Sondaggi. “Conte mi sfida sul caso Siri? Sfidiamoci sulle tasse, su qualcosa che interessa gli italiani, non sulla fantasia”, ha detto Matteo Salvini. E Di Maio ha prontamente ribattuto: se Siri “non si dimette, si vota in Consiglio dei ministri e noi abbiamo la maggioranza assoluta, i numeri sono dalla nostra parte”. Al che il sottosegretario alla Presidenza, il leghista Giancarlo Giorgetti, ha sottolineato: “Rompere la coalizione? Non so, si tratta di decidere se si vuole perdere tempo con le dichiarazioni e con i giornalisti o se si vuole lavorare. Io personalmente lavoro tanto, forse troppo”. Insomma, come è ormai da diverse settimane e come sarà almeno fino al 26 maggio, i due alleati di governo continuano a punzecchiarsi, in una guerra di posizione che alterna momenti di alta tensione, rischi di collisione e repentini accomodamenti. Per poi continuare, il giorno successivo, a litigare su un altro argomento, in un tira-e-molla continuo. Ma, alla fine, chi tra Lega e M5s pagherà il conto più salato con le dimissioni di Armando Siri? “L’evoluzione della vicenda – risponde Lorenzo Pregliasco, cofondatore e direttore di YouTrend – sta andando più nella direzione proposta dai Cinquestelle, perché mi sembra che in questo caso la Lega sia uscita sconfitta. Ma non so quanto questo successo del M5s possa poi produrre consenso elettorale. La mia impressione è che di qui a poco nessuno si ricorderà più di questo caso, soprattutto nell’elettorato largo, quello composto da chi non segue assiduamente le cronache politiche. Sono fatti che toccano più gli addetti ai lavori e le poche persone veramente appassionate di politica”.



Salvini ha parlato di “imboscata”, accusando i Cinquestelle di voler “cercare la crisi di governo”. È così? Si stanno avvIcinando le elezioni anticipate?

Non credo che la vicenda Siri possa accelerare un’eventuale crisi. Mi sembra una delle tante schermaglie tra Lega e Cinquestelle che hanno punteggiato queste settimane. D’altra parte, se Salvini avesse voluto mettere la sopravvivenza del governo sul piatto, l’avrebbe già fatto, difficile che lo faccia adesso.



La vicenda Siri ha coinvolto in prima persona anche il premier Conte. Avrà qualche riflesso sul suo gradimento, legato soprattutto al ruolo che si è ritagliato di mediatore tra i due litiganti?

Conte potrebbe scendere nel gradimento presso gli elettori della Lega, perché ha dimostrato di essere troppo schiacciato sulle posizioni del M5s.

Ormai Lega e M5s litigano su tutto. Che cosa tiene ancora insieme i due alleati?

Li tiene insieme una somma di debolezze e di condizioni politiche. Per i Cinquestelle l’opportunità di stare al governo è ghiotta e forse non ripetibile. Per la Lega, abbandonare l’attuale maggioranza significherebbe fare un azzardo, cioè rischiare di trovarsi più o meno daccapo e rischiare di scontentare una parte di elettorato che ha votato, e oggi sostiene, la Lega perché è al governo con questa formula nuova. E per Salvini vorrebbe dire rinunciare a un partner di governo più gestibile di quanto potrebbero essere Forza Italia e Fratelli d’Italia. Insomma, stanno insieme perché non hanno grossi incentivi a staccare la spina.



Le schermaglie si susseguono solo perché si stanno avvicinando le elezioni europee oppure le divergenze sono ormai inconciliabili e i nodi vengono al pettine?

La mia impressione è che in questi frangenti sia stato più il M5s che la Lega a cercare differenziazioni e smarcamenti, perché oggi sono più i Cinquestelle ad aver bisogno di un’identità politica e di nuova legittimazione agli occhi dell’opinione pubblica. Una spinta dei Cinquestelle che credo abbia un orizzonte legato alla scadenza delle Europee, perché sono una consultazione proporzionale, dove ogni forza politica deve ottenere i voti per sé e deve massimizzare il proprio consenso senza curarsi di alleanze o coalizioni. In questa logica non è così irragionevole la stagione dei distinguo che stiamo vivendo.

Dopo le elezioni europee, qualora Lega e M5s decidessero di proseguire la loro esperienza di governo, sarebbe il caso che mettessero mano al Contratto di governo, oggi assai logoro e inadeguato?

Il Contratto di governo a me è parsa più un’operazione di comunicazione politica, un escamotage attraverso il quale due partiti, che non erano ancora alleati alle elezioni e che poche settimane prima di trovare l’accordo sembravano molto distanti, potessero giustificare la scelta di governare insieme. Ma non ho mai creduto che i contenuti del Contratto fossero la bussola dell’attività di governo. Quindi, ritengo poco utile metterci mano, sarebbe un’ammissione di debolezza e significherebbe riaprire divisioni su temi spinosi.

Tra i temi spinosi figura senz’altro l’economia. In una situazione che resta difficile, nonostante l’Italia sia uscita dalla recessione tecnica, Lega e Cinquestelle continuano ad avere ricette troppo diverse sulla crescita e sul rilancio del Pil. Finora Salvini e Di Maio hanno giocato le loro carte sull’immigrazione, la redistribuzione e la questione morale, ma potrebbe arrivare il momento in cui gli elettori chiederanno il conto per questa impasse nel contrastare efficacemente la stagnazione?

Il rischio per loro c’è sicuramente. Non lo abbiamo finora visto, perché bene o male il consenso verso i partiti al governo, pur non essendo più sui massimi del 60%, è comunque ancora al 55%, superiore al 50%, cioè alla somma dei voti raccolti il 4 marzo 2018 dai due partiti. Ma non vedo un disamoramento e una delusione dell’opinione pubblica verso il governo giallo-verde. Però, in prospettiva, non è da escludere. È vero che questi discorsi li facevamo già prima della Legge di bilancio 2019…

Allora, però, faceva premio prendersela con l’Europa arcigna che non lasciava spazio alle ricette economiche di Lega e M5s. Adesso che reddito di cittadinanza e quota 100 sono state approvate, l’alibi non regge più…

Vero, ma nella loro retorica politica possono sempre dire che la crescita fiacca è comunque causata dai vincoli Ue. Gran parte della campagna elettorale per le Europee ruota attorno alla promessa che il 26 maggio cambierà gli equilibri e la sensibilità della Commissione Ue nei confronti dei conti pubblici italiani.

Sarà davvero così?

A mio avviso, nutro seri dubbi che accada, anche se nessuno sa come andranno veramente le Europee in tutta l’Europa. Comunque, non sminuirei la capacità del governo di generare scuse, alibi e giustificazioni per l’andamento dell’economia. Qualora, poi, ci dovesse essere una delusione per i risultati economici e una situazione di sofferenza, l’effetto non sarà comunque immediato, ci vuole tempo. Vorrei ricordare che l’economia italiana è cresciuta abbastanza nel periodo 2015-2017, ma non mi risulta che chi era al governo in quel momento ne abbia beneficiato.

Tra Salvini e Di Maio, è vero che a essere più in crisi è il leader grillino? E se il M5s alle Europee non dovesse raggiungere la soglia del 20%, si aprirebbe un processo politico alla sua leadership?

Sì, il risultato delle Europee potrebbe incidere, anche se poi mi pare difficile pensare a una sostituzione di Di Maio. Non ho visto grandi movimenti, capacità di aggregazione e figure competitive all’interno dei Cinquestelle. Ma se il governo dovesse venir meno, a quel punto ci si potrebbe attendere una sfida alla leadership di Di Maio. Certo, rispetto a Salvini, Di Maio appare più in difficoltà, vuoi per l’evoluzione dei consensi, che sono calati di 10 punti rispetto alle politiche, vuoi per il fatto che la Lega è un partito più monolitico attorno alla leadership di Salvini. Ma non vedo ancora alternative nel suo campo.

La Lega da mesi è accreditata di consensi superiori al 30%. Ma se alle Europee raccogliesse meno voti?

Il rischio c’è. La Lega non solo parte dal 17% delle ultime politiche, ma parte dal 6% delle ultime Europee. In soli cinque anni ha conosciuto una crescita imponente, che sia il 28%, il 30% o il 32%. La questione, però, è quella delle aspettative, che in politica sono molto importanti. In quest’ottica, viste le grandi aspettative, per la Lega un dato delle urne intorno al 27-28% sarebbe non abbastanza positivo per poter rivendicare la propria egemonia sul centrodestra.

Ci sarebbero anche effetti sulla leadership di Salvini?

No, questo no, ma potrebbe magari dare qualche spiraglio in più ad altre forze del centrodestra, facendo pensare a qualcuno in Forza Italia o in Fratelli d’Italia che forse il centrodestra non è poi così “salvinizzato” come sembrava.