Capita che un mezzofondista australiano – 4° alle ultime Olimpiadi negli 800 metri – si veda prelevare a casa il sangue dalle autorità del suo Paese per un controllo antidoping in ottobre. Tre mesi dopo si sente dire pubblicamente che è risultato positivo all’EPO sintetica. Bastano però poche settimane per scoprire dalle controanalisi che i valori del campione B sono definiti “atipici”, cioè nè positivi, nè negativi, quanto basta però per annullare la sua sospensione dall’attività agonistica. Ma Peter Bol – origini sudanesi – non si accontenta e commissiona due diverse perizie indipendenti a un luminare della British Columbia University e a quattro ricercatori norvegesi. Risultato: nel sangue di Bol non si trova alcuna traccia di EPO sintetica.



Il laboratorio di Sidney – accreditato dalla WADA – ha ‘sbagliato’ tutto! Finita qui? No. La Sport Integrity Australian, che commissionò il controllo antidoping di ottobre, tace. Ci vorranno 4 mesi perché scagioni definitivamente l’atleta australiano, la notizia è di questa settimana. Domanda: come è stato possibile un simile madornale errore? Al momento non ci sono risposte. Ci saranno mai? Ci aggiungiamo noi un’altra domanda: come mai (giustamente) Bol ha ottenuto nel giro di pochi giorni il contenuto della provetta incriminata mentre Schwazer ha avuto accesso a una quantità (irrisoria) dei suoi campioni dopo quasi un anno e mezzo di battaglia legale, risolta dal giudice Pelino con la minaccia al direttore del Laboratorio di Colonia di consegnarlo alla Autorità giudiziaria tedesca? Noi la risposta ce l’abbiamo, ma vorremmo sentirla da World Athletic e WADA.

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