La Corte Costituzionale ha ribadito in una sentenza la legittimità dell’obbligo di vaccinazione contro il Covid adottato temporaneamente dal governo Draghi. È stato infatti rigettato il ricorso di una dipendente, con qualifica di assistente amministrativo dell’Asst degli Spedali Civili di Brescia che era stata sospesa dal servizio a causa della mancata vaccinazione dopo aver lavorato in smartworking dal 20 settembre 2021 fino al 31 dicembre 2021. La donna, dunque, visto l’inadempimento dell’obbligo vaccinale e la successiva sospensione, si è poi rivolta al Tribunale.



La Consulta ha ricordato come sia già stato “chiarito che l’obbligo di vaccinazione e la correlata sospensione per inadempimento allo stesso devono ritenersi misure non irragionevoli e non sproporzionate. E ciò in considerazione, da un lato, del non irragionevole bilanciamento operato dal legislatore tra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute, alla luce della situazione sanitaria dell’epoca e delle conoscenze medico-scientifiche disponibili, e, dall’altro lato, della proporzionalità della misura imposta in ragione della sua strutturale temporaneità”.



Corte Costituzionale: “Smartworking non è un diritto del lavoratore”

Riguardo la possibilità di venir meno all’obbligo vaccinale con il lavoro in smartworking, la Corte Costituzionale ha spiegato come “la scelta legislativa per categorie predeterminate costituisce una delle possibili modalità di contemperamento tra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute. Essa, infatti, rappresentava una risposta all’emergenza pandemica portatrice di una serie di vantaggi, in considerazione della situazione sanitaria in atto, per affrontare la quale era indispensabile assicurare una tempestiva e uniforme attuazione dell’obbligo vaccinale. A tal fine era, infatti, indispensabile un sistema idoneo a garantire la linearità e automaticità dell’individuazione dei destinatari, così da consentire un’agevole e rapida attuazione dell’obbligo e prevenire il sorgere di dubbi e contrasti in sede applicativa (sentenza n. 185 del 2023)”.



Lo smartworking, spiega la sentenza, “non costituisce un diritto del lavoratore, assume carattere variabile nel tempo, potendo essere oggetto di revoca o di modifiche, e, ancor più a monte, può atteggiarsi, nelle singole ipotesi applicative, in maniera estremamente diversificata, quanto al rapporto tra giorni in presenza e giornate lavorative da remoto, e può contemplare l’esecuzione della prestazione lavorativa in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno”. Dunque, per la Corte, “una diversa soluzione non ugualmente improntata alla semplificazione pur astrattamente possibile come nell’originaria fase della pandemia non avrebbe consentito di affidare l’attività di accertamento e monitoraggio direttamente ai datori di lavoro, individuati dal comma 2 del censurato art. 4-ter, per l’ipotesi in esame, nei responsabili delle strutture in cui presta servizio il personale”.