Guardando i numeri degli ultimi sondaggi, era prevedibile, conoscendo gli italiani e l’abilità dialettica di Salvini, che il caso Sea Watch, alla fine, nonostante la sentenza giudiziaria a lui sfavorevole, si sarebbe risolto in un grande successo per il leader della Lega. Secondo Carlo Buttaroni, presidente dell’istituto di sondaggi Tecnè, il 60% degli italiani si è dichiarato d’accordo con Salvini, che chiedeva il divieto di sbarco e l’incriminazione del comandante della nave della Ong. Percentuale che, ovviamente, ha portato fieno in cascina anche ai consensi per la Lega, che tocca così il suo nuovo record storico, arrivando al 38% delle preferenze e lasciando parecchio indietro sia il M5s (17,2%) che il Pd (22,6%), come confermano anche altri istituti di sondaggio. E il no alla procedura di infrazione da parte della Commissione europea? “Porta ossigeno al governo – risponde Buttaroni – anche se va detto che un procedimento così grave, preso dalla Commissione ormai uscente, è stato evitato sostanzialmente per non lasciare la nuova con un tale grosso peso sulle spalle”.



Gli avvenimenti degli ultimi giorni, dal caso Sea Watch alle nomine Ue, come hanno segnato lo scenario politico italiano? Ci sono state variazioni evidenti nelle preferenze degli italiani? Che segnali avete colto?

Sicuramente il caso Sea Watch è quello che ha segnato di più la scena politica di questi giorni. Le nostre rilevazioni ci dicono che ben il 60% degli italiani sosteneva il ministro degli Interni e le sue scelte, cosa che ha portato un’evidente ricaduta positiva sul suo partito, che da alcuni istituti di sondaggio viene indicato al suo massimo storico, il 38%. Il Pd, invece, sembra evidentemente ancora fuori baricentro (l’istituto SWG lo dà al 22,6%, stabile rispetto alla settimana precedente, ndr).



Anche lo stop alla procedura di infrazione ha portato a qualche sommovimento?

No. Si tratta certo di ottimo carburante per il governo, allontana le tensioni che potevano invece nascere qualora la procedura fosse stata portata avanti. Ovviamente l’asticella da superare si è adesso spostata più in là, se si vuole far quadrare i conti con quanto la Commissione ancora ci chiede pensando ai contenuti del contratto di governo. E’ un nodo non facile da sciogliere. Molto dipenderà dalla prossima Legge di bilancio e da come verranno trovati risorse ed equilibri.

Secondo lei, siamo stati “graziati” dall’Unione europea?



Che ci fosse un rinvio era abbastanza prevedibile, non solo per lo sforzo messo in campo dal nostro governo per trovare un accordo, ma anche perché la procedura era stata minacciata dalla Commissione uscente. Si è trattato, insomma, di una cortesia istituzionale interna all’Europa, dato che un procedimento così grave non ha precedenti. Aprire la procedura avrebbe lasciato un’eredità molto pesante alla nuova Commissione.

Le nuove nomine europee secondo i sondaggi hanno influito sul trend dei consensi degli italiani?

Non portano sostanziali cambiamenti, perché gli assetti fondamentali sono rimasti invariati. La maggioranza politica uscente è la stessa di quella nuova, si è rafforzato l’asse franco-tedesco, non si sono manifestate grosse differenze. Per l’Italia, però, lo scenario è peggiorato, perché tra un po’ non ci sarà più Draghi e bisogna vedere se la nuova presidente della Bce confermerà le sue politiche monetarie espansive, che tutti hanno riconosciuto fondamentali e decisive per mantenere alti i giri del motore europeo.