Lega al 31%, tre punti percentuali in meno di quanto raccolto alle europee. Pd (24,6%) e M5s (20,8%) in risalita secondo i sondaggi, rispettivamente di 2 e quasi 4 punti, rispetto allo scorso maggio. Forza Italia in lieve calo (dall’8,8% all’8,3%), praticamente stabile (al 6,7%) Fratelli d’Italia. La crisi, aperta da Salvini e dopo il primo giro di consultazioni al Quirinale avviata verso la possibile nascita di un governo giallo-rosso, lascia il segno nei partiti. Ma Carlo Buttaroni, presidente dell’istituto di sondaggi Tecnè, va al di là delle percentuali e accende i riflettori su alcuni punti critici: l’alleanza Pd-M5s è tutt’altro che scontata, visto che viene osteggiata dai rispettivi elettorati; non è detto che la Lega possa trarre vantaggio dall’andare all’opposizione; e soprattutto “siamo alla vigilia di un nuovo cambio di struttura politica. Non è detto che le formazioni attuali, se dovesse nascere un nuovo governo, rimarranno tali nel momento in cui si tornerà a votare. Vedo forze centrifughe in tutti i partiti, non solo in Forza Italia o nel Pd. Nella Lega assistiamo alle differenze di linguaggio e aspettative tra Salvini e i governatori del Nord, sebbene non si possa ancora parlare di divisione. E nel M5s c’è la figura di Conte, che potrebbe diventare ingombrante”.



Se si votasse oggi, la Lega, che pure resterebbe il primo partito con il 31%, perderebbe tre punti in termini di consensi, pagando così la scelta di aprire la crisi. Perché questa battuta d’arresto?

Dobbiamo partire da lontano. L’opinione pubblica chiedeva alla Lega un cambio di passo e che una crisi potesse aprirsi era nell’aria. Tant’è che avevamo registrato, dopo le europee, un cambio di maggioranza: i favorevoli al voto erano più numerosi di quelli che non volevano le elezioni.



Dove ha sbagliato, allora, Salvini?

Pur avendo cavalcato anche quest’onda di un sentimento popolare favorevole a un ritorno alle urne, nella gestione della crisi Salvini ha dato la sensazione di non avere un punto di ricaduta chiaro, come se avesse un tentennamento, soprattutto dopo le comunicazioni di Conte al Senato; la tentazione di un ritorno all’indietro, a una riedizione dell’alleanza giallo-verde. Così ha disorientato i suoi elettori e questa mancanza di chiarezza ha opacizzato l’immagine di un Salvini che sa quel che vuole fare.

Se andasse all’opposizione, in caso di nascita di un governo Pd-M5s, la Lega ne trarrebbe vantaggio in termini di consensi?



Sarebbe una narrazione nuova, tutta da scrivere. La narrazione del cambiamento stando al governo ha funzionato, tanto che la Lega è cresciuta dal 17% fino al 38%, per poi attestarsi al 34% alle europee. Stando all’opposizione, può crescere ancora, ma può anche perdere molti consensi, perché stare all’opposizione logora, specie all’inizio, quando i consensi dei governi nascenti vivono una sorta di luna di miele.

A differenza delle ultime tornate elettorali è tutto il centrodestra a perdere un po’ di terreno. Come mai?

Il centrodestra resta ampiamente maggioranza nel Paese. Forza Italia e Fratelli d’Italia perdono poco, perché non raccolgono i consensi della Lega. Quando ha superato il 34%, questi consensi arrivavano da altri insediamenti, non quelli tradizionali del centrodestra. Era quell’area che cambia rispetto all’offerta politica, tanto che abbiamo notato una notevole crescita degli indecisi: tra questi molti sono elettori della Lega alle europee. Ricordiamoci che il consenso per la Lega è in grandissima parte un consenso per Salvini, non tanto ancorato a una formazione politica quanto piuttosto alla suggestione di un leader capace di entrare in sintonia con le attese e le aspettative delle persone: quota 100, stop all’immigrazione, sicurezza…

Veniamo a Pd e M5s, che sono in risalita nei sondaggi. Un eventuale governo giallo-rosso potrebbe rilanciarli ancora di più?

Potrebbe succedere, forse più a favore del Pd che dei 5 Stelle. Difficile però che sia un vento che gonfierà le loro vele. E molto dipenderà dalla figura che andrà a ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio.

Sarebbe comunque un governo “sganciato” dal Paese reale, visto che nelle ultime regionali il centrodestra ha vinto ovunque?

In parte sì, anche se la battuta d’arresto di Salvini si ripercuote su tutta la coalizione. Mi azzarderei a dire che, se il quadro politico non si ricompone, siamo alla vigilia di un nuovo cambio di struttura politica. Non è detto che le formazioni attuali, se dovesse nascere un nuovo governo, rimarranno tali nel momento in cui si tornerà a votare. Vedo forze centrifughe in tutti i partiti, non solo in Forza Italia o nel Pd. Nella Lega assistiamo alle differenze di linguaggio e aspettative tra Salvini e i governatori del Nord, sebbene non si possa ancora parlare di divisione. E nel M5s, al di là del fatto che c’è una parte di elettori e anche di parlamentari che vorrebbero tornare all’alleanza giallo-verde e una parte che pensa si possa aprire una stagione giallo-rossa, c’è la figura di Conte.

Su Conte si sta infatti consumando un braccio di ferro tra Di Maio e Zingaretti…

Conte nel M5s è una figura che potrebbe essere dirompente. Nel momento in cui la linea politica dei 5 Stelle dovesse entrare in conflitto con la sua e decidesse di entrare nell’agone, Conte raccoglie un grande favore nell’opinione pubblica e la sua figura non sarebbe facile da gestire, perché ha un apprezzamento, cresciuto tutto con l’inizio della crisi, superiore a tutti i leader pentastellati.

Considerando i 10 punti enunciati da Di Maio e i 5 punti dettati da Zingaretti, un eventuale esecutivo Pd-M5s sembra nascere su una sorta di mini-contratto di governo. Basterà a tenerli insieme? Non è un film già visto negli ultimi 14 mesi?

Più che i singoli punti, su alcuni dei quali i due partiti possono convergere tranquillamente, mi sembra più difficile la gestione del quotidiano, le scadenze che si susseguono giorno per giorno e che hanno determinato la rottura tra Lega e 5 Sstelle. Se si dovesse ripetere una situazione analoga alla Tav, e si ripeterà perché c’è ad esempio la questione della Gronda di Genova o quella del Terzo valico, Pd e 5 Stelle sono lontanissimi. Come si regoleranno?

E sulla Legge di bilancio?

Quando la coperta è lunga, si accontentano un po’ tutti. Ma quando è corta, bisogna fare delle scelte. Ci sono molte analogie soprattutto sulle politiche sociali, ma il Pd ha un’attenzione rigorosa ai conti pubblici su cui invece i grillini mostrano una sensibilità minore. E la prossima manovra, se si vogliono realizzare tutte le misure e tutti i disinneschi possibili, vale tra i 45 e i 50 miliardi.

A ottobre potremmo vedere una Legge di bilancio vecchio stile, alla Padoan, attenta ai decimali come piace alla Ue?

Noi avremmo bisogno di una manovra nuovo stile, più coraggiosa, che punti innanzitutto sugli investimenti e sulla riforma della pubblica amministrazione, le due grandi zavorre dell’Italia. Ma qui, dove si tratta di fare scelte anche dolorose, due partiti con sensibilità così diverse sapranno trovare un accordo? Il M5s alzerà di nuovo l’indice di conflittualità con Bruxelles? E il Pd, che è meno propenso, che cosa farà? Penso sarà più facile che si arrivi a una manovra a metà, di compromesso.

Qualora su immigrazione e sicurezza dovessero fare marcia indietro, dal punto di vista dei consensi Pd e M5s andrebbero incontro a seri contraccolpi?

Se azzerassero tutto, assolutamente sì, si solleverebbe subito un’onda negativa che peserebbe sul nuovo governo in maniera decisiva. Ma non penso che lo faranno, tutt’al più cambierà un po’ il passo sui porti chiusi e si tornerà, come con Minniti, a una maggiore fermezza sulla gestione dei flussi.

Gli italiani preferiscono la nascita di un nuovo governo o il ritorno alle elezioni?

Gli italiani sembrano concordi, almeno per i due terzi, nel preferire le elezioni, a ottobre o a inizio 2020 subito dopo la Legge di bilancio. Anche perché un governo Pd-M5s non incontra il favore nemmeno dei rispettivi elettorati.

Ma Di Maio e Zingaretti riusciranno a presentarsi da Mattarella entro martedì con una proposta di legislatura seria?

Se ci riusciranno, le variabili in gioco restano comunque moltissime. Il problema per Mattarella, come per Zingaretti e Di Maio, non è affatto agevole, perché esistono quelle forze centrifughe di cui abbiamo parlato prima.

Si troverà una quadra?

Difficile dirlo adesso. E una volta date al Capo dello Stato tutte le garanzie di compattezza, unità programmatica e soprattutto nome del possibile premier, resterà la prova del nove: mettere mano subito alla manovra, dove vanno trovate un bel po’ di risorse.

(Marco Biscella)