Tra le tante figure di resistenza alla mafia dimenticate le sorelle Savina e Maria Rosa Pilliu occupano sicuramente un posto d’onore: vere e proprie eroine di quel difficile periodo che interessò la Sicilia – e soprattutto Palermo – all’inizio degli anni ’90, eclissata da figure ben più famose (come i giudici Falcone e Borsellino), ma non per questo meno eroiche; anzi, addirittura forse – a modo loro – anche di più. Sulle sorelle Pilliu, sulla loto storia di resistenza e – soprattutto  – sul ‘tradimento’ da parte dello Stato italiano tornerà proprio questa sera lo speciale Inside del programma Le Iene, dedicato alla difficile (e perdurante) piaga della mafia siciliana.



Tra queste righe ci teniamo a dare il giusto risalto a Savina e Maria Rosa – appunto, le sorelle Pilliu – che originarie della Sardegna arrivano a Palermo prima della nascita, vivendo (come speravano di fare per tutta la loro vita) all’interno di una palazzina del Parco della Favorita di proprietà dei nonni. In quegli anni Palermo sembrava ancora una città tranquilla e la famiglia decise di mettere radici, dedicandosi alla gestione di un piccolo negozietto alimentare aperto a poca distanza dalla palazzina.



Chi sono e cosa hanno fatto le sorelle Pilliu: dalle intimidazioni mafiose alla beffa da parte dello Stato

Per entrare nel vivo della storia delle sorelle Pilliu dobbiamo – ora – fare un rapidissimo salto avanti fino al 1979 quando (ha raccontato pochi anni fa la stessa Savina ai microfoni di Balarm) “si [presentò] in negozio questo signore, dicendo di essere interessato a comprare questi immobili” per demolire tutto e “costruire un grande palazzo”. Un uomo misterioso che si identificò come Rosario Spatola e ottenne dalle sorelle Pilliu un fermo diniego: “Due settimane dopo – ricorda ancora Savina – mia madre notò un uomo in arresto alla tv” e riconobbe proprio il volto di Spatola.



Il peggio sembrava passato, ma la situazione precipitò ulteriormente quando al negozio si presentò “Pietro Lo Sicco, anche lui un possibile costruttore” che non diede alcun dettaglio sul progetto che intendeva realizzare e che ottenne – come il collega – un rifiuto: qui iniziarono le intimidazioni. “Abbiamo ricevuto – racconta l’ultima delle sorelle Pilliu rimasta in vita – così tanti fusti di calce davanti al negozio (..) che li fecero arrivare persino dalla provincia. Ci arrivavano anche corone di fiori [e] avevano messo le nostre case su riviste di annunci immobiliari”.

Non ci fu modo di convincere le sorelle Pilliu, che capito con chi avevano a che fare riuscirono anche a contattare Paolo Borsellino per organizzare un incontro: era il luglio del 1992 e da lì a poco l’incontro con il giudice sarebbe diventato – per ragioni oggi purtroppo ben note – impossibile da organizzare. L’anno dopo (e siamo al 1993) le sorelle raccolsero il coraggio e denunciarono tutto, tanto che vinsero “la causa di risarcimento danni – spiega Savina Pilliu – per riparare le case, ma non abbiamo mai ricevuto nulla“; ed anzi “lo Stato ci ha chiesto di pagare le tasse per la registrazione di sentenza” e – come se non bastasse – “continuano a non riconoscerci nessun fondo, neanche quello di vittime di mafia“.