Tematiche connesse alla sostenibilità e alla transizione ecologica sono ormai all’ordine del giorno, spesso oggetto di intensi e accesi dibattiti a livello sociale e politico. Le numerose voci che si levano nel tentativo di richiamare l’attenzione sulla necessità della salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo testimoniano l’urgenza e la passione attorno a queste questioni. In mezzo a tante spiegazioni e interpretazioni, inevitabili di fronte a un fenomeno così complesso, non è sempre facile avere una visione unitaria che aiuti a mettere al posto giusto tutti gli elementi in gioco.
Per questo motivo ho trovato molto utile la lettura del libro Cum Tucte. L’alleanza tra uomo e natura. Il volume, curato da Fondazione Lombardia per l’Ambiente, raccoglie gli interventi di diversi relatori intervenuti durante la 44ema edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli proprio sul tema della sostenibilità. Tra gli altri, Giulio Cesareo, Gaël Giroud, Carlin Petrini, Davide Rondoni, e Roberto Sancinelli.
Le diverse estrazioni professionali e culturali dei relatori favoriscono l’apprendimento di una visione di insieme che combina elementi ambientali, sociali ed economici. La consapevolezza di fondo è che tutti questi elementi sono connessi, che “tutto è in relazione” per usare le parole della Laudato si’, e che è necessario rivedere a fondo il rapporto, o alleanza come sottolineato nel libro, tra uomo, natura ed economia.
Che cos’è la natura? Qual è il suo fine? Queste sono le prime domande da porsi quando parliamo di sostenibilità o di ecologia. Domande che spesso sono date per scontate, ma che sono il punto di attacco per “capire il rapporto tra uomo e natura”, come sottolineano Cesareo e Rondoni. Un rapporto che può essere complicato, perché “lo scopo della vita di un uomo non coincide solo con lo scopo della natura”. Il primo contributo che la natura offre all’uomo è proprio “interrogarsi sulla sua natura”. “L’ideale perpetuo è lo stupore”, recita una poesia di Derek Walcott ripresa da uno dei relatori. È da questo stupore che nasce il rispetto dell’uomo verso la natura sua e di ciò che lo circonda.
È una lettura molto realista quella che emerge nei diversi interventi. Innanzitutto, occorre riconoscere “che non ci sono attività produttive a impatto zero”, come sottolinea l’imprenditore Sancinelli. “Non si può pensare di azzerare i problemi delle attività, ma queste devono essere ridotte a un termine che si identifica in ‘sostenibilità’. L’industria non è in grado di proporre delle attività produttive a impatto zero”. Per questo è importante sviluppare un’economia circolare, in cui il rifiuto è più di una risorsa, è un valore, ed educarsi a un uso adeguato delle risorse utilizzate.
L’uso sproporzionato e lo spreco delle risorse sono infatti i principali problemi dell’attuale sistema produttivo. Basti pensare che ogni anno “il 33% del cibo prodotto viene sprecato e che almeno 20-25 milioni di persone muoiono di fame”, denuncia Petrini. È sempre più chiaro che il presente modello economico sia insostenibile per la terra. Occorre cambiare, con la consapevolezza che “il cambio dei nostri comportamenti non è l’avvio di un periodo di mortificazione, [ma] è invece l’inizio di un periodo di liberazione”. Per esempio, quando in Italia 60 anni fa si consumava metà della carne che si consuma oggi, gli italiani avevano una situazione alimentaria e nutrizionale straordinaria. Siamo cresciuti nella logica per cui le cose meno duravano più erano funzionali all’economia, perché si poteva continuare a comprare e aumentare il Pil. “Questa situazione è finita”.
È necessario dunque un “cambiamento antropologico”, incalza il gesuita Giroud. “Abbiamo bisogno di una antropologia completamente diversa. […] Un’antropologia relazionale, dove ciò che è più importante è la relazione tra l’uomo e la natura, tra l’io e la natura, tra gli uomini e le donne. […] La felicità non è la possibilità di consumare sempre di più, ma è la qualità delle relazioni tra noi e con la natura. Questo è il sale della vita. Questo dovrebbe essere il criterio per il cambiamento antropologico necessario alla transizione ecologica”.
Ma chi è il soggetto di questo cambiamento? Da tutti gli interventi emerge l’importanza della “comunità”, di comunità pensanti e di una società civile che diventino “soggetto attivo”. Siamo infatti davanti a un “momento storico che chiede a ciascuno di diventare protagonista”. Gli incontri di cui il libro riporta gli interventi sono esempi semplici ed efficaci di queste comunità pensanti, il cui scopo è innanzitutto aiutarsi a conoscere la vera natura di fenomeni complessi e affascinanti come quello della sostenibilità e transizione ecologica, e quindi a prendere decisioni che siano adeguate ai cambiamenti che occorre intraprendere.
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