Esiste una declinazione non emotiva, ma solida, dello sviluppo sostenibile, capace di mettere al centro la persona per disegnare una svolta win-win che crea sviluppo intelligente e durevole? La risposta è affermativa, trova le sue radici nell’enciclica Laudato Si’ di papa Francesco e ruota attorno a una triade: vedere, agire, agire con urgenza.
È partito proprio da questi verbi, e vi è riapprodato alla fine in una sorta di circolarità virtuosa, il convegno “L’etica della sostenibilità”, che ha voluto indagare e sviscerare quelli che Fabrizio Piccarolo, direttore della Fondazione Lombardia per l’ambiente, ha chiamato i “fondamenti dell’etica della sostenibilità”, aprendo i lavori ieri, presso la Sala Testori di Palazzo Lombardia, sui contenuti dell’enciclica Laudato Si’ a cinque anni dalla sua pubblicazione, nell’evento conclusivo del primo Forum regionale dello sviluppo sostenibile, promosso da Regione Lombardia.
Obiettivo dell’incontro? Approfondire il rapporto tra etica e sostenibilità – e quindi la relazione tra comportamento dell’uomo e ambiente – cercando di rispondere a una domanda cruciale: è davvero necessario questo cambiamento antropologico per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di sostenibilità al 2030 e al 2050? Come questo cambiamento può avvenire? Come ripristinare un giusto rapporto tra uomo e creato?
“La Laudato Si’ è un dono” ha esordito padre Joshtrom Isaac Kureethadam, coordinatore del settore di “Ecologia & Creato” del Dicastero per lo Sviluppo umano integrale del Vaticano, che ha voluto subito sgombrare il campo dagli equivoci: “Non è un’enciclica green, è un’enciclica sociale”, perché se la parola ambiente è menzionata 14 volte, per ben 59 il Papa cita la parola poveri. Bergoglio con la Laudato Si’ rivolge tre inviti a tutti noi: vedere la crisi, ascoltando il grido della Terra e dei poveri; agire di conseguenza, promuovendo una nuova economia non più incentrata sul profitto, reiventando la politica come ricerca del bene comune e promuovendo un nuovo cammino educativo; agire con urgenza, perché siamo sull’orlo del punto di non ritorno.
Ma perché Papa Francesco ha voluto scrivere questa enciclica? “È il frutto di una sua personale conversione” ha ricordato Paolo Rodari, vaticanista di Repubblica, che ha raccontato come Bergoglio tra il 2007 e il 2014 sia via via passato da una posizione scettica sull’emergenza ambientale alla consapevolezza che “la crisi ecologica influisce sulla vita dei poveri”, arrivando a farne una parte importante del suo magistero, nella convinzione che solo “una fraternità e un’amicizia sociale” possono salvare “la casa comune in cui tutti insieme abitiamo. Quindi un approccio ai temi ambientali non contro l’uomo, ma per salvare l’uomo”. In una parola: ecologia integrale.
E proprio il concetto di ecologia integrale ha saputo affascinare un agnostico come Carlo Petrini, giornalista, sociologo, scrittore e fondatore di Slow Food, che ha raccolto i suoi tre lunghi dialoghi con Francesco nel libro Terrafutura: “L’ecologia integrale, in un momento segnato da tre gravi crisi – climatica, economica e pandemica – offre un apporto straordinario perché mette in luce la forte connessione tra disastro ambientale e ricadute sociali. Non sono più i tempi della competizione e della prevaricazione, ormai superati, è tempo di solidarietà e di cooperazione”.
La lettura dell’enciclica ha “emozionato” anche Oscar di Montigny, Chief Innovability & Value Strategy Officer presso Banca Mediolanum, che si è soffermato sui rapporti tra finanza e sostenibilità: “La finanza esiste solo se è anche etica”. E per dare concretezza a questa affermazione di Montigny ha deciso di lanciare a giugno Flowe, una banca a impatto zero, una società benefit di cui è Presidente e che in soli tre mesi ha già raccolto 150mila FloMe (“Preferisco chiamarli così che clienti”). Un’avventura che mira a proporre un nuovo equilibrio, un conto di deposito che fa i conti con la cura del pianeta, tanto che ogni carta di debito richiesta porta alla piantumazione di un albero in Guatemala per compensare la CO2, sostenendo l’economia e l’alimentazione delle famiglie locali.
Se di Montigny ha parlato di avventura, Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e clima della Regione Lombardia, ha usato la parola “sfida”: “Lo sviluppo sostenibile è la sfida del tempo che abbiamo davanti e la conversione ecologica è un percorso radicale e pervasivo”. Per compierlo in modo autentico, solido e non emotivo, serve una visione antropologica adeguata, “un’etica, cioè una capacità di muovere l’azione di ciascuno, e non un’etichetta”.
“L’etica non è un insieme di regolette, è la costruzione di uno spazio comune dove tutti possono vivere bene” ha incalzato Maurizio Tira, rettore dell’Università degli Studi di Brescia, che ha individuato nella catena del valore “scienza-comportamenti individuali-politica” l’antidoto efficace alla retorica ambientalista, perché sostenibilità significa capacità di portare un peso per un periodo duraturo. “Stiamo vivendo una crisi di relazioni, che si vince rifondando due paradigmi: quello economico e quello tecnologico”. E ha concluso esortando a non perdere “l’entusiasmo dei giovani: cercare di cambiare il mondo è una cosa sana”.
Nella partita della sostenibilità imprese e consumatori possono fare molto, come ha esemplificato alla perfezione Marina Spadafora, stilista e coordinatrice italiana di Fashion Revolution, iniziativa nata nel 2013 dopo il crollo di una palazzina a Dacca, in Bangladesh, che ospitava una fabbrica-prigione di abbigliamento in cui perirono più di 1.100 persone. “Nel mondo ci sono 70 milioni di persone impegnate nella moda, che è una delle industrie più inquinanti e dove le promesse di salari dignitosi in molte parti del pianeta sono state disattese, creando nuove forme di schiavitù moderna e di sfruttamento del lavoro minorile”. Come uscirne? “La sostenibilità dal basso: i consumatori attraverso ogni loro acquisto danno un ‘voto’ al mondo che vogliono. E allora, no alla bulimia del fast fashion, sì allo shopping intelligente e consapevole”.
No agli estremismi e al luddismo ambientale e sociale, perché impediscono di muoversi, ha chiesto invece nel suo intervento Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, che ha riportato l’attenzione sulla Laudato Si’: “L’ecologia integrale di Francesco rimette al centro della visione economica la persona, rivisitando così un modello di sviluppo sbagliato e non accettando la contrapposizione o l’uomo o l’ambiente. Se la persona è al centro, l’obiettivo non può essere la decrescita felice, perché la decrescita è sempre infelice, cancella il welfare, cancella le opportunità. Servono al contrario più sviluppo intelligente, più ricerca, più tecnologia, più investimenti, cioè una razionalità diversa. Il tutto in un’ottica sussidiaria, a tutti i livelli: se le persone non vengono educate, se non si costruisce dal basso, se non c’è sussidiarietà tra gli Stati non c’è bene comune e anche i grandi obiettivi non saranno mai raggiunti”.
A conclusione del convegno Antonio Ballarin Denti, presidente del Comitato scientifico della Fondazione Lombardia per l’ambiente, è tornato alla triade iniziale: vedere, agire, agire con urgenza: “Vedere significa conoscere e pre-vedere, che è compito della scienza. Agire mette in gioco l’etica, che ci aiuta a capire che cosa dobbiamo o non dobbiamo fare. Agire con urgenza tocca invece alla politica, perché non basta sapere cosa fare in un quadro chiaro di pre-visioni scientifiche, bisogna farlo bene, con efficacia, con tempestività e con buoni risultati”.
Cosa lascia in eredità questo giro di riflessioni sulla Laudato si’? La sostenibilità è un cammino comune e va affrontato con speranza, che è il grande driver dello sviluppo.