Benjamin Netanyahu si riprende la scena della politica in Israele, resta il leader del primo partito del Paese, ma si prepara a guidarlo con le formazioni ebraiche più estremiste. Perché la vera vittoria di questa quinta tornata elettorale in meno di quattro anni è di “Sionismo religioso”, che balza da 6 a 14 seggi. Dei due leader, il più mediatico è Ben-Gvir, figlio spirituale del rabbino defunto Meir Kahane, ideatore di una teologia giudaica razzista. Il suo erede vive in un insediamento, è contrario ad ogni accordo con i palestinesi, reclama il diritto di pregare degli ebrei sulla Spianata delle Moschee, il Monte del Tempio per gli ebrei, il luogo più conteso di Gerusalemme. Ben Gvir ha reclamato in campagna elettorale il ministero della Pubblica sicurezza, in caso di vittoria del blocco di centrodestra con Il Likud e i due partiti ultraortodossi.
Se è improbabile che il navigato Netanyahu glielo conceda, il Governo che si profila sarà, di fatto, il più a destra della storia di un Paese ferito da un conflitto, riacuitosi negli ultimi mesi.
Una situazione che preoccupa monsignor Pizzaballa, guida della piccola comunità latina di Terrasanta. “Sono preoccupato per questa continua deriva” – ha detto nel corso di una intervista per Tv2000 in vista della manifestazione per la pace di sabato 5 novembre -. “Non è tanto una questione di destra o di sinistra, ma di una deriva di sfiducia e di disprezzo nei confronti dell’altro. In questo caso mi riferisco alla destra religiosa israeliana nei confronti di tutti gli altri. Noi cristiani compresi. Il linguaggio del disprezzo produce violenza e razzismo. Tutto questo anziché costruire, distrugge”.
Proprio alla vigilia delle elezioni in Israele, era arrivato un appello al futuro governo per la sopravvivenza delle scuole cristiane presenti nel territorio. 64 istituti che servono la comunità cristiana e araba, scuole di buon livello, le uniche in Israele in cui si può insegnare anche la catechesi cristiana. Negli ultimi dieci anni – ha spiegato padre Andreas Bahus, economo della Eparchia greco-cattolica di Galilea a Vatican news – le scuole cristiane in Israele hanno visto decurtare i finanziamenti statali di oltre due terzi. La crisi economica dovuta alla pandemia ha ulteriormente impoverito le famiglie, che faticano sempre di più a pagare le rette, tanto che anche il Patriarcato latino aveva lanciato una campagna di raccolta fondi per la sopravvivenza delle scuole cristiane, fondamentali luoghi di dialogo e conoscenza reciproca in tutta la Terra Santa.
“È stata una decurtazione progressiva – conferma monsignor Pizzaballa -, i contributi statali si sono ridotti anno dopo anno, con varie motivazioni di tagli al bilancio. Tagli che riguardano tutti, ma chissà perché noi cristiani siamo sempre i primi ad essere tagliati fuori. Insomma, il clima generale non è un clima di fiducia e di serenità civile, dove si possa, pur con opinioni e prospettive diverse, avere un dialogo e un canale di comunicazione. Questa è la nostra difficoltà. Non mancano, però, nel territorio quelli che io chiamo gli anticorpi. Ci sono tante persone che non fanno opinione e non sono la maggioranza, ma che dicono che c’è ancora gente che non vuole vivere di stereotipi”.
Anche nell’esperienza educativa. Perché accanto alle scuole cristiane, dove nelle principali città della Galilea studia il 70% degli studenti arabi, ci sono altre realtà in cui gli arabi studiano accanto agli ebrei, imparando le rispettive lingue e culture.
Come l’esperienza di Hand in Hand, sei istituti sparsi nel Paese, nati a fine anni 90, dove oggi studiano 2mila ragazzi. Anche i loro responsabili combattono per la sopravvivenza e le sovvenzioni statali, ma non demordono nel fornire sani anticorpi ai loro figli.
(corrispondente da Gerusalemme di Tv2000)
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