Napoli è sempre stato un laboratorio politico eccellente. Sottovalutato per svariati motivi, non ultimo il permanere del peso di una considerazione negativa sui napoletani e sul loro modo di giudicare le cose. Ma nessuno può negare che molte delle novità politiche che hanno segnato la vita politica del nostro Paese hanno sempre trovato a Napoli le prime concrete verifiche e anticipazioni. Inutile fare l’elenco, ma si va dall’Uomo Qualunque nel primo dopoguerra al nascente centro sinistra negli anni 60, il pentapartito negli anni 80, il partito dei sindaci del 93, l’Ulivo. Molto spesso è a Napoli che si sono sperimentare le formule più ardite e si sono forgiate intese che sembravano impossibili.



Oggi Napoli – a conferma di ciò – è la prima città dove concretamente prenderà corpo l’alleanza Pd-M5s. Ovviamente stiamo parlando di un certo Pd e di un particolare MoVimento. Un Pd nella mano di un giovanissimo gruppo dirigente, fondamentalmente di sinistra, assai mal visto dal governatore De Luca, e un Movimento 5 Stelle più popolare e di sinistra di quello nazionale, che ha sposato da subito la svolta di governo guidata da Conte e Di Maio. Tutto lascia presagire che tra pochi giorni il fatto più rilevante dello scenario politico nazionale riguarderà proprio la capitale del Sud.



Il sondaggio commissionato dal Sussidiario a Quorum conferma in sintesi la validità di questa scelta. O più precisamente l’alto gradimento che dovrebbe – sempre secondo il sondaggio – raccogliere la proposta da parte di un’alleanza Pd-5Stelle dell’attuale presidente della Camera Roberto Fico come probabile nuovo sindaco della città. Ancor prima di essere ufficialmente presentata, la candidatura di Fico raggiunge una percentuale molto alta di gradimento (oltre il 40%), trainata da una significativa intenzione di “voto politico” per i due partiti (M5s al 36%, il Pd al 20%). Il sondaggio aiuta a capire i comportamenti dei due elettorati a sostegno dell’accordo. Confrontando ad esempio il dato raccolto da Fico con il gradimento per altri potenziali candidati (di espressione Pd come l’ex ministro dell’università Manfredi e il sottosegretario agli Affari europei Amendola) si registra, paradossalmente, una maggiore compattezza dell’elettorato Pd su Fico, a fronte di un probabile spostamento su Bassolino e Clemente in presenza di candidati del proprio partito.



Discorso a parte merita il giudizio dei napoletani sull’amministrazione uscente guidata da Luigi de Magistris. Non solo risulta essere ben oltre le più rosee aspettative il 16% di cui è accreditata la giovane assessora Alessandra Clemente, ma in generale l’area di consenso del sindaco uscente rimane sui valori raggiunti con il primo turno del voto del 2016. Molto male invece il risultato di Bassolino che è intorno al 9%, nonostante un altissimo grado di conoscenza e di fiducia.

Sembra ormai fallita l’operazione civica tentata dal giovane magistrato Catello Maresca sul fronte del centro-destra, fermo intorno al 29%. Pur godendo di un certo sostegno iniziale di ambienti lontani dalla politica, l’appartenenza all’area di centrodestra lo penalizza. E poco incide la crescita di Lega e FdI (ad esempio la Lega non aveva mai raggiunto prima il 9% dei consensi). L’operazione sponsorizzata da Salvini e da Berlusconi non sembra aver convinto i napoletani moderati.

Significativo tra gli outsider il risultato raccolto in termini di conoscenza e fiducia dal giovane rappresentante dei Verdi – conferma di una tendenza europea? – Francesco Borrelli, protagonista di numerose battaglie sui temi della legalità (famosa la sua campagna contro la piaga dei parcheggiatori abusivi) e dell’inquinamento ambientale.

Borrelli, con la Clemente, e lo stesso Maresca poco più che quarantenne, il giovane gruppo dirigente del Pd guidato dal trentenne Marco Sarracino, rivelano che in città è molto forte una spinta al rinnovamento generazionale, un processo che Fico può interpretare al meglio. Tale ricambio è ovviamente apertamente osteggiato dai vecchi attori della politica cittadina, tutti over 70, ormai sul viale del tramonto.

Il tema del malessere della vecchia classe dirigente che vede via via affievolirsi la capacità di egemonizzare le scelte cittadine si presenta spesso con il volto dell’acrimonia. Molti vecchi protagonisti – tra questi anche intellettuali di prestigio – si accanisco da tempo contro ogni cosa che riguarda la città, non disdegnano l’insulto, e disegnano un futuro per Napoli a tinte fosche. Secondo loro, come diceva Bartali, è “tutto da rifare”. Da questo prossimo ricambio generazionale in ogni caso la città non può invece che trarre un beneficio, con buona pace di tutti coloro che nostalgicamente evocano “i bei tempi di una volta”, che ovviamente – per la cronaca – non sono mai esistiti, e soprattutto non sono mai stati “belli”.

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