Il 29 maggio, al Teatro dell’Opera di Roma si è tenuto l’ultimo concerto della serie “grandi bacchette” organizzati prima della stagione estiva di lirica e balletto. Il teatro era tutto esaurito nei cinquecento posti (su mille e cinquecento disponibili) autorizzati dalle regole “anti-Covid”. Il concerto era diretto da Alejo Pérez, che, al Teatro dell’Opera di Roma, ha concertato, nelle ultime stagioni, La Cenerentola di Rossini, Il naso di Šostakovič, Lulu di Berg e L’angelo di fuoco di Prokof’ev, ed includeva due brani molto differenti: l’estroversa ouverture di Rienzi di un Wagner ventottenne e rivoluzionario e l’introversa Sinfonia n. 5 in re minore di uno Šostakovič che un anno prima era stato messo al bando dalla cultura musicale ufficiale dell’Unione Sovietica.
Alejo Pérez è un direttore d’orchestra argentino. Dopo essersi laureato come pianista, compositore e direttore d’orchestra, ha ottenuto due lauree post-laurea in direzione d’orchestra in Germania con Peter Etvos, Helmuth Rilling e Sir Colin Davis. Dirige nei più importanti teatri d’Europa e del mondo come la Filarmonica di Vienna, il Semperoper Dresden, la Lyric Opera Chicago, il Festival di Salisburgo, il Teatro Real de Madrid, il Teatro Colón e i teatri dell’opera di Roma, Lione, Tokyo, tra gli altri. Compose e diresse l’opera Tenebrae per conto del Centro di Sperimentazione del Teatro Colón. È stato direttore della Bicentennial Youth Orchestra sin dalla sua nascita nel 2010. È attualmente direttore musicale della Vlaanderen Opera, in Belgio.
Rienzi è molto liberamente basata su un romanzo inglese di Edmond Bulwer-Lytton che era stato tradotto in varie lingue. È un’opera imponente la cui durata integrale supera le sei ore, tanto che a Dresda, dopo il debutto, si decise di presentarla in due serate – la prima dedicata all’ascesa politica del protagonista, la seconda alla sua caduta. La vicenda è la lotta di Rienzi contro le oligarchie che spadroneggiano a Roma, mentre il Papa è ad Avignone. Dopo la sua apparente vittoria e la creazione di una Repubblica comunale in cui il tribuno governa per voler di popolo, gli stessi gruppi sociali che lo avevano portato al governo, sobillati dall’alto clero e dall’aristocrazia, si rivoltano contro di lui. Sotto il profilo musicale, i modelli sono Gaspare Spontini (specialmente Fernando Cortez) e Giacomo Meyerbeer (segnatamente Robert le diable), ma vengono in gran misura superati i «numeri chiusi», anticipando il declamato e gli ariosi che saranno via via sempre più caratteristici della sua produzione successiva. Ne ho visto ed ascoltato una buona produzione curata da Eve Queller a Washington nel 1982 e una diretta da Stefan Soltesz al Teatro dell’Opera di Roma nel 2013. Meglio dimenticare la produzione in versione italiana, e molto tagliata proposta alla Scala nel 1962. Per una buona edizione discografica integrale, occorre ascoltare quella del 1976 con i complessi di Dresda. L’ouverture è imponente, come d’altronde, il resto dell’opera. Contiene i temi principali, soprattutto quella della “preghiera a Dio perché aiuti il protagonista a governare bene” che sfocia in una grande aria del quinto atto. Pérez e l’orchestra ne hanno dato una lettura travolgente soprattutto nel dialogo tra archi, ottoni e percussioni.
La Sinfonia n. 5 in re minore di Šostakovič fu scritta tra l’aprile e il luglio del 1937, periodo travagliato della vita del compositore. Nel 1936 ebbe luogo la rappresentazione dell’opera Lady Macbeth del Distretto di Mcensk. Un mese dopo, la Pravda stroncò l’opera di Šostakovič in un celebre articolo (anonimo, ma attribuibile o quantomeno riferibile a Stalin stesso, presente alla rappresentazione) intitolato Il caos anziché la musica. Era chiaro che le composizioni di Šostakovič non erano ben viste dal regime. La cosa si rese palese quando, dopo la pubblicazione dell’articolo sulla Pravda, Lev Knipper, Boris Asafiev e Ivan Dzerzhinsky consigliarono al compositore di “tornare” sulla retta via: ciò significava la semplificazione delle sue future opere e l’adattamento di queste ai modelli alla base del “realismo socialista”. Šostakovič non sembrava avere altra possibilità tanto più che in quel periodo molti suoi amici e colleghi furono arrestati e fatti misteriosamente sparire. Con la quinta sinfonia, Šostakovič tentò di riabilitarsi dinanzi al partito: fu un grande successo, e si dice abbia ricevuto un’ovazione durata mezz’ora. La sinfonia dura all’incirca 45 minuti, e si divide in 4 movimenti.
Inizia con un moderato in cui Šostakovič sfodera le sue capacità compositive attraverso la costruzione per climax delle diverse sezioni del movimento, le quali crescono per intensità attraverso lo strettissimo sviluppo delle idee tematiche, fino a raggiungere la vetta espressiva a metà del movimento con un’immensa esplosione orchestrale, che poi lentamente ripiega su sé stessa sino a spegnersi in un’ultima lirica ripresa dei temi dell’inizio. Pérez e l’orchestra hanno abilmente mostrato le sensazioni alterne di serenità e inquietudine mostrate dagli archi e poi riprese dai legni e dagli ottoni, e da un assolo di corni, flauti, clarinetti. Finisce presto il clima iniziale di serenità con l’entrata del pianoforte e dei corni, seguito dalle trombe e dei legni in un crescendo di tutta l’orchestra – una marcia che può essere intesa come uno sbeffeggiamento del compositore russo verso il regime stalinista. Alla fine della marcia, inizia un nuovo crescendo orchestrale. Con i colpi dei timpani si raggiunge l’apice della tensione della sinfonia. Dopo questa violenta sezione, la musica torna in toni più contenuti, con dialoghi tra i vari legni. L’entrata dei corni fa da preludio all’entrata del flauto solista, e infine assistiamo all’intervento del primo violino. Il movimento conclude con una particolare scala cromatica, ripetuta tre volte, affidata alla celesta. In questo arduo movimento, l’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma ha, ancora una volta, dato prova di essere una delle eccellenze del teatro musicale italiano,
Il secondo movimento (allegretto) è un energico valzer d’ispirazione mahleriana, il cui tema principale deriva da una germinazione dell’inciso melodico assegnato ai fiati nel grande centrale climax del primo movimento. Il movimento consiste nella ripetizione di due temi, affidati alle varie sezioni dell’orchestra.
Segue un largo in cui bellissime melodie sono cantate dagli archi e dai fiati solisti, a turno. La chiusura del brano, affidata ad arpa e celesta, in un clima magico e delicato, sembra richiamare la surreale fine del primo movimento.
Nel quarto movimento (allegro ma non troppo), l’inizio è un crescendo di una battuta, di tutta l’orchestra, che fa da apertura ad un solo di timpani e ottoni, in una marcia che coinvolge successivamente tutta l’orchestra. Segue un lungo dialogo tra archi, corni e flauti, culminante nell’entrata dell’arpa. Successivamente entra l’intera orchestra, e con un crescendo, costante sino alla fine, si raggiunge l’apice della tensione: dopo l’esplosione finale di tutta l’orchestra, la sinfonia si conclude con un assolo di timpani, percussioni e ottoni (simboleggianti il potere del regime) che si sovrappongono a un incessante ripetizione del re maggiore della sezione degli archi (il compositore oppresso dal regime). Šostakovič scrisse: “Questo finale dà una risposta ottimista ai momenti tragici che troviamo nei precedenti tempi della sinfonia”.
Pérez e l’orchestra lo hanno reso perfettamente, meritandosi le ovazioni al termine del concerto.
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