La prima cosa da fare è aumentare gli stipendi. L’inflazione sta toccando le tasche degli italiani, soprattutto quelli dei ceti popolari. Per questo la richiesta che viene dalla gente per l’autunno è principalmente quella di intervenire per migliorare il reddito delle famiglie e, in secondo luogo, per ridurre il divario tra ricchi e poveri. Al terzo posto, invece, c’è l’introduzione del salario minimo. Emerge da un sondaggio che cerca di individuare le istanze delle persone al rientro dalle ferie e in vista della nuova stagione lavorativa. Ne abbiamo parlato con Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos e docente di teoria e analisi delle audience all’Università La Sapienza di Roma.
Come vedono gli italiani la situazione nel prossimo autunno?
Il 21% prevede una situazione di crescita e andamento positivo dell’economia. Il 66% si divide tra quanti pensano che ci sarà un’economia stagnante, e sono il 36%, e un altro 30% che invece pensa che saremo in recessione.
In generale prevale il pessimismo?
Solo una minoranza è ottimista. Nel ceto medio la percentuale di chi ha uno sguardo positivo sul futuro diventa del 32%. Chi già sta bene continua a pensare a una crescita, mentre nei ceti popolari, che non hanno una situazione economica florida, la maggioranza delle persone, il 48%, pensa che l’economia sarà in recessione. I lavoratori dipendenti sono pessimisti al 71% rispetto a un media del 66, mentre fra i professionisti e i lavoratori autonomi il 31% è ottimista. Nel ceto dirigente la percentuale arriva quasi al 40%. Si mantiene questa forbice dal punto di vista sociale.
Quali sono le preoccupazioni principali?
Lo vediamo dalle richieste delle persone, dalle cose che, secondo loro, bisognerebbe fare nei prossimi mesi. La prima è aumentare gli stipendi, così è per il 50% degli italiani. Su questo sono d’accordo la metà degli elettori della Lega e il 54% di quelli di Fratelli d’Italia. Più degli elettori del Pd, che si fermano al 45%.
È un indice anche di come si è spostato l’elettorato?
Assolutamente sì, è un indice di come è composta la base elettorale del centrodestra in questo momento.
Quali sono le altre priorità dopo l’aumento degli stipendi?
Ridurre il divario tra ricchi e poveri e introdurre il salario minimo sono priorità per il 35%, percentuale che vale per entrambe le voci. Per queste persone questi due interventi sono fra i primi tre da realizzare in assoluto. Sull’introduzione del salario minimo sono d’accordo di più i leghisti (33%) mentre sono molto freddi gli elettori di Fratelli d’Italia, che si fermano al 17%. Nel Pd, invece, la percentuale è del 46%.
La preoccupazione principale comunque è quella per i salari?
Sì. Lo scatto inflattivo ha colpito le tasche delle persone, soprattutto dei ceti più deboli. Se guardiamo a chi vuole il salario minimo scopriamo che sono in particolare i ceti popolari (40%) e chi vuole l’aumento degli stipendi sono sempre i ceti popolari (56%). Sono le persone che, se anche vanno a fare la spesa al discount, si accorgono che i prezzi sono saliti di molto rispetto al passato.
Esaurito il podio delle priorità cos’altro chiedono gli italiani?
Al quarto posto della loro agenda c’è vietare i contratti precari (32%). Tutte quattro le priorità ruotano intorno al reddito delle famiglie e al lavoro. Al quinto posto c’è, invece, incrementare gli sgravi fiscali per le famiglie con figli.
Natalità e riduzione del cuneo fiscali sono due degli argomenti su cui punto il Governo per la prossima legge di bilancio. È questo che chiedono gli intervistati?
La richiesta di aumentare gli stipendi e ridurre il divario tra ricchi e poveri va oltre il cuneo fiscale. È consolidata l’opinione che in questi anni le imprese abbiano fatto ampi profitti, mentre gli stipendi sono fermi dal 1990. Non è solo una questione di cuneo fiscale, ma di politica economica generale. Negli anni 60 le imprese americane pensarono che per far crescere l’economia dovessero crescere i consumi e per far questo bisognasse aumentare gli stipendi, perché poi la gente potesse investire i soldi comprando i prodotti. Con la gente povera non si fa economia.
Ci sono altre priorità indicate dagli intervistati?
Chiedono di detassare le imprese che assumono a tempo indeterminato. Siamo nello stesso ambito delle indicazioni precedenti. Tutto ruota intorno alla riduzione del divario tra ricchi e poveri e agli interventi sul lavoro. Non c’è comunque una visione anti-imprese ma una visione per la quale l’economia deve ripartire.
Cosa pensano invece gli italiani del Governo?
Per quanto riguarda la politica economica abbiamo un 40% degli italiani che dà un voto tra il 6 e il 10, mentre il 50% lo dà tra l’1 e il 5. Il 10% non risponde. Una minoranza la approva e la maggioranza no. Alla fin fine, comunque, se si guarda bene, i riscontri positivi sono degli elettori di centrodestra, quelli negativi di tutti gli altri italiani che non hanno votato il centrodestra. Più o meno è la fotografia del voto, un po’ più bassa. Tra gli elettori di Fratelli d’Italia c’è un 11% di delusi dalla politica economica del Governo e un 23% che dà 6, la sufficienza. Nel complesso è un 33% che non stappa bottiglie di champagne per quello che è stato fatto in ambito economico.
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