«Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento. E io penso che se chiedessi al Signore che cosa pensa, non credo mi direbbe che è una cosa buona: siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore».
È Papa Francesco, una volta di più, a segnare il terreno del dibattito politico, quasi ad esprimere un’urgenza sempre maggiore di considerare il nostro approccio all’ambiente (e a tutto ciò che vi è collegato) da un punto di vista “morale”. Questa volta, con la sorpresa di molti, a chiamare in causa il Papa è stato Mario Draghi, nel suo intervento programmatico per il nuovo Governo – che, tra le tante sfide decisive sulle quali si deve misurare, ha anche indicato chiaramente quella dello Sviluppo Sostenibile. Un pacchetto con un peso specifico di tutto rilievo, se si considera che del “tesoro” del Recovery Plan sotto a questo capitolo potranno andare qualcosa come 40,1 miliardi di euro per efficienza energetica e riqualificazione degli edifici e altri 6,3 miliardi destinati a impresa “verde” ed economia circolare.
La scelta di un Ministero dedicato alla “transizione ecologica” suggerisce già un approccio interessante, di una politica “in cammino”, che si adopera su un terreno dov’è richiesto grande realismo combinato a una visione che sa guardare anche ad orizzonti lontani.
«Il cambiamento climatico, come la pandemia – ha detto Draghi al Senato – penalizza alcuni settori produttivi senza che vi sia un’espansione in altri settori che possa compensare. Dobbiamo quindi essere noi ad assicurare questa espansione e lo dobbiamo fare subito. La risposta della politica economica al cambiamento climatico e alla pandemia dovrà essere una combinazione di politiche strutturali che facilitino l’innovazione, di politiche finanziarie che facilitino l’accesso delle imprese capaci di crescere al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali espansive che agevolino gli investimenti e creino domanda per le nuove attività sostenibili che sono state create. Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta».
Quest’anno l’Italia ha la Presidenza del G20, dove sarà al centro dell’attenzione il tema della sostenibilità e la “transizione verde”, anche in vista della prossima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico (COP26), che sarà presieduta dal nostro Paese insieme al Regno Unito e dove verranno attivamente coinvolte le giovani generazioni grazie all’evento “Youth4Climate”.
Alla luce di queste importanti responsabilità internazionali assunte dal nostro Paese, si evidenzia ancor più chiaramente la necessità di essere lungimiranti: sapere quindi dove vogliamo arrivare nel 2026, a cosa puntiamo per il 2030, cosa immaginiamo per il 2050 (anno in cui l’Unione europea ha posto l’ambizioso obbiettivo di arrivare a zero emissioni nette di CO2 e altri gas clima-alteranti) in vista di uno sviluppo davvero sostenibile.
Tuttavia, a trent’anni della sua adozione, il paradigma dello sviluppo sostenibile inaugurato dalle Nazioni Unite nel 1992 a Rio de Janeiro richiede una profonda revisione, anche in considerazione della evidenti difficoltà nella sua attuazione a livello globale e locale. In altre parole dobbiamo domandarci se siano davvero sufficienti i tre pilastri tradizionalmente indicati come componenti fondamentali di ogni modello di sviluppo sostenibile (economia, ambiente e società) nel garantire una piena attuazione dei 17 obiettivi di sostenibilità (Sustainable Development Goals – SDGs) traguardati dall’Onu al 2030. O se invece, per sostenere uno sviluppo integrale della persona umana nei suoi rapporti con l’economia, l’ambiente naturale e la società in cui vive, dobbiamo affiancare al capitale economico, naturale e sociale anche una quarta forma di capitale, quello “umano” quale “quarta dimensione” della sostenibilità.
Questa nuova dimensione richiede di prendere in considerazione anche fattori di ordine etico e culturale. Tra i fattori di ordine etico vanno ricordati il valore della solidarietà, cioè della reciprocità nel sostenersi e nel progredire, il principio della responsabilità cioè la volontà di assumersi i propri compiti e doveri, e la capacità di tutelare e valorizzare tutti coloro che sono esclusi o marginalizzati nei processi di assunzione e gestione delle decisioni. Tra quelli di ordine culturale dobbiamo includere la salvaguardia delle identità locali, la valorizzazione delle tradizioni e della storia della propria comunità, la tutela del paesaggio naturale e antropico, la capacità di creare nuove conoscenze e di trasmetterle alle nuove generazioni.
E a questi due gruppi di elementi occorre comunque aggiungerne altri, funzionali ai processi di natura politica necessari per attuare gli obiettivi di sostenibilità: la garanzia di trasparenza dei processi decisionali (diritto di accesso alle informazioni utili a comprenderli e valutarli), la promozione della partecipazione (coinvolgimento dei cittadini come individui e come organizzazioni sociali nella definizione e gestione delle politiche), lo spirito di cooperazione (integrazione tra le diverse comunità e tra differenti livelli istituzionali nello sviluppo delle politiche) e certamente, non ultimo, il principio di sussidiarietà.
Ma cosa significa introdurre la “quarta dimensione” del capitale umano? Molti economisti e studiosi di scienze sociali indicano nel capitale umano una sorta di “potenziale” che deve tradursi in un “benessere” individuale e comunitario, che, a sua volta, interagisce con le altre variabili dei sistemi economici, naturali e sociali contribuendo al grado finale di sostenibilità del nostro sviluppo. Si tratta di un “benessere” che contiene sicuramente una componente economica (misurabile come Pil pro-capite) e altre componenti generalmente definite in termini di salute, istruzione e opportunità relazionali.
Ma questa definizione di benessere manca ancora di qualcosa. Nel “valore” dell’uomo infatti non c’è solo la sua prosperità economica, il suo stato di buona salute, una sua adeguata istruzione e la possibilità di poter accedere alle opportunità offerte dalla società in cui vive.
Torniamo ancora a papa Francesco. Nella sua enciclica Laudato Si’, parlando del suo omonimo Santo di Assisi, lo ricorda con queste parole: «In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore».
A ben leggerle, queste parole sembrano anticipare di otto secoli i tre ben noti pilastri dello sviluppo sostenibile indicati dalle Nazioni Unite: una economia equa, una natura rispettata, una società giusta. Ma viene aggiunto un quarto elemento, descritto come “pace interiore”.
Si tratta di quella dimensione umana fatta di riflessione interiore, di ascolto della propria coscienza, di impulso spontaneo alla carità, che forma la trama di un tessuto esistenziale non riconducibile al solo benessere economico o alla garanzia dei diritti civili, ma ugualmente fondamentale per garantire una più completa “qualità della vita”.
Diceva Pascal, dotato di una mente di geniale scienziato e di un cuore profondamente attento alla voce dello spirito, che il cuore dell’uomo ha ragioni che la ragione non può conoscere. Queste “ragioni del cuore” non sono misurabili e valutabili con i criteri della scienza, ma se non vengono ascoltate e seguite non ci procurano il valore della pace, né dentro né fuori di noi. E proprio la parola Pace è stata recentemente aggiunta, anche nei consessi internazionali, come “quarta P” alle “tre P” per uno sviluppo integrale e sostenibile del pianeta: “People”, “Planet”, Prosperity” e, appunto, “Peace”. Come diceva Francesco.