L’esplosione della pandemia ha coinciso con una “resa valutativa” della scuola ancor più netta di quella già in atto ormai da anni: l’anno scorso esami praticamente annullati e promozione quasi assicurata anche agli alunni che avevano avuto un rendimento scarso o quasi nullo tutto l’anno. Ma un sondaggio condotto dalla rivista specializzata Orizzonte Scuola e che ha coinvolto 11mila utenti, quasi tutti docenti, ha detto che il 60% degli insegnanti ritiene giusto bocciare gli studenti nonostante il Covid e la didattica a distanza. E io sono d’accordo con loro. Il contrario sarebbe un’ingiustizia sia per i ragazzi che per la scuola.
Non conosco professore felice di bocciare o di rimandare. Se lo fa è perché crede serva al ragazzo o alla ragazza: per colmare lacune, perché ritiene che a loro serva più tempo, perché è convinto sia importante per il giovane capire che per ottenere risultati bisogna impegnarsi.
A volte davvero non comprendo l’atteggiamento per cui, invece di esserci l’impegno per innalzare tutti a buoni livelli culturali, si abbassa la cultura al punto di far quasi diventare l’ignoranza un titolo di merito. È vero che le condizioni di questi due anni sono state complesse, ma allora è più logico chiedere una rimodulazione dei criteri di valutazione, una riconsiderazione delle condizioni attorno al disagio: ma non ha senso consentire che la pandemia diventi una sorta di via libera per tutti e in ogni caso. Perché la vita reale, quella adulta, non è così e non sarà così.
Un adulto, un genitore per esempio, ha dovuto affrontare le preoccupazioni per i figli insieme alle incombenze lavorative, e nessuno gli ha fatto sconti. Un adulto ha a che fare non solo con il lavoro “puro” ma anche con le tasse, le dichiarazioni dei redditi, le multe, le scadenze, le banche, il comune e, tranne poche eccezioni, tutto senza giustificazioni. Nessuno gli dirà “poverino”: non so se è giusto ma è così. La scuola, prima ancora di dare competenza, ha la responsabilità di preparare alla resilienza, alla fortezza, alla responsabilità cui è chiamato ogni adulto.
Non è però solo un fatto di educazione alla vita: è anche una questione di rispetto. Un giovane che studia vuole vedersi premiato. Vuole impegnarsi in un’esercitazione significativa e vuole distinguersi da chi non lo fa e si accontenta.
Infine, ultima idea ma non meno importante, la “promozione a prescindere” è lesiva della professionalità degli insegnanti e della scuola. Chi andrebbe da un medico che è obbligato a dire sempre e comunque “non si preoccupi, va tutto bene”? Nessuno. Si deve restituire alla scuola e ai docenti la possibilità di valutare veramente: non solo con il voto, certo. Tenendo in conto tanti fattori. Ma restituendo a scuola e insegnanti la responsabilità di decidere. E se la decisione di chi può decidere è un “no”, ci si deve fidare di quel “no”. Bisogna pensare che quel “no” aiuterà i nostri ragazzi a crescere.
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