In questo 2020, esattamente il 14 luglio, Renato Pozzetto compirà 80 anni. Non si può dire che il cinema sia stata la sua prima casa, visto che l’esperienza sul palco del Derby di Milano insieme ad Aurelio “Cochi” Ponzoni gli aveva aperto le porte della Rai a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Tuttavia, a parte qualche spezzone che si rivede a “Techetecheté”, il grande pubblico ha in mente Pozzetto per i suoi film, principalmente commedie. Proprio al cinema è dedicata una di esse, Sono fotogenico, uscita nel 1980 (e presentata fuori concorso a Cannes quello stesso anno), quindi 40 anni fa, quando Pozzetto di anni ne aveva 40, per la regia di Dino Risi.



Antonio Barozzi vive a Laveno coi genitori e il nonno. Non ha ancora una sistemazione nonostante il padre sia direttore di banca e gli abbia offerto più volte di fare lo sportellista. Sogna infatti di diventare un grande attore e, dopo l’ennesima presa in giro al bar del paese, decide di partire per Roma determinato a realizzare il suo sogno. Nella Capitale si innamorerà di Cinzia (Edwige Fenech), attricetta dai facili costumi e avrà a che fare con personaggi che, al di là dei luoghi comuni, rappresentano i tanti mestieri che gravitavano intorno a Cinecittà, compreso un agente interessato più a soldi che Barozzi può ereditare dal nonno che non ai ruoli che potrebbe avere.



Antonio non mollerà il suo sogno nemmeno dopo aver mandato al diavolo nientemeno che Mario Monicelli e Vittorio Gassman (nella pellicola compare nei panni di se stesso anche Ugo Tognazzi) sul set per pura gelosia nei confronti di Cinzia e nemmeno dopo essere volato a Los Angeles senza attendere la telefonata promessagli da un importante produttore italoamericano.

Non è certo questo il genere di commedia in cui abbiamo principalmente visto protagonista Pozzetto, dato il suo sapore agrodolce e il finale piuttosto amaro, ma non mancano temi che la rendono capace di attraversare il corso degli anni senza “invecchiare”. Per i tanti che considerano i giovani d’oggi “choosy” piuttosto che “divanati”, la scritta sul muro (“Lavorare fa incazzare”) che compare nelle scene iniziali della pellicola e l’atteggiamento di Antonio nei confronti di quello che intende fare nella vita suoneranno quasi come una “profezia” di decenni fa. Anche quando la madre fa notare al protagonista che prima di voler fare l’attore desiderava fare il prete, il mercenario in Africa, il sollevatore di pesi, il cantante pop e persino il terrorista.



Più che una fabbrica dei sogni, il mondo del cinema, descritto da chi vi lavora (la sceneggiatura è firmata da Risi, da suo figlio Marco e da Massimo Franciosa), appare come una cinica azienda dove gli ingenui, coloro che credono nei veri sentimenti o nella parola altrui, come Antonio, finiscono per ritrovarsi sfruttati, più o meno consapevolmente. Alla luce di questa descrizione, il deprecabile mondo denunciato dal #metoo non suona come una sorprendente e imprevista recente novità hollywoodiana.

Con il suo solo linguaggio del corpo, o meglio sarebbe dire del viso, Pozzetto smorza comunque il sapore amaro di questo film, regalando anche ai posteri una sequenza impossibile da dimenticare una volta vista: quella in cui Barozzi si reca da un fotografo specializzato per realizzare il book da portare ai provini.