Prima delle feste natalizie i sondaggi confermavano il calo di consensi del governo, legato anche a una legge di Bilancio 2020 giudicata dagli italiani non all’altezza. L’inizio del 2020, che secondo le intenzioni del premier Giuseppe Conte avrebbe dovuto portare a un’importante verifica all’interno della maggioranza per rilanciare la legislatura, si è invece aperto non solo con uno stallo della compagine giallo-rossa su molti dei dossier caldi ereditati dal 2019, ma anche con un quadro internazionale che, dalla Libia all’Iran, è in rapido e pericoloso deterioramento.
Qualche timido passo avanti è stato compiuto sulla prescrizione e sulla legge elettorale, ma restano ancora nodi gordiani da sciogliere, si pensi solo al caso Atlantia e alle vicende Alitalia ed ex Ilva, senza contare i perduranti problemi legati all’economia e ai conti pubblici.
Il Conte-2 è ormai immobile, bloccato da incertezze, divisioni e paure? L’incapacità di affrontare un’agenda delicata e complessa potrebbe provocare nuove discese? E a quel punto, con le imminenti elezioni regionali in Emilia-Romagna e in Calabria, chi potrebbe giovarsene?
“Effettivamente – risponde Lorenzo Pregliasco, direttore e cofondatore del sito di studi politici e sondaggi Youtrend – il governo ha deciso di posticipare alcune partite politiche, anche e soprattutto in relazione al voto in Emilia-Romagna di fine gennaio. Al momento non abbiamo ancora dati significativi in merito al 2020, quindi è difficile prevedere chi potrebbe beneficiare di un eventuale calo di consensi delle forze di governo. Di certo si può dire che la scommessa politica di Pd e M5s nel momento in cui hanno dato vita a questo esecutivo era mettere in piedi un governo che lasciasse un’impronta e che avesse un’identità”.
Non pare che ci siano riusciti, a cominciare proprio dall’appuntamento più importante, la legge di Bilancio 2020, non crede?
Sulla legge di Bilancio – peraltro tradizionalmente un passaggio articolato e difficile, e mai un governo si è trovato ad affrontarla in così poco tempo dal momento del giuramento – si sono registrate diverse difficoltà all’interno della maggioranza. Il 2020 richiederà dunque, da parte del governo, un’azione più incisiva, ma solo i fatti ci diranno se sarà possibile con questa alleanza giallo-rossa.
Conte aveva promesso un’importante verifica, ma è come un generale senza truppe. Non le sembra che abbia bisogno di un partito?
Non so se Conte ne abbia bisogno o se sia auspicabile che possa contare su una formazione di riferimento. Peraltro, recentemente, dal Pd e da Zingaretti sono arrivati giudizi molto elogiativi nei suoi confronti, addirittura dando la sensazione che l’area progressista, il centrosinistra, potesse essere rappresentato proprio da Conte. Il che, alla luce del fatto che ha governato per più di un anno con Salvini, definendosi sovranista, approvando i decreti sicurezza e le misure salviniane sull’immigrazione, risulta piuttosto curioso.
Quanto potrebbe valere un eventuale partito di Conte? E perché la stima non è legata al gradimento del premier?
I dati di gradimento sul premier non coincidono necessariamente con quanti elettori sarebbero disponibili a votare un partito da lui guidato. Cito il caso di Mario Monti, che aveva un gradimento senz’altro superiore al 10% poi preso alle politiche del 2013. Tradurre il gradimento in consenso politico-elettorale è un’operazione difficile. E molti precedenti dovrebbero indurre Conte a una certa cautela.
Il M5s è in progressivo sfaldamento, mentre incertezze e inerzia del governo rischiano di rosolare a fuoco lento il Pd. In vista del voto in Emilia-Romagna, dove si giocherà una partita decisiva per il futuro del Conte-2, chi rischia di più?
Il M5s è in evidente difficoltà, sia a livello dei gruppi parlamentari, con continue uscite e crescenti malumori, sia nell’opinione pubblica, visto che i sondaggi nazionali lo collocano intorno al 16%, quindi sotto al dato delle europee, che già era stato molto negativo. I Cinquestelle in Emilia-Romagna, che probabilmente arriveranno sotto il 10%, hanno comunque meno da perdere rispetto al Pd. Innanzitutto, l’Emilia-Romagna non è una regione amministrata dal loro e, in secondo luogo, il M5s non nutre una grande aspettativa sull’esito elettorale.
Quindi tutta l’attenzione sarà calamitata sul risultato del Pd?
Certo. E sarà così per il valore simbolico della regione e perché il voto ha assunto anche un carattere nazionale di sfida tra Pd e Lega, tra centrosinistra e centrodestra. Vedo quindi più rischi per il Pd che per il M5s.
Quanto pesano gli indecisi? Che ruolo giocheranno?
I sondaggi per ora parlano di una sfida molto aperta.
Intanto la maggioranza giallo-rossa ha trovato un accordo sulla legge elettorale: è il già ribattezzato Germanicum, cioè un proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. Come valuta questa scelta? Per Renzi e Italia Viva sarà una sfida?
Per ora c’è solo una bozza di accordo, si tratta di vedere se effettivamente la maggioranza vorrà portare questo testo fino in fondo. Fondamentalmente è un proporzionale con sbarramento al 5%, ma il cosiddetto diritto di tribuna potrebbe ripescare Italia Viva in alcuni circoscrizioni. La soglia non è bassissima – per esempio alle Europee è al 4% -, è mutuata dal modello tedesco, ma chiamare questa legge elettorale Germanicum mi pare piuttosto fuorviante, perché, al di là dello sbarramento al 5%, ha molto poco a che fare con il modello tedesco.
L’iter del Ddl potrebbe creare tensioni nella maggioranza?
I prossimi passi sulla legge elettorale saranno determinanti per la sopravvivenza del governo e della legislatura, perché ciascuno degli attori in campo vedrà nella legge elettorale una strettoia. Ci sarà chi ci guadagnerà e chi ci perderà. E l’approvazione di questa legge offrirà ad alcuni partiti una sensazione di avere mani libere…
Anche la Lega a fine dicembre era in leggero calo. Perché?
Dopo il successo elettorale in Umbria, la Lega ha registrato un leggero calo, da collegare soprattutto alla crescita di Fratelli d’Italia, che potrebbe aver recuperato soprattutto al Centro-Sud una quota di consensi legati al centrodestra.
Quanto potrebbe pesare, in termini di consenso, una condanna di Salvini sul caso Gregoretti e – in ipotesi – una sua estromissione dalla politica via legge Severino?
Potrebbe avere un effetto di amplificazione, di vittimizzazione. Tutti ricordiamo la fase berlusconiana e quanto Berlusconi avesse costruito il suo personaggio proprio sull’essere vittima delle procure. Salvini, qualora scattasse l’autorizzazione a procedere, potrebbe a quel punto difendere il suo operato da ministro dell’Interno, mettendo così nell’angolo i Cinquestelle e Di Maio, che di fatto tutte quelle misure aveva condiviso, stando appunto al governo con la Lega. Se il caso Gregoretti tornerà sulle prime pagine questo potrebbe aiutare la Lega, perché vorrebbe dire tornare a parlare di immigrazione, di sicurezza, di difesa dei confini nazionali. È la linea di difesa dello stesso Salvini e si tratta di un messaggio piuttosto chiaro. Tutt’altra cosa, invece, è il discorso sull’agibilità politica, se davvero il caso Gregoretti dovesse sortire degli effetti sulla possibilità per il segretario della Lega di restare in politica.
Dall’Iran alla Libia, il quadro internazionale è in rapido e pericoloso deterioramento e il governo mostra eccessiva confusione e debolezza. Potrebbe cadere sulla politica estera?
No, non credo. Nel 2007 il governo Prodi cadde in Parlamento sulla politica estera, ma eravamo in presenza di tutto un altro scenario, con una maggioranza estremamente risicata e che contava sull’appoggio di senatori della sinistra radicale. Oggi il governo non rischia su questo.
E in termini di riflesso sui consensi?
In Italia i temi di politica internazionale o di geopolitica pesano molto poco nel dibattito pubblico, tenuto conto tra l’altro che il nostro paese non è così coinvolto nella crisi iraniana, mentre lo è di più in quella libica. Ma non credo che anche a livello di tensioni interne alla maggioranza la politica estera possa giocare un ruolo così decisivo.
(Marco Biscella)