Quando fu presentato il Manifesto di Assisi presso il Sacro Convento di San Francesco, il 24 gennaio del 2020, il mondo era diverso da come oggi lo conosciamo. Eppure, i promotori Ermete Realacci, padre Enzo Fortunato, Padre Mauro Gambetti, Vincenzo Boccia, Ettore Prandini, Francesco Starace e Catia Bastioli si mostravano così proiettati in avanti da aver intravisto e comunicato l’esigenza di concepire un’economia a misura d’uomo e contro la crisi climatica.



A quasi tre anni di distanza abbiamo conosciuto la piaga della pandemia da Covid-19, fronteggiato il suo impatto sulla società e sulle imprese, assistito all’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia in una guerra che non mostra la fine, subìto pesanti ricadute nel campo dell’energia con i costi di gas ed elettricità saliti alle stelle, varcato la soglia di un nuovo scenario internazionale dove l’alta inflazione s’intreccia a una caduta della domanda che potrebbe portare alla stagnazione.



L’appello lanciato allora si fa sempre più pressante. Ed è confortato dalle parole di papa Francesco che in occasione dell’ultima assemblea di Confindustria, tenutasi alla sua presenza in Vaticano, ha esortato gli interlocutori – una volta di più – a costruire una società più giusta e inclusiva, rispettosa dell’ambiente e delle persone.

Oggi occorre avere la forza e il coraggio di mutare le buone intenzioni in fatti. E come contributo alla sfida più impegnativa dal Dopoguerra i promotori del Manifesto si sono ritrovati nei giorni scorsi in Luiss per ribadire i concetti cardine di un nuovo paradigma economico. Un luogo di pensiero per dare impulso all’azione secondo le capacità e le qualità di ciascuno.



Certo, le condizioni per procedere lungo la strada dell’azzeramento delle emissioni carboniche non sono le migliori. E le conseguenze delle operazioni belliche potrebbero suggerire un rallentamento del cammino: un ritorno a tecnologie inquinanti pur di assicurarci le forniture di cui abbiamo bisogno per mandare avanti le nostre industrie e riscaldare le nostre case.

Ma c’è anche un’altra possibilità ed è dare un colpo di acceleratore ai processi di cambiamento che devono assicurarci un’energia pulita sottraendoci al ricatto di fornitori inaffidabili e facendoci conquistare in anticipo sui tempi previsti le condizioni di sostenibilità che dobbiamo raggiungere se davvero vogliamo tendere a un modo migliore che sappia rimettere l’umanità al centro delle sue dinamiche.

Saremo chiamati a un impegno individuale e collettivo come da tempo non siamo più abituati. Avremo bisogno a tutti i livelli di idee chiare e spiccate capacità risolutorie. Ai ceti dirigenti il compito di dare il buon esempio. Di compiere quelle scelte e quei gesti che possano essere d’ispirazione ad altri.

Occorre guidare il cambiamento prima che gli eventi sorpassino la capacità di orientarli. Soprattutto, dobbiamo uscire dalla trappola della retorica che tante volte ci ha tenuti prigionieri delle parole. Convinti che la denuncia dei problemi e la loro analisi siano sufficienti a definire una traiettoria. Dobbiamo avere visione e trasmetterla agli altri assumendo ciascuno la propria dose di responsabilità.

Lo sguardo d’insieme non consente ancora di cogliere la trasformazione che dobbiamo imprimere alle nostre vite. Ma esistono tanti esempi concreti di decisioni che vanno nella direzione giusta. Al di là del fumo che inevitabilmente si alza in queste circostanze si comincia a intravedere l’arrosto di fatti concludenti che occorre avere la lungimiranza di cogliere e premiare.

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