Altro che Festivalbar, come dicevamo su queste pagine qualche giorno fa: qua si sembra tornati ai tempi del Baudismo, quando il Pippo nazionale registrava ascolti totalitari. La differenza è che una volta c’erano solo una decina di canali o poco più, l’offerta era praticamente inesistente oltre RaiUno e il Baudo nazionale dirigeva solo tre serate (giovedì, venerdì e sabato) per tornare il giorno dopo a Domenica in.



Oggi invece i canali sono circa duecento e poi ci sono le piattaforme: nonostante questo, la quarta serata di Sanremo 74 ha registrato il 67.8% di share, il miglior risultato per la serata del venerdì sera dai tempi dell’Auditel (qualcosa di simile si era visto solo nel 1987!), con punte di 73.2%. la prima serata era arrivata fino al 65.1 %, la seconda e la terza una media di 60.1% (per fare meglio nel giovedì bisogna tornare al 2018, con Baglioni) e con picchi fino a 67.9%. ascolti bulgari.



NUMERI E CANZONI PER LA VITTORIA

Numeri che mostrano una verità ineluttabile: Sanremo quest’anno lo hanno visto quasi tutti gli italiani. E questo al netto delle polemiche, fondate o meno, dei gusti e della qualità obiettiva dello show. È persino fastidioso ricordare per l’ennesima volta che nel 2024 Sanremo è uno show, e non una gara canora o almeno non solo; una corsa al rialzo che probabilmente non finirà mai, a meno che di un capovolgimento culturale ed economico del mondo.

Quindi a chi importa se John Travolta ha stretto un accordo segreto con OnePower o meno, se le inquadrature dedicate alle sue gambe erano perché ballava o per mostrare le scarpe da tennis bianchissime, se ha firmato la liberatoria o meno? L’importante è esserci, vederlo, testimoniarlo, parlarne sui social.
E quest’obiettivo Amadeus non l’ha raggiunto, lo ha doppiato e stracciato.



Ma le canzoni? Dopo l’abbuffata bulimica della prima serata, in affanno fino alle due e oltre, un ascolto più pianificato e ragionato porta ovviamente ad una visione più chiara. Sia soggettiva che oggettiva: perché se i gusti personali saranno tanti quante sono le persone che li hanno, a poche ore dalla classifica definitiva il podio ha visto trionfare Angelina Mango su Geolier e Annalisa. Dimostrando, anche qui, la scaltrezza quasi diabolica del buon Ama: un occhio alla classifica (Annalisa, voce impetuosa e possente, brani acchiappaclassifica implacabili), uno agli emergenti con bravura (Angelina, reduce da Amici, figlia d’arte ma piena di talento), uno al popolo (Geolier). Senza dimenticare la serata più brillante, quella musicalmente più effervescente, la puntata ormai più attesa: il venerdì, la serata delle cover e dei duetti.

DUETTI E AIRPLAY

Impreziosita non solo dal sapore vintage della maggiorparte delle canzoni eseguite, ma come tradizione ormai vuole anche dalla partecipazione dei nomi del gotha più classico del pop italiano: Gianna Nannini, Riccardo Cocciante, Roberto Vecchioni, Umberto Tozzi, Donatella Rettore. Bonus: Skin ed Eros Ramazzotti.

A proposito di Roberto Vecchioni che canta la sua splendida Sogna Ragazzo Sogna insieme ad Alfa: “Chiudere con Alfa è una rappresentazione concreta del concetto di an-alfa-betismo. L’etimologia della parola appunto mostra che analfabeta è non seguire l’ordine di successione delle lettere nel codice che pone alfa all’inizio e beta come seconda, e omega alla fine. Alfa alla fine è analfabetismo fuori di metafora”: il pensiero illuminato non è ovviamente di chi scrive ma di Marco Morgan Castoldi, e dimostra con molta chiarezza quale sia lo stato della musica dell’airplay, oggi, anche alla luce dei probabili risultati del podio. Ma ne riparleremo.

Alfa non è ovviamente rappresentativo della musica che ha suonato dall’Ariston: perché l’offerta era tanta e talmente strutturata da coprire aree completamente diverse tra di loro. Certo è che in molte tracce è -letteralmente- risuonata evidente e drastica e lampante la differenza su come venga intesa la forma canzone oggi e come invece lo era con un certo tipo di cantautorato: non è stato proprio brillante mettere insieme il citato Alfa con Vecchioni, o Rose Villain con la Nannini, o Irama con Cocciante. Ma vogliamo provare a dividere per macrogruppi le esibizioni della serata del venerdì?

LE PAGELLE

I miracoli (voto: 10)

Santi Francesi con Skin hanno eseguito Hallelujah di Leonard Coen: lei è un’aliena che tocca vertici vocali impensabili senza perdere un grammo di intensità, e sa prendere il meglio del duo mostrandone le potenzialità; loro hanno probabilmente tanto da dare ma non sanno spesso come fare. La loro Alleluya è un momento davvero alto, sospeso, che restituisce un senso puntuale del brano ispirato alle storie bibliche e ai testi sacri ebraici, cantando l’umana debolezza del Re Davide.

Diodato non sbaglia una nota neanche a pagarlo. E certo, Fabrizio De Andrè è un totem così enorme e profondo che provoca un sacro terrore a doverlo rifare. Ebbene, il cantante di Ti muovi non solo prende uno dei suoi pezzi più famosi (Amore che vieni amore che vai) ma insieme a Jack Savoretti -e un inciso iniziale recitato da Filippo Timi in grandissimo spolvero- crea un capolavoro con una parte orchestrale notevole.

Angelina Mango invece propone La Rondine del padre Pino. La ventiduenne è una che non ha mai fatto pesare la sua eredità, nel bene e nel male: ma chiunque ha pensato portasse questa canzone con mire ricattatorie dovrebbe essere rimasto senza parole. La sua voce non ha nulla di quella del papà (probabilmente unica al mondo, inimitabile; ma lo vogliamo dire che se quando era in vita avessero tributato a Mango il giusto riconoscimento, così come ora lo osannano, forse avrebbe avuto una diversa e migliore fortuna?), ma piuttosto un impasto vocale vicino a quello della madre Laura Valente, eccezionale vocalist dei Matia Bazar. L’esecuzione è impeccabile, l’emozione la prende alla gola ma la migliore solo.

I migliori (voto: 9)

Gli Eurytmichs fanno tremare i polsi, ma Annalisa con La Rappresentante di Lista e il coro Artemia affrontano Sweet Dreams con intelligenza, ovvero con rispetto quando si tratta di seguirne la traccia melodica, con grinta quando invece serve un piccolo virtuosismo per personalizzare. Via il gelido synth pop originale, dentro il soul raffinato e caldo.

The Kolors affrontano invece Umberto Tozzi sottolineando le venature rock già ben visibili nelle canzoni del cantante torinese. Karaoke globale.

Mahmood con i Tenores di Bitti hanno invece portato Com’è profondo il mare, capolavoro assoluto di Lucio Dalla. La canzone era la prima traccia dell’album omonimo, il primo nel quale Dalla si cimentava sia i testi che le musiche. E Mahmood la riprende cambiando la tonalità ma rispettandone perfettamente il senso armonico, producendo una cover di rara bellezza anche grazie ai cori dei Tenores.

Né di qua, né di la (voto: 6)

Alessandra Amoroso non credeva forse abbastanza nel suo pezzo in gara, che invece cresce con l’ascolto, e allora nei duetti chiama i Boombadash e richiama le hit estive, le versioni tamarre, ma dimentica che siamo a febbraio, non ad agosto.

Gli autocoverizzati (voto: 5)

C’è anche chi ha scambiato la serata cover per la serata Siae, coverizzando sé stesso. (Lasciamo stare Angelo e Angela, outsider in tutto e per tutto: ma) viene spontaneo chiedersi che senso possa avere fare una cover di una canzone già propria. Un vero e proprio ossimoro, con risultati che possono essere medi (Sangiovanni con Aitana), mediocri, (Renga & Nek), insensati (Loredana Bertè con Venerus, però la amiamo lo stesso). Anche Dargen preferisce incassare qualcosa in più rifacendo sé stesso: e addirittura prende in prestito Morricone. Fermatelo vi prego.

E fermate anche Mr. Rain: dopo aver cercato di commuovere tutti con bambini, orfani e genitori soli, ripesca dal passato e propone Mary con i Gemelli Diversi: canzone insopportabile trent’anni fa, perché oggi dovrebbe essere meno indigesta?

I peggiori (voto: 3)

BNKR44 con Pino D’Angiò; Clara con Ivana Spagna, Gazzelle con Fulminacci; Ghali con Ratchopper, Geolier con Gue, Luche e Gigi D’Alessio: non c’è impasto vocale, non c’è rielaborazione melodica, non c’è rilettura. Insomma, non c’è duetto. Dispiace inserire nel gruppo i pur bravi Negramaro (la loro Dimentichiamo tutto pure sale ascolto dopo ascolto), ma la Canzone del Sole così non si può sentire proprio. Malika Ayane forse convinta sotto anestesia. Cose che non avremmo mai voluto vedere e/o sentire: Emma con Bresh; Il Volo con Stef Brush; La Sad con (l’ectoplasma di) Donatella Rettore; Il Tre con Fabrizio Moro; Maninni con Ermal Meta; Fred De Palma con Eiffel 65

I calligrafici: (voto: n.c.)

Alfa con Roberto Vecchioni; Rose Villain con Gianna Nannini, Irama con Riccardo Cocciante. Come si fa a parlar male di Sogna ragazzo sogna, o di Quando finisce un amore, o della forza della Nannini? Ma come si fa a parlar bene di duetti dove il cantante in gara viene fagocitato dal carisma della canzone mentre lui stesso fagocita l’esibizione, sminuendo il valore dei brani? Irama è inesistente, Alfa va dietro Vecchioni, Rose Villain quasi stecca. Poveri ragazzi: sognano, ma intanto inseguono pedissequamente senza raggiungere nulla.

I miracolati: (Voto: da 1 a 10)

Ricchi & Poveri con Paola & Chiara, sono sempre sul cerchio: quel giro che si fa da scult a leggenda.

Merita un discorso a parte Geolier, primo nella classifica parziale di martedì e di venerdì, serata in cui il suo podio genera fischi e reazioni scomposte nel pubblico. Geolier, che porta in gara una canzone in napoletano (che ha costretto il Festival a cambiare il regolamento in quanto il napoletano è una lingua perchè suona vecchia e non un dialetto, derivando dal latino o dalla lingua osca) anche bruttina, è il primo a puntare su un fanatismo identitario, incondizionato. È lì per Napoli, grazie a Napoli. Logiche che sembravano appartenere al passato o a qualche serial di Sky, sul sangue, la famiglia, la terra. E si pone lui come rappresentante di una mentalità ben precisa, che ognuno definisca come vuole. Eppure I P’me tu p’te è vecchia, basata sul campanilismo, mentre il duetto con Luchè, Gue e Gigi D’Alessio è modulato su un’alleanza da capobranco.

Poi certo, le reazioni scomposte, i fischi, gli ululati del pubblico in sala sono mortificanti e non degni di un palco civile: ma vanno inquadrati, ed è importanti capirli. Perché sono la reazione del pubblico fuori dalla Campania, e vanno contro un brano che alla musica una serie di concetti discutibili a dir poco, che con la creatività e l’arte hanno ben poco a che fare. Peccato che qualcuno si scandalizzi e urli al complottismo antimeridionale: è un tranello nel quale si cade spesso con i concetti che finiscono con –ismo, intriso di retorica. Non è certo Geolier il primo all’Ariston cantando in napoletano, in gara o meno: Pino Daniele, Nino D’Angelo, Gigi D’Alessio, Roberto Murolo. E contro nessuno di loro si è scagliato qualcuno per l’utilizzo della lingua. Il problema oggi è l’impossibilità di avere ed esercitare uno libero spirito critico, di andare contro il giudizio popolare, perchè molto spesso ci si barrica dietro posizioni concettuali di favore. È così difficile pensare che Geolier non sia piaciuto semplicemente perchè la sua canzone è brutta? I p’ me, tu p’ te ha un 80% rappato, un 60% di ripetizioni melodiche e testuali, con 5 compositori nella parte musicale, 3 autori per quella letteraria, e ben 7 editori. Il risultato è un monstre che pesca qua e là ammiccando ad un certo pubblico e portandosi dietro il codazzo oltranzista: tutte cose che con la musica dovrebbero entrarci poco o niente.

Al netto di questi discorsi, ecco la classifica completa nella quinta serata di Sanremo:

Angelina Mango
Geolier
Annalisa
Ghali
Irama
Mahmood
Loredana Bertè
Il Volo
Alessandra Amoroso
Alfa
Gazzelle
il Tre
Diodato
Emma
Fiorella Mannoia
The Kolors
Mr. Rain
Santi Francesi
Negramaro
Dargen D’Amico
Ricchi e Poveri
BigMama
Rose Villain
Clara
Renga e Nek
Maninni
La Sad
BNKR 44
Sangiovanni
Fred De Palma

Resta qualche rimpianto, certo (qualche brano poteva salire di più, come BigMama, o i Negramaro; e qualche altro scendere, come Alfa o Irama); qualche polemica inutile (Travolta), qualche parola di troppo e qualcuno che poteva evitarsi (Ghali che dice, in maniera sincera e moderata -e non con la furbizia di un Dargen qualunque- “stop al genocidio”; e Alon Bar che dice “vergognoso usare Sanremo per diffondere odio” -????-), di certo questo Sanremo 74 è stato un trionfo dal punto di vista mediale (lo share del pubblico tra i 15 e i 24 anni raggiunge la cifra record dell’ 85,2%) e quello del pubblico tout court (l’ultima serata, per chiudere il discorso fatto in apertura, ha raggiunto 13 milioni di spettatori nella prima parte, pari al 64.9% di share; e 10 milioni nella seconda parte, ottenendo il 72,1%).

Amadeus e Fiorello lasciano l’Ariston su una carrozza nuziale, un po’ alla Robin Hood by Disney, e lasciano la patata bollente alla Rai: chi sarà l’anno prossimo a raccogliere il testimone? Un’eredità così pesante da poter fare supporre addirittura di poterlo affidare consapevoli che sarà in discesa, numeri come quelli di questo lustro sarà impossibili rifarli. Ma aspettiamo fiduciosi, senza precluderci nessuno stupore. Perché Sanremo è Sanremo.