Si sente sempre più spesso parlare della necessità di cambiare paradigma, di gettare alle spalle le modalità di pensiero e di azione fin qui conosciute per adottarne altre che si possono intravedere e immaginare, ma non ancora apprezzare proprio perché nuove e mai ancora sperimentate. Si tratta – per usare un’espressione resa famosa da Mario Draghi con il suo Quantitative easing – di entrare in un terreno incognito: dove possiamo incontrare ciò che presumiamo o speriamo ci sia e dove è possibile scoprire cose che solo accettando la sfida del drastico cambiamento potremo vedere.



Uno dei campi dove il cambio di paradigma appare più urgente è quello del rapporto con l’ambiente, intendendo con questa espressione la tenuta di una vasta gamma di comportamenti riferiti alla capacità di essere più rispettosi di quello che ci circonda, ci nutre, ci sostiene e che dobbiamo stare attenti a non compromettere.



Come tutte le novità epocali, anche questa è scortata da furori ideologici che ne compromettono una piena e convinta accettazione. Le esasperazioni possono servire per accendere i riflettori su un tema e richiamare anche l’attenzione dei più distratti ma alla fine rischiano di compromettere la sfida. Le accuse rivolte, per esempio, dalla giovane attivista Greta a intere generazioni, quelle che precedono la sua, sono molto gravi e sferzanti, ma decisamente esagerate. Il che non vuol dire che non si debba andare nella direzione indicata, ma che la battaglia per essere vinta dev’essere depurata dagli eccessi.



Tutte le persone responsabili sanno che occorre avere cura del mondo che ci ospita e delle risorse che contiene. E la presa di coscienza procede con l’avanzamento della tecnologia che dovrebbe rendere possibile oggi quello che fino a ieri non lo era: l’utilizzo intelligente al posto dello sfruttamento.

I cambiamenti epocali come quelli che stiamo vivendo – vale per l’ambiente come per le forme di lavoro che si vanno delineando – hanno bisogno di tempo per assestarsi e restituire un campo di gioco con regole riconoscibili, condivisibili, rispettabili. Un campo di gioco il cui accesso sia consentito a tutti.

Se dovessimo trarre una definizione dai tempi che stiamo vivendo potremmo parlare di transizione: passaggio da una condizione a un’altra che riteniamo migliore o almeno necessaria per poter guardare al futuro con la speranza e la fiducia che andiamo perdendo di giorno in giorno nell’assetto attuale.

Le transizioni, per avere l’effetto desiderato senza provocare pericolose crisi di rigetto, hanno bisogno di misure di accompagnamento mirate e appropriate. Utili ad ammortizzare gli strappi, a rendere più sopportabili le trasformazioni, a rassicurare chi vi si trova coinvolto senza avere gli strumenti per capire.

Se vogliamo un mondo diverso e sostenibile – migliore, nella presunzione umana – dobbiamo rendere sostenibile anche la sua accettazione predisponendo gli strumenti necessari a garantire una transizione la meno traumatica possibile ed evitando di affidare una missione così delicata ai profeti di sventura.