Almeno una cosa dovrebbe ormai essere chiara a tutti: la pandemia non è un fenomeno circoscritto nel tempo e non può essere affrontata, come qualcuno disse in tv durante la prima ondata, “anestetizzandosi” e sperando di svegliarsi a problema risolto. Tocca rimettersi in marcia, per ricostruire e rendere sostenibile il benessere delle nostre comunità e dei nostri territori, anche dentro l’imperversare del Covid. Ma che cosa significa occuparsi di benessere e di sostenibilità proprio adesso, quando sembra si possa solo agire per “salvare il salvabile”? Ne parliamo con Filomena Maggino, Professore Associato di Statistica Sociale all’Università di Roma La Sapienza e Presidente della Cabina di regia “Benessere Italia”, presso la Presidenza del Consiglio.



Professoressa, ci spieghi innanzitutto qual è l’obiettivo e quali sono le attività della Cabina di regia Benessere Italia.

La Cabina di regia Benessere Italia è l’organo di supporto tecnico-scientifico al Presidente del Consiglio, nell’ambito delle politiche del benessere e della valutazione della qualità della vita dei cittadini. La Cabina monitora e coordina le attività specifiche dei Ministeri, assiste le Regioni, le Province autonome e gli Enti locali nella promozione di buone pratiche sul territorio ed elabora metodologie e linee guida per la rilevazione e la misurazione degli indicatori della qualità della vita. Inoltre, sostiene e coordina le politiche e le iniziative del Governo italiano per il Benessere Equo e Sostenibile (BES) e per l’attuazione della Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile (SNSvS), nell’ambito dell’Agenda 2030. È inoltra la struttura delegata a curare la revisione della SNSvS.



Che cosa significa guardare al benessere del Paese, in mezzo a una pandemia così drammatica?

Proviamo a vederla in un altro modo: non aver messo al centro delle decisioni il benessere dei cittadini ha posto tutto il Paese in una tale condizione di estrema fragilità che l’arrivo di una epidemia, se pure particolarmente aggressiva, ha scatenato una vera e propria emergenza sanitaria. Le fragilità erano tante. La pandemia ha colpito un territorio già afflitto da disuguaglianze anche gravi. Il Covid non ha colpito tutti alla stessa maniera e infatti bisognerebbe parlare di “sindemia”, cioè di pandemia che intercetta alcune fragilità (ambientali, sanitarie, sociali, relative agli stili di vita, all’alimentazione…) e lì si scatena. Pensiamo agli anziani, che invece di essere collocati nelle RSA dovrebbero poter rimanere nelle proprie abitazioni, inseriti nelle proprie reti sociali e famigliari, sostenuti da una rete di servizi alla persona. Il virus ha mostrato tutta la debolezza di questo “modello” di assistenza. Se non si investe nei servizi alla persona, le conseguenze possono essere anche tragiche.



E infatti in quest’ultimo anno le fragilità strutturali del Paese sono emerse in tutti i loro aspetti. Per superarle serve un percorso trainata da una “vision”; quale, secondo lei?

In questo momento in cui si parla di ripartenza, bisogna mettere al centro delle decisioni il benessere dei cittadini e del territorio. Per esempio, aver vincolato le spese pubbliche a criteri contabili ha portato a “razionalizzare”, ma rispetto a che cosa? I criteri per la selezioni dei progetti finanziati dal Recovery fund non possono essere legati al semplice impatto sulla crescita del Pil, ma devono prendere in considerazione la crescita del benessere del Paese.

Qualcuno potrebbe dire che forse non ce lo possiamo permettere: prima bisogna ricostruire e poi pensare al benessere. Lei invece sembra dire che se non si mette il benessere al centro, non si può ricostruire. È un cambio di prospettiva interessante, ce lo spieghi meglio.

Il Pil è una conseguenza, non una premessa, del benessere. Il Pil nasce perché crei valore “vero”, cioè benessere, e non perché insegui la contabilità. Federico Caffè diceva: “Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo degli equilibri contabili”. Ma la prospettiva del benessere recupera anche una giusta attenzione alla questione contabile, per esempio come sostenibilità finanziaria per le generazioni future. Perseguire il benessere serve come driver alla generazione del Pil.

Una mancanza di compassione che, come il Censis descrive nel suo ultimo rapporto, ha contribuito a rendere il Paese impaurito, frammentato e attraversato da fratture sociali…

Il conflitto sociale esiste ed è molto diffuso: durante il lockdown della primavera scorsa eravamo tutti sui balconi e manifestavamo solidarietà reciproca; adesso, ci guardiamo identificando negli altri possibili untori. Questo vuol dire che la fiducia interpersonale è stata fortemente colpita.

Senza fiducia non si riparte. Ma come si ricostruisce la fiducia, in un Paese così affaticato?

La fiducia la costruisci ricreando identità: ci si deve riconoscere nel proprio territorio, nel proprio Paese, nella propria comunità. E questo crea anche le condizioni per una visione personale (ma non solo) del futuro. Non a caso, per comprendere la solidità di una comunità, basta monitorare tre dimensioni molto soggettive: identità, fiducia, speranza. Il fondamento di una comunità.

Ripartenza, comunità, fiducia, speranza, identità del territorio; in tutto questo che ruolo hanno la società e il terzo settore?

Nel momento in cui fu annunciata l’intenzione di istituire una struttura presso la Presidenza del Consiglio (la Cabina di regia Benessere Italia, appunto), oramai più di due anni fa, il mio telefono presso Palazzo Chigi ha cominciato a squillare… aziende (partecipate e private), fondazioni, associazioni, centri di ricerca: tutti chiedevano di essere ricevuti, perché avevano trovato un luogo in cui interagire con le istituzioni, su un tema sistemico e una visione condivisa, il benessere equo e sostenibile. Dicevano: “Anche se il nostro contributo rappresenta un ‘pezzo’ limitato, la condivisione della visione del benessere equo e sostenibile consente di operare sapendo che tutti stiamo costruendo insieme il benessere condiviso, appunto equo e sostenibile, in modo armonico e sintonizzato”. Nel nostro Paese esistono delle realtà che rappresentano un patrimonio che non può non interagire con le istituzioni, per costruire insieme. Ricordo l’esempio di un centro di ricerca che ha progettato un sistema per il monitoraggio e assistenza per i malati di Alzheimer e che non riusciva a trovare un interlocutore istituzionale; è arrivato alla Cabina di regia e adesso il loro sistema verrà inserito nella rimodulazione dei servizi territoriali. Bisogna mettere a frutto un’esperienza che c’è già.

È una visione sussidiaria…

Tutti i soggetti sociali ed economici, le imprese, il terzo settore fanno parte di un sistema complesso che si muove, e si deve muovere, in armonia, come in un’orchestra in cui ognuno suona uno strumento diverso e un proprio spartito all’interno di una partitura, in modo tale che il suono emesso da tutti diventi sinfonia. Un’alleanza cooperativa tra agenti sociali e istituzioni, per la generazione del benessere. Questa è la visione della Cabina.

Che cosa sta facendo la Cabina, per promuovere il benessere sostenibile della nostra società?

Come ho detto, in questi due anni abbiamo incontrato centinaia di stakeholder; da questi incontri e confronti sono emersi anche i settori della vita del Paese nei quali il benessere deve essere recuperato e sui quali è necessario investire. Da qui sono nate le cinque linee programmatiche della Cabina, tra le quali abbiamo identificato la rigenerazione equa e sostenibile dei territori. Questo vuol dire ripensare, tra l’altro, i servizi territoriali alla persona. Un’altra linea programmatica riguarda la mobilità vista in termini di coesione territoriale, che vuol dire organizzare una mobilità che risponda all’esigenza/diritto dei cittadini a muoversi in maniera rispettosa dell’olografia del territorio, consentendo, laddove possibile, anche connessioni veloci anche nelle aree non urbane. Dal punto di vista operativo, in questo momento particolare della vita del Paese, la Cabina ha accolto la scorsa primavera l’allarme lanciato dalle società scientifiche-medico, sull’emergenza sanitaria “parallela” (non-Covid) dovuta a tutte le patologie trascurate, alle terapie non eseguite, agli interventi non realizzati, agli screening preventivi non fatti nel corso della pandemia (sia perché molti reparti sanitari sono stati costretti a convertirsi per supportare la nuova emergenza sanitaria, sia perché molti cittadini hanno preferito non recarsi presso le strutture per timore di contagio). In questa prospettiva, stiamo organizzando interventi territoriali (in collaborazione con le società mediche scientifiche) per costruire un servizio su settori particolarmente delicati come cardiologia, oncologia, ginecologia, nefrologia, oculistica, ecc. Sul tema della salute della persona stiamo pensando anche ad interventi nelle scuole sul tema della corretta alimentazione.

Un esempio di benessere che riparte dal territorio?

In Puglia, una vigilessa mi ha avvicinato, ponendomi il problema dei ragazzi autistici, così duramente danneggiati dalla sospensione della scuola in presenza, e proponendo la conversione di un’area urbana inutilizzata in un centro dove i ragazzi autistici potessero dedicarsi ad attività molto formative (come la coltivazione della terra). È nata una associazione dedicata a loro e riceveranno un finanziamento ad hoc.

Questa attenzione al territorio è molto interessante. Il territorio è anche la società che lo abita, che se ne prenda cura, che vi crea e genera benessere sostenibile. Ma l’Italia ha spesso “maltrattato” il proprio territorio, come ci ricordano i piccoli e grandi disastri naturali ed ecologici, che periodicamente avvengono nelle nostre regioni…

L’Italia è piena di aree interne e costiere, scarsamente urbanizzate e meravigliose, ricche di cultura e di patrimonio paesaggistico, ma dimenticate, spopolate, con danni importanti a livello sociale, economico e anche naturale; si pensi ai problemi riguardanti la stabilità geologica… Dovremmo approfittare di questo momento, per rigenerarle. Per farlo occorre partire dal creare le condizioni perché le persone possano tornare a ri/viverle. Penso, a questo proposito, alla necessità di rimodellare i servizi territoriali per consentire alla popolazione di vivere anche al di fuori delle aree urbane e permettere la flessibilità del lavoro remoto. Si pensi all’importanza di avere i reparti di maternità nelle aree interne…

Oltre a essere Presidente della Cabina di regia, Lei è una statistica sociale. In questi mesi abbiamo visto che cosa ha significato provare a governare il Paese nella pandemia, senza avere informazioni adeguate: non riusciamo a monitorare efficacemente l’andamento del virus a livello territoriale, siamo stati inefficienti nell’allocazione delle risorse e dei costi economici. Il mondo scientifico, e statistico in particolare, ha più volte chiesto trasparenza e investimenti sulla capacità di generare dati, per conoscere ciò che avviene sul territorio. Qual è il suo punto di vista?

La realtà ci dice che se non si ragiona in termini di complessità, il risultato è quello che abbiamo sotto gli occhi. Dobbiamo educare alla complessità e dotarci della capacità di osservarla, conoscerla e di agire in un sistema complesso. Anche i dati devono seguire la complessità, non possiamo più affidarci solo alle “medie”, che non riflettono le differenze sul territorio, nel tempo, fra gruppi e strati sociali… Ancora adesso non si sa come siano stati definiti i decessi per Covid, per non parlare del fatto che i dati della prima ondata, quando si facevano i tamponi principalmente ai malati sintomatici anche gravi, non sono confrontabili con quelli della seconda, dove si fanno tamponi di diverso tipo e a una platea più ampia, con molti asintomatici. Il recente contrasto sulla correttezza dei dati, tra Lombardia e Governo centrale, dice della fragilità dei nostri processi di generazione dei dati, sui quali poi si fanno scelte fondamentali. Anche in questo senso i servizi territoriali sono importanti, perché sono una sorgente di dati sui bisogni e sulle dinamiche dei territori.

Mi sembra una visione preziosa: dobbiamo ripensare il modo in cui conosciamo i nostri territori e la loro complessità, per sostenerne il benessere. Ancora una domanda: molti dicono che in paesi come la Cina la pandemia è stata meglio controllata e si comincia a mettere in dubbio il valore della democrazia occidentale. Esiste un conflitto tra libertà e benessere sociale?

Vivere è sempre un rischio e non per questo ci neghiamo la possibilità di uscire, di incontrarci… c’è un limite al negare le libertà. È successo n maniera eccezionale, ma non può diventare “il metodo”. Bisogna rispettare anche le decisioni individuali, ma questo è possibile se si creano le condizioni di una responsabilità personale, mettere le persone in condizione di dire “io lo faccio perché sono consapevole”. La democrazia non è solo una questione di architettura istituzionale, ma anche di formazione e consapevolezza individuale.

Per chiudere, ci indichi tre parole chiave per il futuro.

Fiducia, armonia e rispetto per gli altri, per se stessi e per l’ambiente… sono le basi della crescita del benessere equo e sostenibile.

Non a caso, sono anche parole che si ritrovano nella Laudato Si’, di Papa Francesco. Grazie!

(Marco Fattore)

—- —- —- —-

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI