Salvini ha agito fuori dagli schemi spiazzando tutti i partiti; e può permettersi di correre da solo, perché il suo potenziale elettorale lo colloca nettamente al di sopra del 37%. Il taglio dei parlamentari? Un’arma spuntata: la ridefinizione dei collegi è incompatibile con uno scenario di voto a breve termine. Nessun gioco è già fatto però, perché “la libertà di flusso è pressoché totale; il voto non è più nemmeno liquido, è gassoso” dice al Sussidiario Salvatore Borghese, analista e co-fondatore di Quorum e YouTrend.
Chi sfiducia il governo è destinato a perdere nelle urne?
Può essere una suggestione interessante, ma nulla più. Tutto coloro che lo hanno fatto hanno valutato i pro e i contro, e semmai sono stati sconfitti a causa di questa valutazione, non per avere sfiduciato il governo. Dipende. Mastella sfiduciò Prodi, aveva tutto da guadagnare perché l’anno dopo Berlusconi lo candidò in Europa. Berlusconi sfiduciò Letta senza riuscirci, anzi gli costò la scissione (il Nuovo centrodestra di Alfano, ndr). Gli andò bene con Monti, al quale tolse la fiducia prima che egli potesse strutturare Scelta civica.
Una mossa come quella di Salvini coglie più di sorpresa M5s oppure il Pd?
I Cinque Stelle sicuramente non se lo aspettavano. Il fatto è che Salvini ha agito fuori dagli schemi. Tutti ci siamo interrogati per settimane sul perché delle polemiche M5s-Lega dopo le europee, un non senso perché il voto era alle spalle; guardavamo quando si sarebbe chiusa la “finestra” del voto; facevamo il conto alla rovescia rispetto alla manovra economica.
E invece?
Al di fuori di Salvini, tutti gli attori politici sono abituati a vedere le cose come sono sempre state fatte. Con in più le “scadenze” da rispettare. E se per queste scadenze non ci sono sanzioni?
Diventano irrilevanti rispetto alla prospettiva di cogliere tutti di sorpresa.
E così è stato. Salvini ha approfittato di un momento direi irripetibile: Forza Italia si è appena liquefatta, la leadership di Di Maio è in grave crisi, la tensione tra le principali anime del Pd, Zingaretti da una parte e i gruppi parlamentari dall’altra, stava aumentando.
Anche Renzi è stato spiazzato.
Sì, perché la Leopolda era stata pensata per ottobre e doveva essere il trampolino di lancio per un movimento che si sarebbe strutturato nei mesi successivi, in vista di elezioni anticipate. Ma se si vota ad ottobre-novembre la Leopolda sarà troppo “sotto” la data del voto, e sarà inutile lanciare il nuovo soggetto solo allora. Simboli e liste vanno depositati al Viminale almeno un mese prima delle elezioni.
Com’è la situazione attualmente?
Le nostre simulazioni, basate sulla “supermedia” dei sondaggi elaborata lo scorso 1° agosto, dicono che la situazione è stabile rispetto a 15 giorni prima, con la Lega al 36,8%, M5s al 17,6%, il Pd che perde quasi un punto, dal 22,6% al 21,7%, probabilmente a seguito della campagna anti-dem su Bibbiano; FI al 7,3%, FdI al 6,4%. Tutti sono praticamente stabili.
Il voto in ottobre quanto potrebbe portare alla Lega, stante la legge elettorale che abbiamo?
Il centrodestra unito (Lega+FdI+FI) otterrebbe i due terzi dei seggi; anche una coalizione “sovranista” Lega-FdI si imporrebbe, ottenendo la maggioranza assoluta. La Lega da sola, invece, non avrebbe la maggioranza assoluta né al Senato né alla Camera.
Allora che cosa può indurre Salvini ad andare da solo, come ha detto di voler fare?
Nella posizione di forza in cui si trova, Salvini è in una situazione win-win qualunque sia l’esito. Salvo grossi e imprevisti cataclismi, vincerebbe comunque. Uso il condizionale perché ancora non è chiaro cosa vuol fare. Ma una corsa solitaria avrebbe senso per due ragioni molto semplici.
La prima?
FI è finita: Salvini non avrebbe bisogno di giustificare con nessuno il fatto di non allearsi con Berlusconi.
E la seconda?
L’alternativa è allearsi solo con FdI, che però è in difficoltà, perché negli ultimi 18 mesi la Meloni si è trovata sulle stesse posizioni della Lega salvo ritenere inaccettabile di essere al governo con M5s. Nel momento in cui Salvini rompe platealmente con M5s, perché mai un elettore di FdI dovrebbe votare FdI e non la Lega?
I sondaggi dicono che la Lega è intorno al 37%. Le occorre il 40%?
Non c’è una soglia specifica prefissata, perché dipende tutto da come si distribuisce il voto nei collegi uninominali. Se un partito ha il 40% a livello nazionale può paradossalmente prenderne zero oppure conquistarli tutti. Il maggioritario funziona così, è imprevedibile. Però c’è una soglia grossomodo implicita, il 40% appunto, legata a come si distribuisce il voto ai partiti sul territorio. Le nostre simulazioni sono basate sulla distribuzione del voto alle europee.
Torniamo al 37% della Lega. La scommessa di Salvini è di salire ancora. Conta sui fattori che ha detto prima?
Sì: se una parte di elettori di FI e FdI votano in modo strategico, possono anche portare Salvini oltre il 40. Un po’ come accadde al Pd fondato da Veltroni nel 2007: alle politiche del 2008 il suo potenziale elettorale lo fece arrivare molto al di sopra del 30% di cui era accreditato all’inizio. Inoltre dopo il voto Salvini potrebbe tranquillamente allearsi con i partiti di centrodestra.
M5s insiste per volere il taglio dei parlamentari. Ma la riduzione dei parlamentari richiede un ridisegno dei collegi. A chi conviene prendere o lasciare questo pacchetto?
A bocce ferme non converrebbe a nessuno, perché ogni partito si vedrebbe attribuire meno deputati e senatori. Detto questo, la Camera ha approvato nel maggio scorso una legge (51/2019, ndr) che rende automatico l’adattamento del numero di collegi rispetto all’eventuale riduzione dei seggi, che sono scritti in Costituzione. Questo è possibile perché i collegi si riferiscono alla percentuale di seggi, non al loro numero assoluto. Se viene approvata la riforma costituzionale che riduce i parlamentari, si andrebbe quasi sicuramente a referendum, e la riforma entrerebbe in vigore dopo nuove elezioni, non prima.
E perché?
Perché la ridefinizione dei collegi uninominali è un’operazione tecnica che fa un ufficio del governo, non il Parlamento con una legge. Tenuto conto dei tempi necessari al referendum costituzionale, saremmo già nel 2020. Non ne vedo le condizioni nel quadro in cui stiamo ragionando, quello di una legislatura a vita breve e di un ritorno al voto in tempi rapidi.
Nel frattempo però M5s è pronto a usare il taglio dei parlamentari come arma politica: chi è contrario sta coi privilegi e con la casta.
Non credo che l’argomento dei 5 Stelle “prima il taglio dei parlamentari poi il voto” avrà presa sugli elettori. È un tema su cui la stragrande maggioranza degli elettori è astrattamente d’accordo, ma per un elettore di centrodestra non può essere un motivo per non votare più Salvini. Gli elettori M5s guarderebbero con maggior sfavore Salvini se dovesse boicottare la riforma, ma questo è nelle cose.
Cosa può dirci del consenso al 17% di M5s, dimezzato rispetto al 2018?
L’elettorato non si è strutturato, il voto è rimasto per la maggior parte di protesta. Ed è un voto molto ballerino. Nell’immaginario prevalente degli italiani questo governo porta il segno dei 5 Stelle: Conte è stato espresso da Grillo e Di Maio, è un premier pentastellato, non leghista.
Che conseguenze ne trae?
Non vedo M5s in grado di riprendersi come quando è o è stato all’opposizione.
Quali strategie politiche vedremo nell’immediato?
Quelle che abbiamo già cominciato a vedere: M5s dopo la rottura con la Lega sta tentando di rifarsi una verginità, facendo di Salvini il capro espiatorio delle riforme incompiute; Salvini, viceversa, accuserà M5s di tutto quello che non è riuscito a fare il governo.
La Lega può ritenersi al sicuro?
No, niente affatto. La nostra supermedia dice 36,8%, il suo consenso potrebbe aumentare, ma anche diminuire, perché nella dinamica già in atto, quella del “Salvini contro tutti”, Salvini potrebbe anche indebolirsi.
Ci sono elettorati consolidati?
No, la libertà di flusso è pressoché totale; il voto non è più nemmeno liquido, è gassoso.
(Federico Ferraù)