Nasce il governo Conte bis, ma le scelte di voto sono in rapido mutamento, dice al Sussidiario Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè: la Lega scende al 31%, il Pd resta sostanzialmente stabile al 24,6% mentre i grillini sono risaliti al 21,5%. Spostandoci a destra, Giorgia Meloni ha raggiunto il 7%, superata di poco da Forza Italia che si assesta al 7,8%. Buttaroni ci ha parlato di quelle che sono le prospettive del nuovo governo, nato contro il parere della maggioranza dell’elettorato (lo boccia il 55%) ma che potrebbe salire nei consensi, se riuscirà a fare le scelte giuste sulle politiche di spesa a supporto dei ceti più deboli.
È nato un nuovo governo. Avrà anche questo la sua luna di miele?
Assolutamente sì, come avviene sempre. Probabilmente questo governo partirà con un po’ di diffidenza dovuta al modo in cui è nato, ma se infila tre o quattro scelte d’impatto può guadagnare consensi. Una bella dote con cui parte è lo spread basso che gli consentirà di contabilizzare 3-4 miliardi di interessi sul debito in meno. Il fatto poi di essere un governo nel cono della commissione Ue – con Gualtieri al Mef – può garantirgli un atteggiamento più morbido sugli investimenti. Se portano ristoro a chi paga la crisi, la luna di miele può iniziare.
Un governo con pochi nomi politici di rilievo al suo interno non rischia di apparire debole?
Non so se è una lettura giusta, il tasso di politica è molto alto. Dopo anni c’è un politico puro al Mef, e tutti i principali ministeri di spesa hanno ministri politici. Il nome tecnico al ministero dell’Interno è anch’esso frutto di una scelta politica, probabilmente dettata dalla necessità di ridurre la conflittualità intrinseca in quel ministero.
La Lega è scesa al 31% (era al 38% qualche settimana fa), mentre i 5 Stelle sono saliti al 21,5%, guadagnando 5 punti da inizio agosto. È l’effetto Conte?
Conte ora si gioca il futuro politico che improvvisamente gli è stato costruito intorno. È passato da un ruolo di equilibrio tra due vicepremier a essere l’uomo al centro del governo. Non è più super partes: ha un grande peso politico, e i leader dei partiti di coalizione ne escono ridimensionati.
Mattarella ha tenuto buoni indici di gradimento durante la crisi (66% secondo un sondaggio Quorum/Youtrend del 30 agosto), dove per forza di cose ha avuto un ruolo centrale. A cosa lo attribuisce?
Agli eloquenti silenzi con cui ha gestito la crisi, che sono stati molto apprezzati dall’opinione pubblica. È stato sicuramente il protagonista della soluzione ma anche il garante del fatto che i partiti non uscissero fuori dallo steccato istituzionale.
Eppure per molti il voto su Rousseau è stata una violazione delle procedure istituzionali, e uno sgarbo al capo dello Stato.
Ma anche in quel caso Mattarella ha scelto il silenzio. Voglio specificare: io non sono affatto contrario alla scelta di M5s di interrogare la base su Rousseau. È una novità interessante e utile di partecipazione alla vita politica: la sgrammaticatura istituzionale è stata farla dopo.
Le basi politiche di Pd e Cinque Stelle sono apparse di difficile lettura in questa fase.
È stata una crisi anomala che gli elettori in generale hanno capito poco negli sviluppi e nella soluzione. È normale che fossero disorientati e in quel caso è più facile dire no che sì. A noi di Tecnè una grossa maggioranza degli elettori Pd (al 66% favorevoli al governo coi 5 Stelle) ha detto di essere favorevole all’accordo, e lo stesso hanno fatto gli elettori dei 5 Stelle, seppur in misura minore (52%). Gli scontenti si sentono sempre di più, adesso bisogna capire cosa farà il governo.
A proposito: quali sono i problemi che interessano maggiormente gli italiani in questo momento?
La legge di stabilità è la cosa più importante. Poi conteranno le scelte che faranno nel quotidiano. Nei proclami è tutto facile, ma la vita quotidiana di un governo è un altro paio di maniche. Il problema principale del nostro secolo è il lavoro povero. Anche con una crescita dell’occupazione troviamo la classe media sempre più impoverita. Dalla rivoluzione industriale in poi abbiamo sempre avuto una crescita dei diritti e dei redditi dei lavoratori: dal 2000 il trend si è invertito su entrambi i punti. Questo fenomeno si alimenta di tanti aspetti ma soprattutto del fatto che in Italia la competitività si è inseguita sul campo della svalutazione del lavoro. Va bene avere un lavoro, ma averne uno che ti affranchi dalla povertà è il vero tema. E le risposte devono essere immediate: non c’è un terzo tempo per questo.
Altri temi?
Di problemi strutturali irrisolti in Italia ne accumuliamo da decenni, principalmente riguardano la modernizzazione. Alcuni temi i cittadini li percepiscono indirettamente o quando ci si scontrano: ad esempio la Pa inefficiente e un sistema fiscale costoso e oppressivo. Ma il tema che le persone vivono tutti giorni è la difficoltà crescente nell’arrivare a fine mese.
La volatilità elettorale del paese è in rialzo da anni. Il fenomeno continuerà?
Sicuramente. La volatilità è altissima perché non ci sono più gli insediamenti politici tradizionali, perché le situazioni sono cambiate, per la fretta nel cercare soluzioni. Il problema non è la povertà in sé e basta: è la vulnerabilità. E in questa situazione non c’è un’attesa, un orizzonte lungo: la risposta politica dev’essere immediata. Molto spesso la politica è vissuta di iperboli e annunci che hanno alzato le aspettative. Queste poi sono crollate di fronte alla mancanza di risultati, spesso determinando la fine anticipata di carriere politiche fino a quel momento brillanti.
La volatilità è più forte nel meridione?
No. Riguarda tutto il paese: non registriamo grossi cambiamenti. Il tasso di convinzione con cui si vota un partito è il più basso della storia della repubblica, spesso si votano due partiti diversi lo stesso giorno.
Salvini ha annunciato di ritirare la fiducia salvo poi fare diversi dietrofront. Questo lo ha penalizzato?
È stato il motivo principale della sua discesa. L’opinione pubblica ormai si informa in modo velocissimo. La narrazione di Salvini ha capito questo cambiamento: è semplificata, ancorata al quotidiano. Ma in questa fase non si è capito bene cosa volesse fare, quale fosse l’obbiettivo, soprattutto quando ha lanciato l’idea di un nuovo governo coi 5 Stelle. Ora che Salvini è all’opposizione dovrà puntare su obiettivi diversi, anche perché il governo fisiologicamente ha più attenzione da parte dell’opinione pubblica.
La Meloni sta venendo premiata per la sua linea ostile ai giochi di palazzo?
Fratelli d’Italia sta crescendo, ma il problema resta quello di capire con chi vogliono allearsi e dove vogliono andare, altrimenti non faranno mai un salto di qualità. Il centrodestra ha perso qualsiasi unità: sembrano tre partiti che vanno ognuno per conto suo. Ma nessuno sembra avere il fiato per arrivare da solo al traguardo.
Berlusconi federò il centrodestra, e fu fondamentale per vincere. I nuovi arrivati ne saranno in grado?
Capisco la voglia di cambiare col passato. Ma la realtà dice che l’area dei moderati esiste, e vuole sì un cambiamento profondo, ma anche graduale. Non vuole finire su terreni sconosciuti, chiede un cambiamento accompagnato da serenità tranquillità e pace sociale. Quello che serve non è la conflittualità, che finisce per spaventare, ma la capacità di dare risposte.
Forza Italia è condannata al declino?
Non penso. Noi l’abbiamo stimata poco sotto l’8%. Ma anche dovesse arrivare al 5%, poggia su una base potenziale di consenso grande, appunto l’area dei moderati. E ha un ruolo all’interno delle famiglie politiche europee, che le consente di avere un peso politico indipendente dalla sua posizione contingente nel sistema politico italiano.
Il resto del centrodestra invece rischia l’isolamento?
Sì. Invece i 5 Stelle, votando la Von der Leyen, ne sono decisamente usciti. Io credo che la Lega possa giocarsi una partita importante sul futuro del paese, ma deve ricostruire il perimetro del centrodestra.
I sondaggi sono sembrati al centro di questo passaggio politico. I vari politici li hanno agitati, come se fossero un distillato di volontà popolare a loro disposizione. Lei che ne pensa?
Glielo dice uno che fa i sondaggi: la politica viene prima dei sondaggi, che semplicemente misurano una reazione alle scelte che vengono fatte. Chi si fa troppo condizionare dai sondaggi sbaglia, chi non li legge idem. Secondo i sondaggi il nuovo governo non sarebbe dovuto nascere (solo il 30% dell’elettorato voleva un Conte bis). Senza le scelte non ci sarebbero neanche le reazioni. Noi registriamo e basta.
L’errore sta nel modo in cui vengono letti?
Noi sondaggisti veniamo sempre criticati: ma misuriamo l’opinione, una cosa fragile in sé. I sondaggisti italiani sono i più bravi, perché il nostro sistema politico è il più complicato al mondo. Negli anni 80 fare i sondaggi era facilissimo, l’opinione pubblica cambiava secondo cicli di almeno 5 anni. Oggi invece le persone ci dicono che andranno a votare ma poi non lo fanno…
(Lucio Valentini)