proprio di sì. Per due ragioni: Renzi sta giocando una partita molto importante, perché nei governi di coalizione ciascuno ha bisogno di trovare il proprio spazio e Italia Viva non ce l’ha dal punto di vista elettorale, visto che è nata senza passare al vaglio del voto. E poi, Renzi è per sua natura un leader molto spigoloso…

(Marco Biscella)