È meglio ammalarsi di Covid che perdere il lavoro. Un’alternativa di fronte alla quale nessuno vorrebbe trovarsi, ma che in un sondaggio d’opinione ci vedrebbe costretti a scegliere. La paura economica supera quella sanitaria (70%). Il 59%, dice Carlo Buttaroni, sondaggista,fondatore e presidente di Tecnè, condivide il green pass, il 32% lo rifiuta; solo il 22% salva il reddito di cittadinanza, mentre il 62% apprezza Draghi. Un gradimento che mette il premier in diretta “competizione” con Mattarella.



Cominciamo dal green pass. Come è visto dagli italiani?

Il 59%, lo gradisce, una percentuale più o meno corrispondente a quelli che ce l’hanno; le differenze vanno fatte risalire a chi non si è vaccinato ma ha intenzione di farlo, o a chi è titubante ma in fondo lo considera una tutela. Il 32% è contrario, praticamente irriducibile.



Veniamo invece all’obbligo di vaccinazione.

I favorevoli all’obbligatorietà sono il 47,5%, i non favorevoli il 46%.

Le incertezze sulla verifica degli ultimi giorni e la retromarcia del Viminale hanno cambiato le percentuali?

In misura pressoché ininfluente. Gli italiani che rimangono più o meno bloccati perché senza green pass ci sembrano una categoria incomprensibile: non mangiano fuori, non vanno al cinema o nei ristoranti, non viaggiano.

E invece?

Invece è chi vive nelle grandi città a indossare lenti deformanti. Un esempio: potremmo pensare che nessuno oggi pranzi più a casa, in realtà è quello che fanno ancora tre quarti degli italiani.



Renzi vorrebbe abolire il reddito di cittadinanza con un referendum, Draghi ne condivide il “concetto alla base” e dice che “è presto per dire se verrà riformato”. Cosa può dirci?

Bisogna distinguere. Se chiediamo “sì o no al reddito di cittadinanza?”, la netta maggioranza è contraria: i favorevoli sono tra il 20 e il 22%. Se invece chiediamo se servono strumenti economici di contrasto alla povertà, allora le percentuali si ribaltano.

Cosa significa?

Vuol dire che gli italiani hanno capito perfettamente che il reddito di cittadinanza è stato fatto per contrastare la povertà e aiutare nella ricerca di un lavoro, ma non sta funzionando.

Quali sono le obiezioni più ricorrenti?

Riduce la propensione a mettersi in gioco, agevola chi non vuole fare niente ed è uno strumento di tipo clientelare. 

Da esperto di flussi elettorali, come vede un possibile referendum?

Aprirebbe un’ampia discussione dai contorni non prevedibili, perché le fasce deboli – anziani, disabili – ma soprattutto i semi-poveri non sono raggiunti dagli strumenti di assistenza dello Stato e dei comuni come avviene in altri paesi.

E sotto il profilo politico?

Rischierebbe di non essere un voto sullo strumento voluto da M5s e soprattutto di rappresentare una grave sconfitta per la politica. Infatti sulla necessità di avere dispositivi a sostegno delle fasce più deboli tutti i partiti sono d’accordo.

Quale sentimento prevale verso l’immigrazione e gli sbarchi?

L’immigrazione non è percepita come una priorità. Prima vengono la paura  economica, il timore di perdere il lavoro, di non farcela economicamente, e subito dietro la paura di ammalarsi, intorno al 70%.

Come si documenta questa paura?

Le famiglie italiane hanno sempre avuto grandi risparmi e un’alta patrimonializzazione, dato che per l’80% esse sono proprietarie di immobili. Attualmente però stanno subendo una perdita del proprio valore patrimoniale che si aggira sul 20%. E se ne rendono conto. Questo fa sì che l’atteggiamento verso il futuro sia di paura, soprattutto nelle grandi città. In pratica, si tende a risparmiare perché non si sa cosa succederà domani.

Tra perdere il lavoro e ammalarsi cosa scelgono?

Un’opzione drammatica, che però abbiamo già visto all’Ilva di Taranto. È meglio ammalarsi e mantenere il lavoro.

Le stime dicono che ci sarà un rimbalzo del 5%.

Ma partiamo da -10%. Se ci dimentichiamo di questo, rischiamo che la nostra capacità di produrre ricchezza si riduca di ulteriori 5 punti rispetto al normale.

La gestione della pandemia ha influito sul consenso del governo?

No. Il consenso per il governo è intorno al 55% e quello di Draghi intorno al 62%.

Come stanno i partiti?

La nostra ultima rilevazione di fine luglio dice FdI 20,9%, Lega 20,1%, Pd 19,6%, M5s 15%, FI 8,8%, Azione 3,4, Iv 2%.

Avete anche misurato una percentuale di astensione/incerti del 42%. Com’è composta?

Un quarto degli italiani non va a votare, è un astensionismo che si è andato consolidando. Gli incerti veri si aggirano intorno al 10-12%.

Chi si astiene?

I bassi redditi poco scolarizzati che abitano nelle periferie delle grandi città, con età media dai 60 anni in su, e i giovani. È l’area della fragilità.

È superiore il consenso di Mattarella o quello di Draghi?

Secondo noi quello di Mattarella, che nell’ultima rilevazione ha superato il 70%. Ma anche Draghi, con il 62% di cui sopra, ha un consenso molto ampio. È il premier con il consenso più alto dopo sei mesi di governo.

È un gradimento che Draghi porterebbe con sé anche in caso di elezione al Quirinale?

Sì e probabilmente sarebbe destinato ad aumentare, perché gli viene riconosciuta la capacità di governare stando sopra i partiti, non con o dentro di essi.

Ha elementi per fare un pronostico sulle comunali di ottobre?

Non ho dati nuovi, ma direi che a Roma è ampiamente in vantaggio Michetti, mentre a Napoli è ampiamente in vantaggio Manfredi. A Milano c’è equilibrio, con Sala leggermente davanti. Ma in tutte e tre le città i ballottaggi sono aperti a qualsiasi scenario.

A Roma chi andrà al ballottaggio?

Michetti, a meno di imprevisti e stravolgimenti; mentre tra gli sfidanti nel nostro sondaggio Gualtieri è davanti alla Raggi. Però sono rilevazioni estive, il momento vero è a settembre.

(Federico Ferraù) 

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