Gli italiani hanno molta paura sia dell’emergenza sanitaria che di quella economica. Mentre però il 95% apprezza le misure restrittive adottate dal governo per combattere l’epidemia, meno del 50% concorda con le misure previste per difendere l’occupazione e la ripresa economica. Anzi, il governo, che già oggi gode di un consenso superiore solo al 30%, potrebbe essere colpito da un “effetto boomerang violentissimo”: secondo Carlo Buttaroni, presidente dell’istituto di sondaggi e ricerche Tecnè e direttore di T-Mag, “se i benefici economici annunciati non entreranno in circolo entro tre-quattro settimane al massimo, sono a rischio non solo la fiducia nel governo e nelle istituzioni, ma la stessa tenuta sociale e politica del paese”. Intanto anche l’Europa viene sempre più percepita come un’istituzione che “ci lega le gambe proprio quando l’emergenza ci costringe a correre”.
Agli italiani fa più paura l’emergenza sanitaria o quella economica?
Viaggiano in parallelo. L’emergenza sanitaria fa ancora molta paura e altrettanto ne suscitano i possibili impatti economici che deriveranno anche dalle restrizioni imposte dal governo per fermare l’epidemia.
Si parla infatti di una possibile proroga delle restrizioni fino al 18 aprile. Per quanto ancora saranno disposti gli italiani a seguire le misure restrittive che sono state adottate?
Non ci sono segnali di insofferenza, anzi il 95% degli italiani era favorevole a queste misure di contenimento e una quota consistente, superiore al 30%, avrebbe voluto che fossero state adottate fin dall’inizio della crisi. Sulle misure sanitarie gli italiani appoggiano l’operato del governo.
Anche le misure economiche annunciate per lenire le conseguenze dell’emergenza ottengono lo stesso grado di apprezzamento?
Le misure sull’economia raccolgono un minore consenso, siamo al di sotto del 50%.
Perché?
Pochi le conoscono e le valutazioni risentono anche dei giudizi politici sul governo e su questa maggioranza. E bisogna tener conto di un aspetto importante.
Quale?
I giudizi favorevoli si riferiscono per ora alle misure annunciate. Ma di ciò che sta scritto nei vari decreti, ben poco è arrivato all’economia reale. Ecco il punto: questa emergenza ha creato un enorme shock economico nel sistema paese e se gli aiuti non arrivano immediatamente, perfino i giudizi positivi rischiano di diventare un boomerang violentissimo per il governo. Più del 50% degli italiani fa fatica ad arrivare alla quarta settimana, non c’è tempo su cui diluire gli impatti. Rischiamo di andare incontro a scenari che finora abbiamo visto solo nei film di fantascienza di serie B. L’innesco di una crisi sociale così violenta può portare a esiti inimmaginabili.
Dal punto di vista geografico, si notano differenze tra il Nord, duramente e direttamente colpito dall’emergenza Covid-19, e il Sud, preoccupato di non essere investito dalla stessa virulenza dell’epidemia?
No, non ci sono. Diciamo che ad accomunare le due aree c’è anche il fatto che tutti sono d’accordo nell’adottare misure sanitarie restrittive, ma riservandosi dei piccoli salvacondotti, da ritagliarsi di volta in volta in base alle esigenze che si presentano. Fa parte della nostra cultura individuale: pensiamo siano prescrizioni valide per gli altri, poi ciascuno s’ingegna ad adattarle a sé.
E sulle misure economiche?
Sulla necessità di avere dei ristori rispetto alle sofferenze di questi giorni, il Sud è più attento e sensibile. Qui la situazione è socialmente più infiammabile.
Agli occhi degli italiani come si è mosso e si sta muovendo il governo Conte?
E’ chiaro che nelle emergenze viene naturale stringersi intorno al comandante in capo, si tende ad affidare i propri destini alle istituzioni, tanto che abbiamo visto crescere la fiducia nel governo sopra il 30%, avendo guadagnato 4-5 punti dall’inizio della crisi. Ma, soprattutto sulle misure economiche, la lentezza burocratica, che oggi può anche far sorridere, può diventare per il governo un nodo gordiano. Sulla carta sono stati messi in campo interventi di tale portata e di così ampio raggio che non abbiamo visto neppure nella crisi del 2008, visto che si arriverà ad aprile a 50 miliardi se non di più. Ma di fronte a una emergenza che concentra la sua violenza in un arco di tempo breve, anche le risposte devono essere altrettanto tempestive.
Quanto?
Se arrivano troppo tardi, è come se non arrivassero mai e rischiano di essere un elemento deflagrante sulla fiducia verso il governo. Il 40% degli italiani presto avrà problemi nel fare la spesa e il 40% della popolazione al Sud è nella fascia della povertà, perché si ritrova già oggi senza un reddito. Quindi, se entro tre-quattro settimane al massimo, i benefici annunciati non entrano in circolo, sono a rischio non solo la fiducia nel governo e nelle istituzioni, ma la stessa tenuta sociale e politica del paese.
Anche Governatori e Regioni sono in prima linea dall’inizio della crisi. Come viene percepita la loro azione?
Le istituzioni locali si sono dimostrate più veloci del governo centrale. Penso, ad esempio, a tutti gli sforzi messi in campo per creare strutture sanitarie alternative per accogliere i contagiati Covid-19. Cose che in tempi normali richiederebbero 5-10 anni, sono state realizzate in 15 giorni. E gli italiani se ne sono accorti.
Il coronavirus è stato un violento stress test per il nostro sistema sanitario. Lei pensa che questa prova del fuoco può aver cambiato la percezione e la fiducia degli italiani verso la nostra sanità?
Senza dubbio. Gli italiani sono tornati ad apprezzarla. Se prima i problemi riguardavano le liste d’attesa o lo scarso decoro degli ospedali, in questo momento d’emergenza hanno potuto misurare l’efficienza delle strutture e la professionalità degli operatori sanitari. Si registra un grandissimo riconoscimento: oggi oltre l’85% apprezza e si fida del sistema sanitario italiano. E la fiducia, sotto i colpi di questa emergenza, è salita di quasi 30 punti.
L’Europa finora ha dimostrato una certa chiusura alle proposte di aiuto formulate dall’Italia. Questo potrebbe impattare sulla fiducia degli italiani verso l’euro e la Ue?
Sicuramente. Oggi l’interrogativo per molti italiani è proprio questo: serve restare in una Europa così? Oggi che siamo costretti a correre, la Ue viene percepita come l’istituzione che ci lega le gambe. Il sentimento europeista è messo a dura prova anche tra gli europeisti più convinti.
Dopo il suo articolo sul Financial Times, si è parlato di un possibile ruolo da affidare a Mario Draghi per traghettare l’Italia fuori dalla crisi. Quanto “vale” come consenso politico l’ex presidente della Bce?
Draghi è l’italiano che all’estero gode della maggiore autorevolezza, in Italia vanta molti estimatori e questo si riflette anche sull’apprezzamento degli italiani. Sarebbe una figura in grado di garantire maggior peso alle istituzioni italiane, anche verso gli interlocutori europei più rigidi. Ma il punto è: con quali armi a disposizione? Un conto è dire “Whatever it takes” sapendo di poter contare sul bazooka della Bce, un conto è dirlo per l’Italia presentandosi al tavolo di Bruxelles sapendo di avere la pistola con il tappino rosso…
(Marco Biscella)